Vita nello Spirito

Giovedì, 03 Febbraio 2011 21:19

I quattro terreni (Giovanni Vannucci)

Vota questo articolo
(1 Vota)

Prima di cercare di capire la parabola del seminatore, narrata in Mt 13, 1-23, sono necessarie alcune delucidazioni sopra i suoi vocaboli chiave: Gesù da una barca parla alla folla, che l’ascolta sulla riva del mare; parla in parabole; parla di un seme gettato nel terreno, di quattro specie di terreno; nella spiegazione che dà della parabola il seme è identificato all’uomo che ascolta o non ascolta.

I quattro terreni

di Giovanni Vannucci

Prima di cercare di capire la parabola del seminatore, narrata in Mt 13, 1-23, sono necessarie alcune delucidazioni sopra i suoi vocaboli chiave: Gesù da una barca parla alla folla, che l’ascolta sulla riva del mare; parla in parabole; parla di un seme gettato nel terreno, di quattro specie di terreno; nella spiegazione che dà della parabola il seme è identificato all’uomo che ascolta o non ascolta.

«Gesù salì su una barca vicino alla riva del mare, e alla folla rimasta sulla spiaggia parlò in parabole». Questa descrizione, oltre al suo significato storico, ha un senso psicologico. Il mare, nel linguaggio metaforico dei Vangeli, indica qualcosa di diverso dalla terra: in questa premessa al discorso in parabole, esso indica che Cristo sta parlando di cose che non appartengono all’ordinaria comprensione dell’uomo, ma di realtà che a prima vista sono oscure a un intendimento basato sui dati dei sensi.

Che Egli parli da un altro livello è indicato dalla sua collocazione sulla barca nel mare. Le varie categorie delle idee dipendono dai differenti livelli di comprensione; essi, nel naturale linguaggio dei sensi, vengono raffigurati in vari modi: con i monti, in quanto distinti dalla pianura - il discorso della Montagna, per esempio -, oppure col mare, in quanto è altra cosa che la terra. Così, in questo discorso. Gesù, rivolgendo la parola a una folla che è sulla spiaggia, indica che sta parlando da un livello di coscienza differente da quello dell’uomo ordinario.

«Egli parlava loro in parabole»; la parabola è il supporto che unisce un’immagine presa dalla vita ordinaria, dal livello sensibile - il seminatore e le vicende del seme sparso in differenti terreni -, con un significato che appartiene a un livello superiore. L’uomo vive fisicamente sulla terra, illuminato e nutrito dalle energie del sole; psicologicamente e mentalmente vive illuminato e nutrito da una luce che viene dall’alto, luce più necessaria e meravigliosa di quella del sole sensibile. Nella misura in cui l’uomo ascende nella conoscenza, si radica sempre di più in questa luce, sicché si può affermare che è essa a guidare l’uomo alla vera e piena conoscenza.

La parabola è perciò un linguaggio che, usando i termini forniti dall’esperienza dei sensi, allude a un superiore livello di significato. Per comprenderne il messaggio non è sufficiente fermarsi all’immagine sensibile o letterale, alla percezione esteriore, ma è necessario raggiungere una percezione interiore. Gli antichi pensavano che l’uomo fosse il ponte, il collegamento tra la terra e il cielo. Tenendo presente questa immagine possiamo comprendere le parabole; la loro differente comprensione rivela la varietà del nostro personale livello nella scala dell’essere; esiste uno stretto rapporto tra il seme e le qualità del nostro personale terreno, per questo le parabole di Gesù non sono dei temi di predicazione ma delle interrogazioni severe che ci vengono rivolte.

Il seme viene sparso nel mondo a larghe mani, la parola viene comunicata a tutti, cade lungo le strade dove trova due consumatori: gli uccelli e il maligno. Gli uccelli, gli spiriti leggeri e incostanti, gli uomini superficiali che vanno errando qua e là, che cercano senza trovare e non si danno pensiero di ciò che per caso possiedono: a essi il Regno è predicato in pura perdita. Però, come gli uccelli che cibandosi di un seme lo trasportano in terre lontane, sono l’occasione della propagazione della parola loro malgrado e con il loro inconsapevole ausilio. Quanti deridendo una dottrina l’hanno resa familiare e hanno attirato l’attenzione di chi l’avrebbe vissuta!

L’altro consumatore del seme sparso sulla strada è il maligno; egli assume un nutrimento atto a distruggerlo o a mutarne l’intrinseca natura.

Quindi c’è il terreno sassoso, l’uomo che si rallegra alla parola di verità, ma dal godimento all’attuazione della parola il passo è difficile. La parola del Regno è una bella cosa, purché non disturbi, non ostacoli il piccolo regno che ognuno si costruisce m questo mondo. Se bastasse solo credere, tutti crederebbero! Ma è necessario operare, scomodarci e scomodare, capovolgere la comoda morale corrente in nome di una morale nuova ed eccezionalmente scomoda. Chi è privo di carattere, chi ha qualcosa da difendere non può portare la parola alla fruttificazione.

II seme cade in mezzo alle spine, il seme divino è forte per natura, né aborre alcun luogo, ovunque può attecchire e germinare; né gli importa se non giungerà a maturazione.

Il seme cade infine sul terreno buono, ove dà un frutto di differente abbondanza. La parola del Regno frutta il cento per uno negli spiriti liberi, pronti, generosi, incuranti di se stessi, capaci di cercare la giustizia del regno di Dio con tutte le loro energie, pronti a rinunciare a se stessi, a staccarsi da ogni terreno vincolo o desiderio.

Vi sono poi gli uomini di buona volontà che cercano di fare del loro meglio per aderire alle leggi divine; per essi Dio sarà sempre Dio, un ottimo padrone, ma mai un Padre. Dio resta per loro il grande estraneo; la loro personalità conosce un solo modo di annientamento: l’umiliazione, non la trasfigurazione di se stessa. L’amore che si innalza come allodola nel cielo non è per loro, sono uccelli di gabbia, non d’aria, essi danno il sessanta per cento.

Vi sono infine gli spiriti aridi ma onesti, obbedienti per natura; seguono la parola del Regno non per amore, non per timore, ma per rigido dovere; donano se stessi, ma senza ardore, senza entusiasmo. Essi rendono il trenta per cento del seme loro affidato. Nell’economia dell’universo la creazione si ribella all’inutilità, la divina giustizia separa se stessa da ciò che l’ha respinta ...,  perché Dio creatore del tempo e principio dell’eternità non disperde né l’uno né l’altra in vendette.

Da saggio coltivatore distrugge quanto non ha risposto, dirà a ognuno di noi: «Ho seminato in te il mio seme perché germinasse, tu non l’hai fatto, imputa a te stesso il tuo danno.  Creandoti libero ho sostituito l’istinto del bruto con l’intelligente ragione, l’impulso con la chiaroveggente volontà, la legge ferrea di causa ed effetto con l’intuitivo amore. Tu cosa ne hai fatto? Sia fatta la tua, non la mia volontà».

A nessuno è chiesto più di quanto può dare, ma a tutti è chiesto di dare quanto possono dare.


(15a domenica del tempo ordinario, Anno A - in Risveglio della coscienza, ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte (BG) ed. CENS, Milano 1984, pp. 131-133).

Letto 3845 volte Ultima modifica il Venerdì, 04 Febbraio 2011 14:19
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search