I tre che vegliano la salma di un medico suicida sono i componenti la famiglia...
Prima che io stesso avessi avuto il tempo di pensare perché lo facevo, gli chiesi:
“Mi dica una cosa, dottore: lei crede in Dio?”.
Lui mi guardò. I capelli gli cadevano sulla fronte e ardeva tutt’intero in una specie di soffocamento interiore, ma il suo aspetto non mostrava ancora nessuna ombra di emozione o sconcerto. Disse, completamente ricuperata la sua parsimoniosa voce da ruminante:
“È la prima volta che qualcuno mi fa questa domanda”.
“E lei stesso, dottore, se l’è fatta qualche volta?”.
Non parve né indifferente né preoccupato. Parve a malapena interessato alla mia persona. Neppure alla mia domanda o tanto meno alla sua intenzione.
“È difficile saperlo”, disse.
“Ma non le incute timore una notte come questa? Non ha la sensazione che ci sia un uomo più grande di tutti che cammina per le piantagioni, mentre nulla si muove e ogni cosa sembra perplessa davanti al passaggio di questo uomo?”.
Ora rimase in silenzio. I grilli riempivano l’atmosfera, aldilà del tiepido odore vivo e quasi umano che si alzava dal gelsomino piantato in memoria della mia prima sposa. Un uomo smisurato stava camminando, solo, attraverso la notte.
“Non credo che mi sconcerti niente di tutto questo, colonnello”. E ora sembrava perplesso, pure lui, come le cose, come il rosmarino e la tuberosa nel loro ardente spazio. “Quello che mi sconcerta”, disse, e rimase a guardarmi negli occhi, concretamente, con durezza: “Quello che mi sconcerta è che esista una persona come lei capace di dire con sicurezza che si rende conto di quell’uomo che cammina nella notte”.
“Noi tentiamo di salvare l’anima, dottore. Questa è la differenza”. E allora mi spinsi più in là di quanto mi proponessi. Dissi: “Lei non lo sente perché è ateo”.
E lui, sereno, imperturbabile:
“Le assicuro che non sono ateo, colonnello. Il fatto è che mi sconcerta tanto pensare che Dio esiste, quanto pensare che non esiste. Allora preferisco non pensarci”. Non so perché avessi il presentimento che era esattamente quello che mi avrebbe risposto. “È uno sconcertato di Dio”, pensai, sentendo quello che mi aveva appena detto spontaneamente, con chiarezza, con precisione, come se l’avesse letto in un libro. Io ero sempre ubriacato dal sapore della notte. Mi sentivo dentro il cuore di una immensa galleria di immagini profetiche.
Gabriel Garcia Marquez
(da Foglie morte, Milano, 1982, pp. 110-112).