Chi prende in mano un'opera di San Bernardo di Clairvaux (1) già dopo poche pagine viene colpito dalla sua parola piena di passione, dalla sua alta cultura e dalla retorica, con le quali egli avvicina ai suoi lettori la teologia monastica.
Per i lettori di oggi invece la teologia monastica è difficilmente accessibile con il suo stretto intreccio con la Sacra Scrittura, con i dogmi, con l'esperienza di Dio e con l'arte retorica. Se però si affrontano queste difficoltà saranno proprio queste a darci la chiave di lettura dei testi (…)
Riguardo all'autore stesso, Bernardo, come tutti i monaci del suo tempo, è molto riservato nel parlare di proprie esperienze spirituali. Anzi ricorre alla Sacra Scrittura per interpretarle.
Essa è la norma delle esperienze spirituali, mai il soggetto umano; parlare in prima persona fa parte della retorica.
Nondimeno Bernardo e gli altri abati vogliono suscitare il desiderio, la brama dell'unione con Dio; sono convinti che ogni monaco, se vive una vita conforme alla Regola, ne è capace. Quindi è corretto dire che gli scritti spirituali di Bernardo sono mistagogici, però né autobiografici né teorici (con poche eccezioni) nel senso della teologia mistica.
Il sermone 74 sul Cantico dei Cantici (= SCC) è un eccellente esempio dell'intreccio fra arte letteraria e mistagogia. Esordisce con un'esclamazione: «Ritorna». La brevissima citazione del Ct 2,17 basta per iniziare lo slancio del movimento mistico e dare avvio ad una precisa teologia nascosta sotto immagini bibliche. «Ritorna» dice la sposa (l'anima), allo sposo (al Verbo divino), e vuole richiamare colui che poco fa era ancora presente; sono le vicissitudini di ogni amore, l'al ternarsi della presenza e dell' assenza, da cui neanche l'amore dell'uomo per Dio è esente. l’alternarsi corrisponde, per Bernardo, alla verità del nostro essere, indebolito dal peccato e chiamato alla grazia. Questo via vai, così continua l'autore, non viene dal Verbo, ma dal1'uomo che con questo interpreta la sua vicinanza o lontananza da Dio.
A che cosa servono queste esperienze? Non sono un fine in se stesse, ma servono ad avvicinare l'anima a Dio, aumentando il desiderio:
«Così, dunque è richiamato il verbo, ed è richiamato dal desiderio dell'anima, ma di una tale anima a cui abbia fatto una volta gustare quanto egli sia dolce. Non è forse il desiderio una voce? Si, una voce, e forte. E poi: Il Signore ha esaudito il desiderio dei poveri (Sal 9, 38). Quando, dunque, il verbo se ne va, il continuo desiderio dell'anima è come una voce continuata, come un continuo "ritorna'; finché venga di nuovo» (=SCC 74,2).
Il grido del desiderio si eleva non solo dagli affetti, ma dall'essere umano come tale: l'uomo è fondamentalmente - Bernardo dice «continuamente» - indirizzato verso Dio.
Come esprimere l'evento del ritorno e il dolore dell'assenza? Il linguaggio umano non ne è capace:
«Confesso che il verbo è venuto anche da me, e parecchie volte - parlo da insipiente -. E spesso, essendo entrato da me, non mi accorsi talvolta quando entrava. Sentii che era presente, ricordo che venne; talvolta ho potuto presentire il suo entrare, mai sentirlo, e neppure quando se ne andava, poiché di dove sia entrato nell'anima, o dove se ne sia andato lasciandola di nuovo, e per dove sia entrato o uscito, anche ora confesso di ignorarlo (Sal 76,20)». (SCC74,5)
La visita del Verbo accade a un livello oltre ogni esperienza, perciò Bernardo insiste sulla sua ignoranza riguardo a quanto è accaduto:
«Per dove, dunque, è entrato? Ma forse non è neppure entrato, perché non è venuto dal di fuori. Non è, infatti, alcuna delle cose che sono di fuori. Ora non è neppure venuto dal di dentro di me, perché egli è buono, e so che in me non ce nulla di buono. Sono salito anche nel mio essere superiore, ed ecco il Verbo era ancora più in alto sopra di questo. Sono disceso anche nella parte inferiore di me, esplorando curiosamente, e neppure di sotto l'ho trovato. Se guardavo fuori venni a sapere che egli era al di là di ogni cosa a me esterna, se guardavo dentro, egli era ancora più addentro. E conobbi quanto è vero quello che avevo letto, che "in lui viviamo, ci muoviamo, e siamo" » (SCC74,5).
Il Verbo non è percepito quale oggetto, ma quale unione preesistente. Per questo si può dire che la contemplazione accade piuttosto al livello dell'essere, dell'ontologia, piuttosto che a quello della consapevolezza.
Dopo la serie di criteri negativi nel tentativo di spiegare l'esperienza di Dio, Bernardo offre l'unico criterio positivo e sicuro: la vita spirituale si intensifica, vi si mostrano i frutti della «visita del Verbo»:
«Solo dal movimento del cuore, ho compreso la sua presenza; e dalla fuga dei vizi, dalla soppressione degli affetti carnali ho avvertito la potenza della sua virtù, e dalla conoscenza e dal rimprovero dei miei peccati occulti ho ammirato la profondità della sua sapienza, e da una certa emendazione dei miei costumi ho sperimentato la sua bontà e mansuetudine, e dalla riforma e rinnovamento spirituale della mia mente, cioè del mio uomo interiore, ho percepito in qualche maniera la sua bellezza e il suo decoro, e dall'intuito di tutte queste cose insieme mi ha preso lo spavento davanti alla sua immensa grandezza» (SCC74,6).
La presenza del Verbo è percepita solo per mezzo delle conseguenze e degli effetti.
Benché Bernardo abbia parlato in prima persona, non mira a raccontare le proprie esperienze; suo è lo scopo di esporre la dottrina sana della Sacra Scrittura (...). Di questa dottrina i punti sono i seguenti: ogni cristiano può avere un'esperienza di Dio, ma sempre nella forma dell'alternarsi di presenza e assenza.
L’esperienza stessa non è che un momento della vita spirituale e mistica, mai il suo scopo; l'oggetto del desiderio nella vita spirituale è l'unione con Dio, non l'esperienza passeggera. La sincerità e profondità della contemplazione si verifica in una vita coerente (...) la guida eminente è la Sacra Scrittura.
Passando dal sermone 74 all'intera opera di Bernardo, si può sintetizzare così la sua mistagogia: Bernardo non scrive un'autobiografia; non presenta se stesso quale modello, ma rimanda i lettori alla Sacra Scrittura. Servendosi delle sue parole, conduce l'uomo all'unione con Dio sulla via di Cristo A seconda delle due nature del Figlio di Dio, l'uomo lo esperimenta quale Verbo divino, o come il Gesù sofferente. Ambedue le forme coesistono negli scritti di Bernardo (...). Nella mistagogia bernardiana è ovvia la componente etica: «riformare la mente», è lo scopo immediato della lectio, meditatio, oratio e contemplatio.
Concludendo si può dire che, leggendo gli scritti mistici di Bernardo, il lettore odierno impara ad abbandonare la curiosità su quanto l'abate di Clairvaux abbia sperimentato lui stesso, anzi è indotto ad addentrarsi nel proprio cuore per scoprirvi l'eco della parola che l'autore gli dice e per rivolgersi al suo Creatore:
«Dammi un'anima... per la quale non solo vivere sia Cristo, ma lo sia già stato da molto tempo, che abbia a cuore e spenda il suo tempo a tener presente il Signore sempre, che sia sollecita nel camminare con il Signore suo Dio» (SCC69,1).
Sr. Michaela Pfeifer o.cist.
Nota
(1) Traduzione dal tedesco e in versione ridotta di tre relazione sotto il titolo: L'esperienza di Dio nella Vita Monastica, Atti del XIII Corso Abbadesse, M. Ben.