Uno degli scogli più ostici per la comprensione del Vangelo e del senso profondo del Regno dei cieli è senza dubbio rappresentato dalla nostra idea di giustizia. Non è forse questo il nostro problema più drammatico nel leggere le vicende della nostra esistenza? Non è forse il punto decisivo e dolente su cui va in crisi la nostra idea della bontà e dell'onnipotenza di Dio? Non è forse vero che quasi ogni giorno vicende nostre o di altri ci pongono drammaticamente nella condizione di intentare veri e propri processi a Dio, quasi sempre condannando dentro di noi la sua insensibilità o la sua ingiustizia nei confronti di chi secondo noi non si merita o si merita il male?
Il versetto 45 del capitolo quinto del Vangelo di Matteo ci consegna, in proposito, una frase di Gesù volutamente scandalosa per la mentalità giudaica, e anche per la nostra. Dio fa splendere il sole e manda la pioggia (metafore del bene e del male della vita) su buoni e cattivi, su giusti e ingiusti... e noi siamo chiamati dal Signore ad assomigliargli, in questo, come figli. Un Dio che non tiene in alcun conto il comportamento dell'uomo, dunque? Un Dio qualunquista o addirittura indifferente?
L'oscillazione del pendolo
In realtà basterebbe una minuscola riflessione per capire il vero senso di queste parole. Basterebbe smetterla di considerare buoni e cattivi, giusti e ingiusti come due categorie di persone in cui è divisa l'umanità. Basterebbe supporre, certo con un maggiore realismo, che i
buoni e i cattivi non sono persone diverse, ma le stesse persone in momenti e situazioni diverse della loro esistenza. Si tratta dell'oscillazione del pendolo, dello stormire delle fronde dell'esistenza, dell'ondeggiare di ogni passo della nostra strada di creature ambivalenti e ferite - tutte - dal peccato. Se nel momento in cui la nostra vita passa attraverso l'inevitabile valle oscura della cattiveria e dell'ingiustizia Dio ci togliesse anche il raggio di sole che ci permette di intravedere la via del ritorno o se, al contrario, nel momento in cui camminiamo alla luce piena del bene non dovesse più cadere pioggia sui nostri passi, correremmo i due rischi letali che possono devastare un'esistenza umana. Da una parte lo scoraggiamento e la disperazione di chi ha camminato al buio talmente a lungo da essersi chiuso definitivamente a ogni possibile salvezza. Dall'altra il cieco e supponente orgoglio di chi pensa di aver imparato il trucco del vivere e crede di resistere, forte della propria esperienza o della propria prudenza.
In entrambi i casi si finirebbe per fare a meno di Dio. Nel primo perché si è convinti che nemmeno il suo amore ci può (o ci vuole) più salvare; nel secondo caso perché si pensa che ormai il suo intervento salvifico sia superfluo. Molto meglio ritrovarci ogni giorno ingiustamente riscaldati da un sole che splende per tutti o sorprenderci bagnati fradici da una pioggia che non crediamo di meritare. Questo non per condannarci a una sterile sensazione di precarietà, ma ancora una volta per salvarci, spingendoci verso l'unico atteggiamento che ci garantisce la felicità: abbandonarci senza paura alle scelte del Padre che dal cielo - alla fine dei conti - manda per noi sempre e solo la sua salvezza carica di amore.
(da Italia Caritas, dicembre 2003)