Gratuità
Una delle cose che colpiscono entrando in contatto con la personalità di Colin è il suo atteggiamento nei confronti dei beni e del denaro. Colin proviene dalla campagna ed appartiene alla industriosa popolazione del lionese, ma il problema denaro non trova spazio tra le sue preoccupazioni, eccetto quando Pompallier, onerato di debiti, comincia ad accusarlo di lesinargli gli aiuti ed a farlo disperare ed anche angosciare perché i suoi figli missionari mancavano invece spesso del necessario per sopravvivere.
Colin programma, amministra saggiamente senza angosce, senza avidità, ma anche senza imprevidenza. Un passo dopo l’altro, valutando ciò che poteva e ciò che non poteva essere fatto. Prevede, nel caso in cui la Società abbia redditi, che il lavoro nelle missioni e in altri ministeri possa essere prestato gratis (141) . Il suo motto potrebbe essere la frase evangelica: «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10: 8).
Sa all’occorrenza rifiutare il grosso dono di una vedova perché si rende conto che un domani gli eredi di costei potrebbero risentirne economicamente (142). Non vuole mettersi sul piano concorrenziale per quanto riguarda le rette dei pensionati dei collegi, Colin è un educatore, non un marchand de soupe (143). Come pure non ama entrare in competizione con il clero diocesano o con altri religiosi per la gestione di una determinata opera (144).
È così radicato in certe convinzioni, ad esempio nel grande valore del servizio a favore dei poveri, che, quando la curia di Lione vorrebbe dare uno stipendio o un rimborso alla Società per il servizio prestato al dépot de mendicité, è d’accordo con i confratelli lionesi nel rifiutare (145).
Evangelizzazione innanzitutto, con stile apostolico, come San Paolo la vorrebbe, e quando è possibile realizza ciò rifiutando gli onorari per i servizi prestati. Meglio una missione ben riuscita che una popolazione inasprita per le spese sopportate (146).
E una gratuità, componente base dello stile marista, che abbiamo trovato già espressa nei riferimenti legislativi e che nasce in modo esistenziale dalla frase evangelica: «Non procuratevi né oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone ... (147) ; è questa una frase che deriva dalle norme stabilite per assistere al culto di Dio nel Tempio di Gerusalemme: « ... Che nessuno entri nel tempio con bastone, sandali o con borsa di denaro...» (148).
Come i discepoli, nel compimento dell’evangelizzazione, sono davanti a Dio (come chi era nel Tempio) e devono comportarsi come chi sa di stare alla presenza di Dio, sapendo che il risultato della loro missione dipende da Dio, così i maristi debbono andare in modo povero e, vedremo più avanti, nella precarietà, perché la loro è l’opera di Dio.
Senso pedagogico
Uno spiccato senso pedagogico anima le azioni di Colin: un senso vivo nel rapporto con i giovani, ma altrettanto vivo anche nell’esercizio del ministero. Questo senso pedagogico egli lo propone come stile marista della missione. Cose che egli esclude totalmente nell’esercizio delle missioni, perché contrarie allo spirito marista e perché costituirebbero degli ostacoli nel rapporto con le popolazioni, sono: acredine, riferimenti offensivi, invettive, toni bruschi. Occorre essere prudenti nella predicazione, prudenti nel rimproverare i vizi. La gente non è preparata dal punto di vista religioso. Occorre quindi istruire, ma facendolo con delicatezza; non bisogna provocare le persone; bisogna fare le cose con modestia; se la popolazione ricorda di essere stata trattata male, non tornerà un’altra volta.
Nella predicazione non è mai opportuno aggredire l’uditorio e nemmeno amareggiarlo con spese eccessive per cerimonie che si possono evitare (149). Si annulla «l’essere piccoli», che deve essere tipico dei maristi, se si calpesta l’orgoglio delle persone e se non si ha nessun rispetto per la loro indipendenza. Le popolazioni, dice, sono diverse ai nostri tempi, hanno acquisito una loro autonomia, un loro modo di pensare. Non amano sentirsi dominate.
A che serve poi spaventare le persone? Bisogna essere graduali nel presentare le esigenze della fede e della morale, è opportuno guadagnare la loro fiducia (150). Si possono per esempio avvicinare i genitori per mezzo dei figli senza dare l’impressione di volerli convertire a forza (151), anzi, con delle cerimonie apposite, si può far riflettere i genitori per mezzo dei figli sulla grandezza dell’amore di Dio che si manifesta nel perdono (152). Non aggredire chi non è venuto, cercare invece di comprendere le difficoltà che possono avere incontrato e scusarli, incoraggiare per quanto possibile; non serve a nulla, ad esempio, prendere di petto i datori di lavoro che non hanno facilitato la partecipazione dei loro dipendenti (153).
Nelle confessioni, poi, tenere presente che ciò che conta, più della legge, è la salvezza dei penitenti. Questi vanno sempre accolti; in caso di difficoltà evitare, il più possibile, di rifiutare l’assoluzione: ci sarà pur sempre qualche punto su cui fare leva per assolverli. A che serve irrigidirsi con i recidivi? Questi vanno piuttosto sostenuti perché possano affrontare e superare le difficoltà in cui si trovano (154), cercando di non mettere loro delle condizioni troppe gravose. La morale marista non può essere lassista, ma può e deve essere intessuta di misericordia.
E segno di senso pedagogico è anche il volere, in Oceania, più missionari presenti in un luogo in forma comunitaria invece che elementi isolati sulle isole. Mai soli! Il solo fatto di adattarsi all’ambiente oceaniano era infatti di per sé sufficientemente difficile; l’essere soli l’avrebbe reso ancora più doloroso e pericoloso. Inoltre, possiamo aggiungere oggi, un missionario isolato poteva ricordare all’oceaniano la non sempre gradevole figura del Capo bianco, mentre la comunità missionaria avrebbe potuto esprimere più visibilmente la comunione ecclesiale. A ciò abbiamo accennato parlando dell’indole apostolica della Società.
Emergenza della Chiesa e precarietà dell’apostolo
Una caratteristica che mi sembra tipica dello spirito marista è quella dello spirito di modestia, carattere distintivo, per Colin, dei maristi rispetto agli altri religiosi (155). Questa caratteristica permette alla Società di fare ciò che gli altri non possono o non vogliono fare (156), di andare dove gli altri non vanno. Ricordiamo le condizioni del Bugey all’epoca delle prime missioni e la terribile lontananza e lo spaventoso isolamento nelle missioni di Oceania. Potrebbe essere utile ricercare sulle Fonti mariste storiche le condizioni di povertà nel Bugey (157) ed immaginare il lavoro, ugualmente nell’isolamento, svolto nella Charente e a Cognac, tra l’incomprensione e l’ostilità generale (158), dal Padre Convers.
Eppure proprio questa disponibilità a quei servizi che danno meno soddisfazione e niente gloria caratterizza gli apostoli maristi. Essi infatti debbono considerarsi tamquam extorres et peregrinos super terram (159) e l’efficacia della loro opera non deve poggiare nei mezzi umani, nei beni, negli amici potenti.
Ad essi mancheranno le sicurezze che la mondanità cerca, perché nella precarietà si appoggeranno unicamente al Padre. Dicono le Costituzioni:
Infine, evitino accuratamente la ricerca della propria gloria, nemica della gloria di Dio [...] Siano anzi contenti se la gente non fa alcuna menzione delle loro fatiche [...] Preferiscano quei ministeri che agli occhi degli uomini sembrano meno onorifici [...] (160).
La coscienza della precarietà della realtà terrena farà volgere lo sguardo dei maristi verso il Padre celeste, infatti rifacendosi a Matteo 10:9-10, essi sanno che devono comportarsi sapendo di essere sempre alla presenza di Dio, poiché il loro agire dipende da Lui.
Equilibrio tra attività e recupero
Data l’impostazione generale della personalità di Colin e considerando anche la sua forte attrattiva per la solitudine (non per nulla frequentava facilmente una Trappa e lui stesso pensò di fondare un ramo marista che chiamava «Trappa mitigata») non si può evitare di parlare dell’alternanza attività-recupero.
Nelle Costituzioni del 1872 troviamo nel capitolo V, De missionibus, che chi si prepara al ministero della predicazione deve, tra l’altro, vivere una vita veramente interiore e dedita alla preghiera; sempre nello stesso capitolo si dice al n. 260 che tra un ciclo di predicazione e l’altro è bene far passare due o tre giorni, per riposarsi, per rimettersi in forze, per vivere anche un clima di maggior ritiro, e continua al n. 261 che ogni anno tutti i maristi debbono fermarsi per almeno due o tre mesi onde rinnovare l’osservanza regolare, per migliorare lo studio e la preparazione, per preparare prediche e meditazioni. Si tratta di cose che lui stesso ed i primi con lui avevano fatto; infatti dall’autunno inoltrato all’inizio della primavera predicavano, poi sarebbero iniziati i lavori dei campi, i pastori sarebbero partiti per la montagna mentre i padri si dedicavano allo studio ed alla preghiera (161).
Attività sì, attivismo no, possiamo dire. Infatti la dimensione più profonda dello spirito marista è l’intensità e quel tanto di spirito mistico che permetta ai maristi di avere il gusto di Dio (162), quell’esperienza di Dio che non è esperienza dello «straordinario» ma incontro con il Vivente.
Uno stile caratterizza la missione marista: la gratuità di Paolo, un forte senso educativo, andare dove gli altri non vanno, lavorando con la convinzione che il proprio lavoro dipende da Dio, perciò necessità dell’alternanza:
presenza nel mondo e contemplazione.
Franco Gioannetti
141 «Constitutiones» di 1868-1870, m 13 = B 256, in ATC4, p. 105; CSM72, n. 259.
142 QS 334.
143 ES 179: 6.
144 J. Coste, Corso, p. 203.
145 QS 193: 2.
146 OM2, 722; OM2, 595: 34.
147 Mt 10, 9-10.
148 AA.VV., Commento della Bibbia liturgica, Edizioni Paoline, Roma, 1984, p. 912.
149 ES 18: 2; 92: 6, 16; 99: 1; 102: 33-35; 142: 2-3; OM2, 595: 2-3.
150 OM2, 581: 18.
151 OM2,581:6.
152 OM2,587:4.
153 OM2, 581: 19-20; DM2,661: 1-2.
154 OM2,475; 675; OM2, 516: 5.
155 ES 146: 4.
156 ES 1: 2; 19: 1; J. Coste, Corso, p. 203-204.
157 OM2, 639.
158 J. Coste, Corso, p. 209-210.
159 CSM72, n. 50.
160 CSM72, n. 262.
161 OM2,629.
162 CSM72, n. 37, in ATC5, p. 26; ES 63: 2-3; 64: 1 ; ES 65: 3; 12: 1-2.