La preghiera fuori dal cuore
Un “trattato della preghiera”
nelle Meditazioni sul Vangelo di Bossuet
di Jean Christophe de Badal o.p.
Le Méditazioni sul Vangelo sono una raccolta di riflessioni quotidiane che il vescovo di Meaux destinava, in primi luogo alle Visitandine della sua città. Le pubblicò poi nel 1695, giudicandole idonee per ogni “anima cristiana”, secondo l’appellativo che usa continuamente indirizzandosi al suo lettore. Egli lo conduce così dalla montagna del Sermone fino all’uscita dal Cenacolo, quando Gesù si prepara a salire la “Montagna degli Ulivi”. Questo itinerario scorre lungo circa 338 giornate, i cui quattro quinti circa concernono gli avvenimenti della settimana santa, e le parole che il Salvatore pronunciò in quello spazio di tempo.
Sarebbe difficile riconoscere, nello stile familiare di questi testi, il potente oratore delle orazioni funebri e delle grandi prediche, se non vi si discernesse, anche, lo stesso amore delle Scritture. Qui invece egli si indirizza all’intimo di questa anima che occorre toccare con il suo proprio linguaggio, senza grandi ornamenti o amplificazioni.
Si possono distinguere, sviluppati nei diversi “giorni”, trattati di dottrina, sull’Eucaristia, per esempio, al momento della Cena, o di morale a proposito delle Beatitudini. Tuttavia lo scopo è sempre di tirarne, ogni giorno, insegnamenti pratici a uso dell’anima cristiana, per un progresso nella vita spirituale. Il metodo sembra imitare le Méditazioni sulla Passione (1651) del domenicano Louis Chardon di cui Bossuet era, senza dubbio, un lettore assiduo.
Nel cuore del santuario interiore
La prima parte delle Meditazioni consiste dunque in un commento del Discorso sulla montagna, esteso lungo 47 giorni. Seguendo l’ordine delle materie in Matteo, Bossuet mescola, per così dire, due trattati: un trattato delle opere secondo la perfezione della giustizia cristiana, dal I° al XX giorno (Mt 5,1/6, 4) e dal XXVIII al XXXVIII giorno (Mt (6,16 - 7,6); un trattato della “preghiera”, a proposito dell’insegnamento del Padre Nostro dapprima (dal XXI al XXVII giorno, (vedi Mt 6, 5-7,13) riflessioni sulla perseveranza nella preghiera e sulla sua forza, in seguito (dal XXXIX al XLIV giorno, vedi Lc 11,5-8 et 18,1-8, poi Mt 7, 1-11 / Lc11, 9-13).
Questo trattato della preghiera ha ritenuto la nostra attenzione per l’apparente tensione che vi si nota fra due versanti distinti, fra una preghiera che sembra essere tutta interiore, ed un’altra che resta per così dire estranea a se stessa e come “al di fuori”.
Senza dubbio il Padre Nostro, di cui ci parla la prima parte del trattato, termina in domande fatte a Dio. Tuttavia esse si iscrivono nella sua celebrazione come Padre degli umani e specialmente, per Bossuet, di quella “anima cristiana” alla quale indirizza queste pagine. Così considerata, la preghiera è un gioire nel più intimo del cuore, che richiede l’esercizio e l’attività di tutte le sue facoltà.
Considerate, pesate, ruminate, gioite. La vèrità è il pane dell’anima. Non si deve ingoiare subito, per così dire, ogni brano del testo. Non si deve passare continuamente da un pensiero ad un altro, da una verità ad un’altra: ritenetene una, stringetela fino ad incorporarla, unitele il vostro cuore più che il vostro spirito, tiratene, per così dire, tutto il succo a forza di spremerla con la vostra attenzione (XXI giorno p.36).
Ogni verità tuttavia, tende a quella che le contiene tutte: la presenza di Dio nel nostro cuore:
Dio vi vede nel secreto. Considerate che vi vede nell’intimo infinitamente più che voi stessi. Fate un atto di fede semplice e vivo sulla sua presenza.
Anima cristiana , mettiti sotto i suoi occhi tutta intera. Egli è intimo, è presente (...). Credi con viva forza che è presente in te dandoti nell’intimo tutti i buoni pensieri, come tenendo nella sua mano la sorgente da cui sgorgano: e non soltanto i buoni pensier, ma anche i buoni desideri, le buone risoluzioni e tutte le buone volontà... (ibid., p.36-37).
Tutta l’attività dell’anima in preghiera, dunque, consiste, in realtà, in un abbandono all’attività di Dio qui chiamata “visione”, “presenza” che investe l’anima e sorpassa da ogni lato la coscienza, in modo tale che lei non può accogliere coscientemente il suo Creatore.
Bossuet fa qui una parafrasi del Deus interior intimo meo delle Cofessioni di Agostino: Dio più presente all’anima dell’anima stessa, presente in quelle profondità alla cui conoscenza lei non può arrivare.
Entrate nella vostra stanza, la più intima della casa, entrate nel più intimo del vostro cuore (ibid., p.16)
Là, infatti, l’anima accoglie Dio, ma in una camera o in un studiolo, riempito per lei d’oscurità. Fra questo Padre e suo figlio non c’è una presenza interpersonale, come può essercene fra due esseri umani, proprio perché Dio in questo mondo e infinitamente più presente a me che io a Lui. Egli mi vede, io non lo vedo. C’è però una certa dolcezza sapendo d’essere visti da Lui, anche se permane l’impazienza di vederlo un giorno. Così quella camera oscura può divenire, in certi momenti privilegiati, come l’anticamera non del cielo, ma del desiderio del cielo: desiderio di una visione vicendevole, di sguardi scambiati, infine, fra l’anima e Dio:
Offrigli le parte intima di te, perché egli vi dimori e ne faccia il suo tempio. Esci a volte da te stessa guardatelo nel cielo dove si manifesta ai suoi prediletti. Là ti aspetta. Corri, vola, rompi i tuoi legami, tutto quanto ti trattiene attaccata alla carne e al sangue. O Dio quando ti vedrò? Quando avrò quel cuore puro che permette di vederti in noi stessi, fuori di noi, dovunque? O luce che illumini tutto! O vita che animi tutto! O verità che alimenti tutto! O bene che colmi tutto! O amore che unisci tutto! Ti lodo o Padre celeste che mi vedi nel segreto (ibid., p,17).[1]
Così la celebrazione della presenza e dello sguardo di Dio sull’anima, diviene infine lode e azione di grazia, anche se Bossuet ha potuto misurare la distanza che c’è fra guardarlo in cielo e vederlo un giorno come Lui ci vede ora.
Pregare sulla soglia del santuario
La seconda parte del saggio è del tutto differente. La preghiera qui è domanda e null’altro. Bossuet commenta questa esortazione del Vangelo: bussate, senza aggiungervi immediatamente e vi sarà aperto (vedere XL giorno, p. 57). Quella porta, contro la quale l’anima deve intensificare i suoi colpi, infatti, è la sua, quella della sua camera interiore che nulla faceva presagire potesse trovarsi chiusa all’anima stessa. Vedevamo al contrario l’anima nella sua stanzetta, applicandosi con tutte le sue forze a questo pensiero così consolante che il suo Dio la vedeva, le era presente. Qui invece l’anima non ha più accesso al santuario del suo cuore.
Esiliata dal tempio interiore, cesserà allora di pregare? No certo. A questo punto Bossuet termina quel che abbiamo chiamato il suo trattato della preghiera, con queste parole che suonano stranamente, oggi:
Anima religiosa! Il frutto della dottrina di Gesù Cristo sulla preghiera deve essere principalmente di restare fedele alle ore che vi si consacrano. Anche se tu sei distratta interiormente, se ti lamenti di esserlo, se desideri soltanto di non esserlo e dimori fedele, umile e raccolta esteriormente, l’obbedienza che tu rendi a Dio, alla Chiesa e alla regola restando in ginocchio, osservando gli inchini e tutto il resto della manifestazione esteriore della pietà, conserva lo spirito di preghiera. Si prega allora per presenza fisica, per disposizione e per volontà (XLIV giorno, p. 50).
Pregare per “presenza fisica” ? Non conservare che la forma esterna della pietà e della preghiera? Non saremmo tentati di giudicare tutto questo, ipocrisia e falsa devozione?
Al tempo di Bossuet, la Bruyère, amico del vescovo di Meaux, non ironizzava forse nel suo libro, “I caratteri”, sulla falsa devozione? Qui però non si tratta di approvare l’atteggiamento dei falsi devoti, ma di riconoscere che la preghiera compiuta all’esterno del santuario, può essere una vera preghiera ed avere anche molto valore. Come ciò può verificasi? Perché l’anima che si trova come rigettata fuori di se stessa dalle diverse “distrazioni” trova l’asilo d’un santuario più vasto del suo, “la Chiesa” : Chiesa nel suo mistero divino, certo, ma anche Chiesa come città umana, con le sue istituzioni, i suoi precetti, le sue leggi, che regolano non soltanto la moralità del cristiano, ma anche la sua preghiera, secondo i diversi ‘statì di vita’ in cui si trova, laico o religioso.
Queste considerazioni di Bossuet ci sembrano dunque ben indicate per sottolineare il valore spirituale di certe obbligazioni che la Chiesa continua a prescrivere e che, come obbligazioni, sembrerebbero sempre meno ascoltate soprattutto se si tratta d’un’azione, la preghiera, che dovrebbe essere libera e spontanea, si accetta difficilmente di sentirsi imporre tempi e ritmi. A volte si ritiene opportuno di distanziare i momenti di preghiera per non cadere nella routine ed essere più completamente a Dio quando si sente venire l’ora. Ciò accade perché non si sa concepire altra preghiera se non la fervente e tutta interiore. Si dimentica così che si è fortunati di sentirsi ‘aridi’. poiché la condizione dell’uomo, di fronte alla grazia, è proprio quella di riceverla come una rugiada in un suolo assetato.
... come la terra frastagliata e disseccata sembra domandare la pioggia mostrando soltanto al cielo la sua siccità, così l’anima espone i suoi bisogni a Dio. Sono le parole di Davide: L’anima mia Signore è davanti a te come una terra disseccata ( LXI giorno, p. 58)
La preghiera è anche il luogo per riconoscere questa verità, condizione necessaria secondo Bossuet a questa preghiera perpetua che il Vangelo comanda e che:
... si fa tenendosi il più possibile in uno stato di dipendenza verso Dio, esponendogli le proprie necessità, cioè rimettendole davanti ai suoi occhi senza dire niente... Signore non ho bisogno di pregarti: il mio bisogno ti prega; la mia indigenza ti prega; la mia necessità ti prega. Fin quando questa disposizione dura, si prega senza pregare; fin quando si sta attenti a evitare ciò che ci mette in pericolo, si prega senza pregare; e Dio comprende questo linguaggio.(ibid., p.57 - 58)
(in La Vie Spirituelle, maggio 2009, p.207-215. Traduzione dal francese di sr Immacolata Occorsio, smsm)
[1] Al tempo di Bosssuet, si dava del voi a Dio ed anche ai penitenti. L’uso del voi continua, anche se in maniera più ridotta, ai tempi nostri, in Francia. Il tradurre in italiano quel “voi”, oggi, poteva diminuire il lirismo che esprime la preghiera del cuore. Lo stesso si può dire per l’esortazione all’anima cristiana, perciò nella traduzione è stato usato il “tu” al posto del “voi” (N.d.T).