Una paternità spirituale che, interamente suscitata dallo Spirito, è al contempo autenticamente umana, ma priva di ogni connotazione dissonante: sentimentalismo, intimismo, ecc.
La trasmissione della Parola di Dio - principio di Vita - dà origine tra l'Apostolo e i suoi discepoli a vincoli così forti che vengono espressi con il simbolismo familiare, la metafora della comunione del sangue, della stessa generazione fisica, in sintonia con quanto dice il Signore Gesù ("mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica», Lc 8,21).
L'annuncio missionario dell'Apostolo istituisce in tal modo tra lui e le comunità che ha fondato - allo stesso modo con ciascuno dei credenti che le costituiscono - un rapporto vivo e personalissimo. Servo di Cristo, Paolo è prima di tutto e innanzi tutto servo dei credenti in relazione con Cristo (2 Cor 4,5). Il suo compito, tanto nella testimonianza del Vangelo, quanto nelle ulteriori relazioni con le comunità, è di servire, cooperare, e non di dominare imponendosi (2 Cor 1 ,24).
Generazione alla vita vera
Una reciproca, esistenziale responsabilità unisce quindi l'Apostolo a coloro che «attraverso il Vangelo» egli ha «generato in Gesù Cristo» e che, in qualche modo, a lui devono la loro vita: Paolo è loro «padre» (1 Cor 4,15) e agisce come tale. Chiama Onesimo suo «figlio», che ha generato in catene (Fm 1,10) e ricorda a Filemone, senza dubbio nello stesso senso, che anche lui «gli deve se stesso».
Trattando ciascuno «come un padre fa con i figli», l'Apostolo educa, esorta, incoraggia, scongiura (1 Ts 2,11): si propone come modello da imitare (secondo una pedagogia il cui principio di fondo è, appunto, l'imitazione, la sequela obbediente: cf Ef 5,1; 1 Cor 4,16; 1 Cor 11,1; Fil 3,17; 1 Ts 1,8; 2,14).
1 Cor 4,14-15 «Non per farvi arrossire vi scrivo questo, ma per ammonirvi, come miei figli carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri; io invece vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo».
Dono della propria vita
La relazione dell'Apostolo con le sue comunità si traduce essenzialmente nel dono di se stesso e in una affezione che Paolo non si stanca di esprimere. Con il Vangelo di Dio, è la «sua stessa vita» che è disposto a donare (1 Ts 2,8). Ciò che egli cerca, non sono i beni dei credenti, ma loro stessi; è pronto a offrirsi per loro come i genitori fanno per i loro figli, senza essere certi di essere ricambiati (2 Cor 12,14-15). La sua «sollecitudine per tutte le chiese» (11,8) il suo amore per tutti in Gesù Cristo (1 Cor 16,24) vanno di pari passo con una attenzione verso ciascuno di coloro per i quali «Cristo è morto»; piuttosto di veder cadere un fratello, per una semplice questione di cibo, l'Apostolo rinuncerebbe a mangiar carne per sempre (8,11-13). Questo amore trova nella 2 Cor, dove Paolo cerca soprattutto di ristabilire relazioni migliori con la comunità, degli accenti particolarmente incisivi e commoventi (2,4; 6,11.13; 7,2.3; 11,2; 12,14.15). Paolo indulge persino a giustificare il suo comportamento, quando poteva essere frainteso (1,17) pur con il rischio di sembrare voler raccomandare se stesso (5,12; 12,19). In certe occasioni, si esprime con estrema delicatezza (2,1-4; 7,9; Fill, 23-26; 2,25-28). Ma non sono esclusi i rimproveri (1 Cor 1 ,10-6,20) e talora nemmeno una ironia dolorosa, che cerca di velare con il sarcasmo il dolore patito (4,9-13). La violenza stessa che a volte l'Apostolo dimostra, in parole, nei riguardi di coloro contro i quali mette in guardia le sue comunità, testimonia, a suo modo, l'amore che, nel Cristo, egli prova per loro.
Accenti non solo paterni, ma anche materni
Gli accenti di calore umano a cui Paolo dà libero corso non ricusano di assumere talora connotazioni materne. L'amore per Cristo che spinge l'Apostolo nella sua missione universale, lo incalza perché i credenti diventino sempre più conformi a Colui che lo ha raggiunto e trasformato la sua vita.
Gal 4,19 «Figli miei, per i quali soffro di nuovo le doglie del parto, fino a che Cristo non sia formato in voi».
1 Ts 2,6-8 «Neppure abbiamo cercato dagli uomini la gloria, né da voi né da altri; pur potendo essere di peso, come apostoli di Cristo, siamo stati al contrario affabili con voi: come una madre che cura premurosamente i suoi figli, così noi, desiderandovi ardentemente, eravamo disposti a comunicarvi non solo il vangelo di Dio ma la nostra stessa vita, tanto ci eravate diventati cari».
Intensità spirituale e affettiva
Si potrebbero moltiplicare - e si dovrebbero approfondire adeguatamente - le citazioni dei testi che esemplificano come la sua altissima esperienza di Cristo e dello Spirito abbia penetrato tutto lo spessore umano e la densità psico-affettiva della sua persona.
1 Ts 2,17-20 «Quanto a noi, fratelli, privati di voi per breve tempo, di persona ma non di cuore, abbiamo tanto più cercato, con grande desiderio, di vedere il vostro volto. Perciò più volte abbiamo voluto, almeno io, Paolo, venire da voi; ma Satana ce lo ha impedito. Qual è infatti la nostra speranza, o la nostra gioia, o la corona di cui siamo fieri? Non siete forse voi, davanti al nostro Signore Gesù quand'egli verrà? Si certo, voi siete il nostro vanto e la nostra gioia».
Fil 4,1 «Pertanto, miei fratelli diletti e desiderati, mio gaudio e mia corona, perseverate così nel Signore, o diletti».
Incoraggiamento, correzione, richiamo
È necessario sottolineare che la relazione così evocata non è solo (né principalmente) di carattere emozionale o affettivo, ma intende esprimere eminentemente la responsabilità e la sollecitudine pastorale.
È con tutto il suo calore umano che l'Apostolo assume ogni responsabilità nei confronti di tutte le chiese, con l'autorità connessa con la sua missione. La sua forza autorevole, egli l'ha ricevuta «per edificare e non per distruggere» (2 Cor 13,10). Senza mai demordere, preferisce frequentemente parlare «in nome dell'amore» (Fm 9). Quando dà degli ordini, delle direttive o dei consigli, si mostra attento a precisare la loro origine (1 Cor ne dà molti esempi). D'altronde, in linea generale, le sue esortazioni, che si appoggiano sull'azione preveniente di Dio verso i credenti, restano finalizzate a una sapiente crescita spirituale: non prevalgono gli ordini categorici, ma soprattutto le indicazioni pedagogiche perché si approfondisca in tutti e in ciascuno un discernimento che l'azione dello Spirito deve permettere di esercitare sempre meglio. È Dio che, per la crescita in essi dell'amore e del rinnovamento interiore, darà loro di discernere ciò che veramente vale, per riconoscere la sua volontà (Fill ,9¬10; Rm 12,1-2). Prima di dover intervenire, l'Apostolo preferisce invitare i credenti a operare da se stessi «la propria critica» (2 Cor 13,5). Quanto alla generosità nella condivisione dei beni, in particolare, egli insiste sull'importanza della libertà interiore (2 Cor 8,8-9; 9,7; cf 8,17 e Fm 9,14).
1 Ts 2,10-12 «Voi siete testimoni, e lo è Dio stesso, come in maniera pura, giusta e irreprensibile siamo stati con voi che avevate creduto, così anche sapete che, come un padre fa con ciascuno dei suoi figli, vi abbiamo esortato, incoraggiato e scongiurato a camminare in maniera degna di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria».
Fil 2,14-16 «Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute, perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione stolta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato».
Gal 4,16-20 «Vi sono forse diventato nemico dicendovi la verità? Essi mostrano un interesse acceso per voi, però non rettamente, ma vi vogliono isolare da noi, affinché abbiate interesse per loro. È bello avere un interesse vivo per il bene, sempre, e non solo quando io sono presente tra voi, figli miei, per i quali soffro di nuovo le doglie del parto, fino a che Cristo non sia formato in voi. Vorrei proprio essere presso di voi ora, e parlarvi a tu per tu, poiché sono ansioso nei vostri riguardi».
Fil 1,7-10 «È’ giusto che così pensi di tutti voi, perché vi porto nel cuore, essendo voi tutti, e nelle mie catene e nella difesa e consolidamento del vangelo, partecipi con me della grazia. Sì, mi è testimone Iddio quanto ardentemente ricerchi tutti voi col cuore di Cristo Gesù. Questo io chiedo: che il vostro amore cresca sempre più in conoscenza e in ogni delicato sentimento».
Reciprocità
La comune appartenenza a Cristo unisce l'Apostolo e le sue comunità più profondamente di quanto non li separi la vocazione specifica di ciascuno. Comunione nella fede in Cristo e nella sofferenza per Lui, in un medesimo combattimento (Fil 1,29), comunione nei patimenti e nelle consolazioni (2 Cor 1,7; cf. 1,4; 2,3), nel dolore (2,5) e nel perdono (2,10), comunione nella preghiera (Paolo non cessa di pregare per le sue chiese, ma domanda e attende anche che si preghi per lui, 2 Cor 1,11; Rm 15,30); comunione, anche, nel giorno del Signore, in una reciproca «fierezza» (2 Cor 1,14).
2 Cor 12,14-15 «Questa è la terza volta che sto per venire da voi, e non vi sarò di peso; perché non cerco le cose vostre, ma voi.
Non spetta ai figli mettere da parte per i genitori, ma ai genitori per i figli. Ed io prodigherò volentieri e consumerò me stesso per le vostre anime.
E se io vi amo tanto, dovrei essere riamato di meno? ».
2 Cor 6,13 «Rendeteci il contraccambio! Parlo come a figli, dilatate il cuore anche voi! ».
Nei confronti dei collaboratori
Come è naturale, la coscienza paterna di Paolo si manifesta in modo più esplicito nella relazione con i suoi collaboratori più diretti: ne danno prova soprattutto vari passi delle lettere pastorali:
1 Tim 1,2 «A Timoteo, mio legittimo figlio nella fede: grazia, misericordia, pace, da Dio Padre e da Cristo Gesù nostro Signore»,
1 Tim 1,18 «Questo incarico di richiamare io te lo affido, o Timoteo, figlio mio, in accordo alle profezie che già si sono manifestate riguardo a te, affinché da quelle sostenuto tu combatta la buona battaglia».
2 Tim 1,2 «A Timoteo, figlio carissimo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù, Signore nostro».
2 Tim 2,1 «Tu, dunque, figlio mio, rafforzati nella grazia che è in Cristo Gesù».
La relazione privilegiata di Paolo nei confronti di Timoteo è attestata anche nelle grandi lettere:
1 Cor 4,17 «Per questo appunto ho mandato da voi Timoteo, mio figlio diletto e fedele nel Signore, a ricordarvi le vie che vi ho indicato in Cristo, come insegno dappertutto in ogni Chiesa».
Fil 2,22 «Voi conoscete la sua sperimentata virtù: come un figlio verso il padre, si è dedicato insieme a me al servizio del vangelo».
Esempi altrettanto significativi non mancano nella lettera a Tito:
Tt 14 «A Tito, mio figlio legittimo secondo la fede che ci è comune, grazia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro Salvatore».
Imitazione
L'importanza che Paolo conferisce alla qualità delle sue relazioni con le comunità, la sua richiesta, a volte persino insistente, di essere compreso e amato, la gioia e la consolazione che dice di provare (2 Cor 7,13; Fm 7) devono essere intese alla luce di questo vincolo totalmente spirituale e umano.
Esso dà inoltre pienezza di senso al tema della imitazione, che si dispiega da Cristo a Paolo e da Paolo alle sue comunità, sia nelle sofferenze che si devono patire (1 Ts 1,6.7) sia nella ricerca non del proprio vantaggio personale, ma quello «di un maggior numero, perché siano salvati» (1 Cor 10,23-11,1), che si attua anche nelle altre Chiese «nel Cristo Gesù» nell'obbedienza ai comandamenti di Paolo (1 Ts 2,14), nell'unità dell'unica «liberazione compiuta in Gesù Cristo» (Rm 3,24).
Conviene sottolineare ancora che il porsi come modello da imitare non va inteso come una indebita presunzione, ma all'interno di una concreta pedagogia i cui fondamenti poggiano appunto sulla proposta delle modalità di pensiero e di comportamento, degli atteggiamenti spirituali e relazionali ritenuti più adeguati per il raggiungimento del fine.
1 Cor 4,16-17 «Vi esorto dunque: siate miei imita tori.
Appunto per questo vi ho mandato Timoteo, che è mio caro e fedele figlio nel Signore; egli vi ricorderà come io mi comporto in Cristo Gesù, e come insegno dappertutto, in ogni chiesa».
Ef 5, 1 «Imitate Dio, come figli diletti».
Di qui nasce il principio direttivo di comportarsi verso gli altri, uomini e donne, manifestando la stessa sollecitudine spirituale che si ha sperimentato in prima persona:
1 Tim 5,1-2 « Non riprendere con asprezza l'uomo anziano, ma esortalo come si esorta un padre; i giovani, come fratelli; le donne anziane come madri, le giovani come sorelle, in tutta castità».
Come Dio, principio di ogni paternità
In definitiva, si può dire che la responsabilità con cui vive la sua paternità spirituale suggerisce a Paolo di dichiarare ai Corinti di averli «promessi a un unico sposo» (2 Cor 11,2).
Forse che i credenti non sono stati «messi a morte quanto alla legge mediante il corpo di Cristo, per appartenere a un altro, cioè a colui che è risuscitato dai morti» (Rm 7,4)?
Paolo sente per loro «una specie di gelosia divina, avendovi fidanzata a uno sposo, per presentarvi qual vergine pura a Cristo» (2 Cor 11,2).
È ancora la sua fede nell'azione di Dio, che permette di comprendere meglio l’atteggiamento sempre positivo dell'Apostolo nei confronti di coloro ai quali si rivolge.
Il rendimento di grazie all'inizio delle lettere ha come oggetto ciò che Dio ha già realizzato, e la preghiera che Paolo aggiunge, gli permette da un lato di formulare, in modo generale e indiretto, gli orizzonti ulteriori che propone loro di raggiungere, ma sottolinea dall'altro la sua convinzione che soltanto Dio può assicurarne il compimento.
La sollecitudine, la responsabilità e l'esigenza che egli dimostra verso i credenti, sono l'espressione storica concreta, la mediazione umana che si rivela pienamente in continuità con l'istanza, il calore, le attese che Dio, principio di ogni vita e di ogni relazione paterna e materna tra gli uomini, nutre per loro:
Ef 3,14-21 «Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell'uomo interiore, e faccia si che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell'amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.
Ora a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo, a lui sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen»
Suor Germana Strola o.c.s.o.
Monaca del Monastero delle Trappiste di N. S. di San Giuseppe, in Vitorchiano (VT)
(da Vita Nostra, Rivista Cistercense)