Vita nello Spirito

Venerdì, 26 Novembre 2010 21:40

La teologia della “Trinità” di Rublëv (Aleksandr Vetelev)

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Le icone del venerabile Andrej Rublëv contengono una forza di spiritualità e di grazia tale da costringere incessantemente a contemplarle, a meditarle, a comunicare interiormente e spiritualmente con esse. Quando consideriamo gli eventi o i personaggi biblici raffigurati nell'iconografia di Andrej Rublëv, vi scorgiamo un duplice strato: la presentazione che ne dà la Bibbia e la rappresentazione che ne fornisce l'iconografo.

Il presente studio è apparso nella “sezione teologica” della Rivista del Patriarcato di Mosca (nn. 8-10, 1972). L'Autore è docente all'Accademia ecclesiastica di Mosca; la sua teologia parte dall'iconografia e questo metodo ci sembra caratteristico per l’Ortodossia russa. Nella traduzione è stato conservato lo stile arcaizzante, non di rado pesante e pleonastico. 

Introduzione

Le icone del venerabile Andrej Rublëv contengono una forza di spiritualità e di grazia tale da costringere incessantemente a contemplarle, a meditarle, a comunicare interiormente e spiritualmente con esse. Quando consideriamo gli eventi o i personaggi biblici raffigurati nell'iconografia di Andrej Rublëv, vi scorgiamo un duplice strato: la presentazione che ne dà la Bibbia e la rappresentazione che ne fornisce l'iconografo. Ci sembra che gli angeli, i profeti, Cristo, gli apostoli, la Vergine, i santi, abbiano lasciato le pagine della Scrittura e si siano incarnati in immagini vive per parlare a noi con l'aspetto, il colore, il vestito e soprattutto con le sublimi idee religiose di cui sono portatori. Tale è l'impressione prima e fondamentale che riceviamo contemplando le opere del monaco pneumatoforo; questa impressione si rafforza quando vogliamo approfondire l'eredità iconografica di Andrej Rublëv ed è uno dei criteri sicuri per apprezzarne il valore.

Fra le opere del celebre monaco hanno particolare significato le icone. Che cos'è l'icona? L'icona (dal greco eikòn) è una rappresentazione, un'immagine, un ritratto, che possiede un significato sacro, “orante”. Secondo la tradizione ecclesiastica, l'icona nacque assieme al cristianesimo, all'incarnazione del Figlio di Dio. Nell'Antico Testamento il profeta Mosè aveva proibito in nome di Dio agli ebrei qualsiasi rappresentazione di Dio, perché non era possibile rappresentare Lui invisibile senza cadere in fantasie, deformazioni, idolatria. Ma venne il tempo in cui l'impossibile divenne possibile: il Figlio di Dio s'incarnò, si fece uomo, e gli uomini poterono per la prima volta vedere Dio “nella carne”. Cristo ha detto agli apostoli: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv. 14, 9). Gli apostoli, gli abitanti della Palestina e di altre contrade hanno visto il Cristo, hanno assistito al suo battesimo, ai suoi miracoli, alla sua trasfigurazione, al suo ingresso trionfale in Gerusalemme, al processo davanti a Pilato, alla crocifissione e agli altri eventi della sua vita terrena.

Anche noi desideriamo profondamente ascoltare e vedere il nostro Salvatore: attraverso il Vangelo udiamo le sue parole e quasi la sua voce, attraverso l'iconografia contempliamo l'aspetto esteriore del Cristo con i miracoli e le sofferenze della sua 'vita terrena e ne rimaniamo santificati e arricchiti spiritualmente. Nelle icone contempliamo, assieme al 'Salvatore, la Deipara[1] e i santi. Perciò ci è comprensibile e cara l'esortazione di Giovanni Damasceno: “Disegnate, dipingete tutto: la nascita dalla Vergine, il battesimo nel Giordano, la trasfigurazione sul Tabor... tutto dipingete con la parola e i colori”[2]. Dipingere le icone del Cristo, della Deipara, degli apostoli e dei santi può, nel modo migliore e più degno, soltanto colui che possiede, oltre al talento e all'esperienza pittorica, una sensibilità profonda per il Cristo, la Vergine, gli apostoli, i santi, e ha con loro un legame spirituale di grazia.

La bellezza perenne e affascinante delle icone del monaco Andrej Rublëv si spiega principalmente col fatto che egli possedeva tutti i requisiti ricordati, compresa una comunione di grazia con Dio e il mondo celeste. Nella sua anima prima spuntavano le idee e le immagini bibliche e solo dopo essersi formate nella contemplazione venivano riportate all'esterno e quasi assumevano “carne e sangue” nelle icone attraverso il disegno, i colori, i dettagli. Ciascuna sfumatura nel colore, ciascun particolare nel drappeggio e nel disegno, possedevano un significato speciale, un valore simbolico metaforico. Il monaco pneumatoforo incarnava così nella pittura idee, immagini e contemplazioni religiose.

Ne consegue che solo a due condizioni è possibile comprendere rettamente queste opere, leggerne e svelarne il significato ideale profondo: prima, una conoscenza e comprensione profonda dei soggetti e personaggi biblici rappresentati nelle icone; seconda, una conoscenza e comprensione di tutti i mezzi e le tecniche espressive adoperate dall'iconografo nel loro significato diretto e metaforico-simbolico[3].

Sono le grandi idee vivificanti che producono le grandi creazioni del genio umano, ciò vale anche per le opere di pittura e particolarmente per l'iconografia. Nelle icone vengono raffigurati, oltre al Salvatore e alla Deipara, personaggi santi, santi appunto perché con la grazia e l'amore di Dio e lo sforzo personale hanno vinto il peccato e la morte (spirituale) e hanno così riconfermato la verità e la forza salvifica della loro fede e religiosità. Qui sta la loro idea grande e positiva e ogni icona ci parla di questa idea, ci racconta dell'economia della nostra salvezza[4]. Se ogni singolo comandamento evangelico contiene tutti gli altri e tutto il Vangelo, così ogni singola icona contiene tutta l'essenza dell'economia salvifica: la salvezza dell'uomo per mezzo dell'amore del Padre, l'opera redentrice del Figlio e i doni di grazia dello Spirito Santo.

Poche sono le opere pittoriche di Andrej giunte fino a noi. Esse vennero in parte dipinte assieme ad altri iconografi (per esempio al suo amico il monaco Danijl „ërnyj), persero la loro forza pittorica ed espressiva originaria a causa dei restauri posteriori, del deteriorarsi degli affreschi murali e delle tavole lignee. Ma più e meglio di tutte le altre s'è conservata l'icona della “Trinità” e non senza motivo. A partire dal secolo XVI i nostri antenati cominciarono a coprire le icone con rivestimenti preziosi (“riza”) per conservarne la pittura. La stessa sorte toccò alla “Trinità” di Rublëv e soltanto nel 1904 il pittore-restauratore V. Gur'janiv la liberò dal rivestimento, senza pero togliere fino in fondo le stratificazioni posteriori (il che fu fatto più tardi). Ma già così l'icona rivelò la sua bellezza mirabile, presentandosi allo spettatore come un'autentica rivelazione dell'antica arte russa che anticipa le linee classiche dell'arte ellenica e italiana del Rinascimento. La “Trinità” costituisce il coronamento dell'opera iconografica di Andrej Rublëv. Per comprendere meglio questo capolavoro, conviene almeno brevemente delineare il cammino artistico che portò il monaco Andrej a creare quest'opera irripetibile.

Angeli e arcangeli nelle icone di Andrej Rublëv

Secondo la Sacra Scrittura, gli angeli sono spiriti ausiliari inviati a servire coloro che devono ereditare la salvezza (Eb. 1, 14). Stando in cielo e circondando il trono di Dio, essi lodano incessantemente Dio (Is. 6, 3); sulla terra compiono la volontà provvidenziale di Lui riguardo alla salvezza dell'uomo. Nell'opera pittorica di Rublëv sono giunte fino a noi diverse rappresentazioni di angeli e arcangeli e tutte portano impresso il compito o idea che il nostro monaco ha voluto infondervi. Per esempio nell'icona del “Giudizio Universale” occupa un posto particolare la figura dell'angelo che suona la tromba e annuncia l'avvento della seconda e gloriosa venuta del Figlio di Dio. Questo evento insolito e straordinario ha dato origine a una figura d'angelo insolita e straordinaria. Vi scorgiamo l'energia concentrata del volto aperto ed espressivo, assieme alla saldezza delle gambe divaricate e al mantello le cui falde cadono diritte fino ai piedi. Tutti questi particolari simboleggiano la prontezza dell'angelo ad assolvere fino in fondo il suo importante compito. Però il suo volto, che spira coraggio ed energia, contiene allo stesso tempo una sfumatura di concentrata tensione e quasi di segreta attesa. La parte inferiore del volto sembra fondersi coll'atto di suonare la tromba e chiamare tutti all'ultimo e definitivo giudizio; invece la parte superiore con gli occhi enormi e dilatati, le ciglia marcate e la piega della testa, è rivolta verso lo spazio donde devono apparire quelli che la tromba chiama: chi sono, quante fra loro le “pecore” e quanti i “capri”, e come verrà loro incontro la Giustizia divina buona e misericordiosa oltre ogni limite? Queste sembrano le domande contenute nello sguardo e in tutto l'aspetto di questo angelo buccinante, pieno di vita e di profonda umanità. Lo ripetiamo: egli non solo suona la tromba, ma pensa, concentrato, sensibile, compartecipe alla sorte di quelli che chiama.

Nella medesima icona vediamo dietro agli apostoli un grande gruppo di angeli; in quelli della prima fila si nota con particolare chiarezza la diversità degli stati psichici e delle emozioni: l'attesa intensa, il turbamento interiore, la partecipazione preoccupata alla sorte di coloro che la tromba chiama. Tutto ciò viene espresso nella piega delle teste, nella dilatazione delle pupille, nel movimento delle mani protese nello spazio quasi a incontrare e aiutare (particolarmente nell'angelo al centro del gruppo) coloro che la tromba chiama. Il monaco Andrej ha dipinto con profonda partecipazione interiore per la sorte degli uomini questo quadro mirabile e unico nel suo genere della seconda e gloriosa venuta del Figlio di Dio.

L'arcangelo Michele della cattedrale dell'Annunciazione nel Cremlino di Mosca (dell'anno 1405) e della cosiddetta “Deesis di Zvenigorod”, posteriore di alcuni anni, costituisce l'anticipazione più completa degli angeli della “Trinità”. L'arcangelo Michele del Cremlino ha grandi ali che appesantiscono alquanto la sua solida figura ma allo stesso tempo le attribuiscono un significato particolare: le ali grandi, forti, raccolte, sono simbolo di un intervento pronto e vittorioso; perché lui è l'arcistratega, il comandante supremo di tutte le schiere celesti; è il vittorioso come appare dalla maestosa tranquillità e pace del suo volto; è il lucifero come appare dal chiarore del suo mantello; è sempre al “divino servizio” come appare dalla vivezza degli occhi e dalla leggera incurvatura dell'alta figura. Ornano la sua testa folti capelli neri raccolti da un nastro che lasciano in parte scoperta la fronte: essi ingrandiscono notevolmente la testa e ciò sottolinea la maestà, la dolcezza, l'amabilità del volto e di tutta la personalità spirituale dell'arcangelo. Egli ci introduce alla “Trinità”, ci dispone al confronto e al paragone, e così ci prepara a un più profondo apprezzamento della massima creazione iconografica del monaco Andrej Rublëv.

Lo stesso si dica dell'icona dell'arcangelo Michele della “Deesis di Zvenigorod”. La sua testa è ancor più inclinata, la capigliatura color ciliegio-scura è ancor più pronunciata, la prima ciocca ricciuta cade ancor più vicina agli occhi. Gli occhi pensierosi fissano lontano dalle grandi orbite e simboleggiano la profondità della contemplazione. Le labbra della bocca esile sono strette e sottolineano il silenzio dell'angelo. La palma della mano sinistra è chiusa e quella della destra spalancata, sottolineando la prontezza a compiere quanto è stato prestabilito. Lo stesso significato hanno anche le ali aperte e specialmente “la fiamma infuocata” del manto e delle ali, la quale però è controbilanciata dal chiaro e azzurro delle vesti e dagli squarci blu fra le ali e il tronco dell'angelo.

s impossibile non notare che appunto nel dipingere questo arcangelo il monaco Andrej s'è più che mai avvicinato alla “Trinità”, anticipando la raffigurazione dell'angelo di mezzo e anche in parte dell'angelo di sinistra[5] della medesima. Infatti l'arcangelo Michele per la piega della testa, per le linee ed espressioni del volto, per la concentrazione dello sguardo triste è straordinariamente simile agli angeli della “Trinità”, ma non completamente uguale: la raffigurazione più perfetta degli angeli della “Trinità” fu realizzata solo quando il nostro monaco dovette risolvere il problema di rappresentare per mezzo degli angeli Dio stesso in tre Persone. E tutto ciò che nelle figure angeliche non era ancora pienamente maturo e perfetto, il monaco Andrej lo dovette superare con particolare sforzo spirituale e creativo per conseguire una rappresentazione più perfetta che corrispondesse all'alta idea simbolica di cui gli angeli della “Trinità” dovevano essere portatori.

L'epoca e il motivo

Già dalla prima fanciullezza San Sergio di Radoneñ[6] aveva coltivato un rapporto spirituale con Dio particolarmente intenso. L'unione con Dio costituiva il significato fondamentale della vita e la fonte dell'aiuto in tutte le fatiche e contrarietà della sua vita eroica. Col tempo questa comunione con Dio s'andò sempre più intensificando e già all'età di vent'anni Sergio assieme al fratello maggiore Stefano si ritirò, ispirato da Dio, nel bosco di Radoneñ per vivere di preghiera e ascetismo nella solitudine. Non fa meraviglia che la chiesetta di legno che egli vi eresse fosse dedicata al Dio Vivo celebrato nella Trinità, ossia alla “Vivificante Trinità” come egli diceva. Questo voleva dire che d'ora in poi tutte le sue fatiche, privazioni, contrarietà, preghiere, dovevano riportarsi alla Trinità Vivificante.

Il giovane Sergio (che allora si chiamava ancora Bartolomeo) avverti particolarmente la necessità di tale aiuto e difesa quando il fratello Stefano lo lasciò per ritirarsi nel monastero moscovita dell'Epifania. In cella, nella chiesetta, nel bosco, in ogni luogo, Sergio era in continua unione di preghiera con la Santa Trinità, cercando aiuto e conforto fra le “paure” e le privazioni della sua esistenza solitaria e dura[7].

Ben presto a Sergio si associarono altri monaci, crebbero le sue preoccupazioni e s'intensificarono le preghiere alla Santa Trinità: la comunione con Lei allargava il cuore del giovane asceta, lo rendeva umile e sensibile non solo alle necessità dei confratelli ma anche alle calamità e alle tribolazioni della terra patria. Egli introdusse la regola della vita comune, il lavoro obbligatorio per tutti e la preghiera comune; allo stesso tempo instillò nei monaci il suo amore per la Santa Trinità e l'abitudine della continua preghiera a Lei. In quei tempi sinistri (invasioni tatare, fame, peste, lotte fratricide) tale comunione di preghiera era particolarmente necessaria. Come scrive il suo agiografo, Sergio “fondata la comunità monastica, eresse la chiesa della Santa Trinità quasi specchio per coloro che aveva raccolti in comunità, perché contemplando la Santa Trinità venisse superato l'orrore dell'odio che lacera questo mondo”[8]. In quei tempi difficili e sinistri s'aggregò ai monaci anche Andrej Rublëv[9]. Egli apprese dalla comunità l'amore per l'igumeno Sergio, per la Santa Trinità e l'amore e la cura per il monastero e la terra patria. Qui nel monastero di Radoneñ incominciò a sviluppare il suo talento naturale e l'inclinazione per la pittura, assieme al monaco Daniil „ërnyj. Sorprende e commuove l'amicizia di questi due giovani iconografi che per tutta la vita appresero l'uno dall'altro la vita spirituale e l'arte iconografica[10]. Un'opinione sostenuta anche da J.E. Grabar dice che Daniil fu direttore e “precettore” della vita spirituale e Andrej dell'arte iconografica[11].

Essi s'impossessarono di quest'ultima soprattutto attraverso la contemplazione delle icone nelle chiese e la comunione spirituale di preghiera con le medesime. Di questo scrive San Iosif Volokolamskij che visse cent'anni più tardi († 1515): “Nella festa della Resurrezione essi, sedendo negli stalli, guardavano senza interruzione le venerabili icone riempiendosi di santa allegrezza e luce. Lo stesso facevano anche nell'altro tempo quando non dipingevano”[12]. Così attraverso le icone essi conseguivano una comunicazione gioiosa col mondo spirituale celeste e s'immergevano nella meditazione del divino. Nelle icone si dischiudeva a loro il mistero dell'essere superno, “le rappresentazioni visibili degli spettacoli misteriosi e soprannaturali”, come scrive Dionigi l'Areopagita. Per loro la severa bellezza esterna dell'icona rifletteva la purezza, la sublimità e santità del contenuto spirituale ed elevava la mente al prototipo celeste. Allo stesso tempo l'icona insegnava loro l'arte dell'iconografia. Nelle icone essi cercavano anche risposta immediata ai loro problemi pittorici, alle loro difficoltà e allo stesso tempo i modelli da imitare. Prima di prendere i pennelli, essi “immaginavano le loro icone incarnate in linee e colori”[13], Molto istruttivo per loro fu contemplare, oltre alle vecchie icone bizantine, le icone del loro celebre contemporaneo Teofane il Greco[14], All'evoluzione del talento pittorico di Andrej Rublëv e del suo amico furono di non poco giovamento la conoscenza di Teofane e anche degli iconografi e architetti di chiese e monasteri del nord: il beato Dionisij GluÓickij, Prochor di Goredec e altri. I due amici monaci pittori dovettero anche immergersi nella lettura della Sacra Scrittura e dei Padri[15], dei testi liturgici, delle vite dei santi, delle cronache e simili. Tutte queste fonti li aiutavano a scoprire il senso ideale e storico per le future creazioni. L'alta perfezione di queste ultime dipende non meno dalla continua preparazione spirituale, dal digiuno, dalla preghiera, dalle lacrime che precedevano il lavoro di dipingere[16]. Probabilmente a tutto questo alludono i cronisti quando li definiscono “digiunatori”.

Già nei primi anni della sua attività pittorica, dell'esercizio ascetico e della maturazione a esso connessa, il monaco Andrej dovette riflettere sull'imperfezione della raffigurazione della Santa Trinità nelle icone bizantine che andava osservando. Queste ultime avevano per base ideale e storica fondamentale la promessa del figlio Isacco, che Dio fece ad Abramo. Perciò anche gli angeli che gli erano apparsi, e che le icone raffiguravano, erano sentiti piuttosto come angeli-messaggeri della volontà divina che come Persone della Santa Trinità. Come raffigurare degli angeli che simboleggiassero in maniera più chiara le Persone della Santissima Trinità? A quel tempo il nostro monaco non aveva né la preparazione sufficiente né il motivo per una seria elaborazione del problema. Abbiamo già detto come i susseguenti lavori iconografici nelle chiese di Zvenigorod, Mosca, Vladimir, durati molti anni, abbiano dato al monaco Andrej la necessaria preparazione. La preghiera del beato Nikon, igumeno del monastero di Radoneñ, di dipingere “un'icona della Santa Trinità a lode del padre Sergio”, gli diede il motivo di lavorare a una icona nuova della Santa Trinità. Il venerabile Sergio venne ritenuto santo già da vivo e dopo la sua morte (1392) la sua gloria invece di offuscarsi crebbe. Nel 1422 venne ascritto al numero dei santi ed Epifanij Premudryj (suo discepolo) ne scrive il Panegirico. “A lode” di San Sergio venne iniziata nel 1422 la costruzione di una chiesa in pietra dove dovevano riposare le sue ossa. Forse l'igumeno Nikon ordinò a Andrej Rublëv l'icona della Trinità perché nella nuova chiesa dedicata alla Trinità Vivificante ci fosse anche l'icona titolare della Santissima Trinità e così venisse sottolineato il compito principale di quel tempio: la Santa Trinità doveva essere “specchio” non solo per la comunità monastica ma anche per il popolo russo. “Perché guardando costantemente alla Santa Trinità - scrive Epifanij - venisse superato l'orrore dell'odio che lacera questo mondo”[17]. All'appello dell'igumeno Nikon il monaco Andre), ormai anziano, si ripresentò al suo monastero[18]. E così era per lui scoccata l'ora di mettersi al lavoro per conferire all'icona della Trinità un significato neotestamentario, cristiano, e mostrare in modo più convincente sotto il simbolo degli angeli le tre Ipostasi della Santissima Trinità.

La Santa Trinità nelle icone bizantine e le innovazioni di Andrej Rublëv

Come già accennato sopra, al tempo del monaco Andrej la Santa Trinità veniva rappresentata nelle icone sulla traccia del racconto biblico dei tre angeli-pellegrini apparsi ad Abramo e Sara per comunicare la promessa divina di un figlio (Isacco). L'icona rappresentava appunto questo avvenimento con tutti i personaggi e i dettagli dell'accoglienza e del pasto consumato dagli angeli ospiti. Coll'andar del tempo s'incominciò a ravvisare negli angeli le tre Persone della Santa Trinità[19]. Ciò era avvenuto già a Bisanzio e da lì le icone trinitarie erano venute in Russia stimolando gli iconografi russi all'imitazione. Anche i testi liturgici davano motivo alla tendenza di rappresentare la Santa Trinità sotto il simbolo dei tre angeli apparsi ad Abramo: i tropari[20] della compieta domenicale e l'autorità dei santi Padri interpretavano l'apparizione degli angeli ad Abramo come apparizione delle tre Persone della Santa Trinità.

Il monaco Andrej nel rappresentare la Santa Trinità apportò in sostanza le seguenti innovazioni.

Sono scomparsi Abramo e Sara, è scomparso il servo che uccide il vitello per gli ospiti. Le varie vivande - pane, vino, olio, arrosto (Gn. 18, 6-8) hanno fatto posto a una coppa con la testa d'un vitello. Alla tenda di Abramo è subentrata una costruzione a due piani di stile antico che ricorda un tempio; la costruzione s'eleva sopra la testa dell'angelo di sinistra all'angolo superiore dell'icona. I bastoni dei pellegrini si sono trasformati in scettri regali. La quercia di Mambre è diventata un alberello fortemente inclinato. Le tre montagne si sono fuse in un unico semicerchio sopra la testa dell'angelo di destra. Cambiata la cornice che li attornia, doveva cambiare il modo di raffigurare gli angeli stessi e il loro significato simbolico risultò più chiaramente definito.

Che cosa spinse il monaco Andrej a questi cambiamenti nella composizione dell'icona della Santa Trinità? Ci sia permesso esporre qui alcune considerazioni al riguardo.

Il pio monaco osservando le icone bizantine tradizionali della Trinità e preparandosi a dipingere questo soggetto non poté non studiare i materiali biblici riguardanti il patriarca Abramo e le interpretazioni che ne diedero i Padri, per trovarvi anzitutto suggerimenti per una possibile raffigurazione nuova, puramente neotestamentaria, della Santa Trinità sotto il simbolo dei tre angeli[21]. E qui la sua contemplazione e meditazione non poterono non arrestarsi al più importante evento della vita di Abramo la sua obbedienza alla volontà di Dio nell'offrire il figlio Isacco in sacrificio a Dio sulla sommità di uno dei monti del Moria (Gn 22, 1-18). Con tale obbedienza Abramo aveva mostrato d'essere pronto a mantenersi fedele a Dio in ogni circostanza, e suo figlio aveva mostrato di essere obbediente al padre e a Dio fino alla morte. Ambedue avevano dimostrato di amarsi a vicenda e di amare Dio fino al sacrificio ed essere pronti alla separazione per essere fedeli a questo amore e a questa dedizione a Dio. Il beato Efrem il Siro, contemplando in ispirito questo avvenimento sul Moria, vi aveva scorto un significato simbolico prefigurativo: quanto stava per avvenire sul Moria aveva prefigurato quanto poi avvenne realmente sul Golgota[22].

Egli vi scorse come due serie parallele di eventi: il padre (Abramo) ama suo figlio e il figlio lo contraccambia; ma la volontà di Dio deve essere compiuta (il sacrificio di Isacco) e ambedue sono perfettamente disposti a compierla. Dio Padre ama il Figlio Unigenito e il Figlio ama ab aeterno il Padre di amore divino; ma la volontà dell'Eterno Consiglio[23], cui partecipano tutte e tre le Persone della Santa Trinità, deve essere adempiuta: il Padre deve consegnare il Figlio alle sofferenze e alla morte, e il Figlio deve vuotare questo calice.

Questo Eterno Consiglio della Santa Trinità costituisce il momento originario, predeterminante, del sacrificio redentore di Cristo: lo sapevano i Padri e non poteva ignorano il pio monaco Andrej, istruito nelle cose divine[24]. Il nostro iconografo trovò nell'idea di questo Eterno Consiglio la chiave per risolvere il compito della composizione e raffigurazione ideale della Santa Trinità. Nella sua icona noi vediamo appunto il Consiglio della Santissima Trinità; non quello originario, inconoscibile e irrappresentabile che precedette la creazione del mondo, ma il Consiglio che l'iconografo ha raffigurato convenzionalmente adattato al piano dell'economia salvifica nel tempo, ai suoi momenti più importanti per la salvezza dell'uomo.

Questi momenti, anche se in gradi diversi, trovano riflesso nell'icona di Andrej Rublëv. Il tempo che precede l'evento biblico sotto la quercia di Mambre è indicato dalle immagini dell'ambiente naturale (la terra, il monte, l'aria, la luce ecc.); il tempo di Abramo è indicato dagli angeli in veste di pellegrini e anche dall'albero, dalla montagna, dall'altare[25] con la porticina sul davanti che simboleggia il fuoco degli olocausti[26]; il tempo che segue, ed è collegato all'incarnazione del Figlio di Dio, è indicato dalla figura del Salvatore stesso (di cui diremo in seguito), dalla coppa con l'Agnello destinato all'immolazione “ancor prima della creazione del mondo” (1 Pt 1, 19-20), dal tempio dove prima venivano offerti i sacrifici veterotestamentari e poi il sacrificio eucaristico neotestamentario; i tempi futuri sono simboleggiati dall'espressione dei volti, dall'inclinazione dei personaggi e dalla direzione degli sguardi degli angeli. In tal modo la “Trinità” di Rublëv presenta in maniera profonda la storia della salvezza e raffigura simbolicamente l'opera della nostra salvezza nelle persone, nei tempi e negli avvenimenti più importanti e decisivi[27].

D'altra parte quest'opera mirabile possiede il sigillo dell'atemporalità, dell'eternità. Da essa ci guarda la Divinità Triipostatica. Per Dio imprincipiato ed eterno il tempo non esiste; il tempo impera dove avvengono i cambiamenti incessanti in seguito alla morte del vecchio e alla nascita del nuovo. Dio invece, perché Essere assoluto, è immutabile e, per ciò stesso, fuori del tempo (Sl 89, 5). L'icona del nostro monaco pneumatoforo spira simile atemporalità, simile ebrietà e perfezione di vita interiore della Divinità, e produce la massima impressione sullo spettatore appunto per queste proprietà della Divinità Triipostatica: l'amore reciproco fino al sacrificio, la pace imperturbabile, l'unità indivisibile e la pienezza della quiete divina[28]. Nell'icona quanto è temporale e transitorio è collegato all'uomo e alla sua salvezza; l'uomo e invisibilmente presente anche se non raffigurato. Rublëv ha raffigurato la salvezza dell'uomo, che avviene nel tempo, come sgorgante dall'eterno amore di Dio per l'uomo. L'ispirato monaco s'è sforzato di risolvere per mezzo dell'eterno anche i problemi esistenziali più importanti della sua epoca (l'odio lacerante, l'invasione tatara, la fame ecc.) mostrando agli uomini l'amore divino eterno e sublime, la pace, l'unità nelle relazioni divine. Così nell'opera immortale del nostro monaco s'intrecciano l'eterno e il temporale, e convivono. Per comprendere meglio il simbolismo molto complesso e molto ricco dell'icona di Rublëv, consideriamo anzitutto la dottrina ortodossa di Dio, Uno e Trino nelle linee più brevi e generali direttamente connesse al simbolismo dell'icona medesima.

La dottrina della Chiesa ortodossa sulla Santissima Trinità

Tutta la pienezza della dottrina riguardante Dio è racchiusa nella dottrina trinitaria: Dio in Se Stesso, Dio nelle ipostasi (relazioni personali in quanto Padre, Figlio e Spirito Santo), Dio nei suoi rapporti col mondo e l'uomo. Filologicamente il termine Dio corrisponde alla radice veteroslava b'g, cioè bog (Dio), da cui bog-at-yi (ricco), bog-a-tstv-o (ricchezza), boñ-e-stv-o (divinità). La nostra teologia (bogoslovie) ha conservato questo significato del termine bog esplicando la ricchezza, pienezza, assolutezza, perfezione dell'essere di Dio e delle proprietà e caratteristiche di Lui: l'onnipotenza, l'onniscienza, l'onnipresenza, la sapienza, la bontà, la santità ecc. Queste proprietà sono comuni alle tre Ipostasi divine; le Loro relazioni vicendevoli possiedono l'amore, l'unità, l'eguaglianza, l'equidignità e le altre proprietà. La Santa Trinità abbraccia tutto il piano salvifico provvidenziale di Dio nel suo rapporto col mondo e l'uomo: la creazione del mondo, la salvezza dell'uomo per volontà del Padre, per l'amore redentore del Figlio, per i doni di grazia dello Spirito Santo. Tutta la pienezza delle relazioni, qualità, proprietà e perfezioni della natura divina è contenuta nelle parole “la Santissima Trinità”.

La Chiesa ortodossa confessa Dio Uno nell'essenza e Trino nelle persone, la Trinità nell'Unità e l'Unità nella Trinità, la Trinità “semplice, unisostanziale e indivisibile”. Nella liturgia quaresimale essa ci invita a glorificare la Santa Trinità quale attrice celeste della nostra salvezza, quale “Unità semplice”(tropario i del lunedì della prima settimana), “Trinità Protovivifica” (tropario 9 del martedì della prima settimana). Nella liturgia di Pentecoste essa ci invita ad adorare la “Trinità indivisibile”, la “Divinità Triipostatica”, a celebrare “il Padre inprincipiato con il Figlio coeterno e lo Spirito consustanziale e santissimo”, a lodare nella Trinità “l'unica forza, l'unica essenza, l'unica Divinità”[29]. Secondo san Gregorio il Teologo, “la parola Trinità significa... l'insieme degli eguali ed egualmente venerabili, dove il nome riunisce ciò che è per essenza unito”[30].

Tutta questa dottrina trinitaria dell'unisostanzialità, eguaglianza, indivisibilità, unità di spirito e d'amore delle Persone della Santa Trinità, dell'incarnazione e redenzione del genere umano da parte del Figlio di Dio, come pure degli ultimi destini del mondo e dell'uomo, tutta questa ricca teologia si rispecchia nell'icona della “Trinità” e vi è espressa con i mezzi figurativi e le tecniche iconografiche. Ora dobbiamo trattare di questi mezzi e tecniche per scoprire e leggere il profondo contenuto religioso-teologico racchiuso in questa icona.

I cerchi, i semicerchi, le linee

Come già detto sopra, la Santissima Trinità è la pienezza e l'onniperfezione di Dio in Se stesso, nelle Ipostasi triadiche, nell'economia della nostra salvezza. A questa pienezza e onniperfezione accennano anzitutto i cerchi[31] e semicerchi dell'icona, i quali quasi completandosi vicendevolmente riempiono gli spazi centrali, laterali, superiori e inferiori dell'icona[32].

Le figure degli angeli sono disposte attorno a un altare quadrangolare e formano un cerchio orizzontale. Si avverte quest'ultimo soprattutto nella parte inferiore dell'icona, dove convergono le predelle degli scranni e i piedi degli angeli laterali e lo sguardo dello spettatore viene indirizzato alla predella invisibile del trono dell'angelo centrale dove il cerchio si chiude. Accanto al cerchio orizzontale si avverte nell'icona un cerchio più ampio, verticale, quasi iscritto nello spazio quadrangolare dell'icona medesima. Il punto superiore di questo cerchio è l'estremità superiore dell'aureola dell'angelo centrale, e da esso si può tracciare una linea curva che attraversa la testa, la schiena, le gambe dell'angelo di sinistra, la gamba stesa dell'angelo di destra, e poi via via, attraverso la schiena e la testa di questi, torna al punto di partenza. Così le figure degli angeli sono strette in due cerchi, orizzontale e verticale, che simboleggiano il nesso reciproco inscindibile, “la fusione in uno” degli angeli, la comunanza della loro natura, unità e perfezione[33]. Anche la parte superiore della coppa con la testa dell'agnello, posta sull'altare, costituisce un cerchio non grande ma chiaramente avvertibile; lo attutisce la raffigurazione scura della testa dell'agnello sul fondo della coppa, la quale a sua volta viene attutita dalla bianca tovaglia che copre l'altare. Il cerchio della coppa è di dimensioni ridotte, eppure è il più importante per il suo significato ideale. È il cerchio dei cerchi, attorno al quale si concentrano tutti gli altri. Ad esso gravitano le figure degli angeli, le loro destre, le loro dita. Il cerchio della coppa-calice, o meglio l'Agnello di questa, costituisce il centro ideale, l'anima, il movente dell'icona e ne condiziona la vita interiore segreta e tutta la composizione strutturale.

Tre cerchi nell'icona saltano agli occhi, non grandi, eguali, lucenti, gravitanti l'uno verso l'altro: le aureole intorno alle teste degli angeli. Sullo sfondo di una giornata soleggiata[34] essi si staccano con lo splendore della loro purezza e luminosità, simboleggiando la luce, la purezza, la santità, l'illibatezza di ciascuna delle tre Persone divine e perciò stesso della Santa Trinità. Alle aureole circolari corrispondono le teste e i volti arrotondati di ciascun angelo, e con tutto questo armonizzano i cerchi minori degli anelli che raccolgono i capelli e perfino i cerchi minimi ma espressivi delle occhiaie.

Passando ai semicerchi, conviene anzitutto notare la linea semicircolare delle spalle e della parte superiore delle ali degli angeli. Nulla esprime in modo tanto compatto e visibile la vicinanza e il nesso fra gli angeli quanto le ali che si toccano. I quattro semicerchi delle ali sono come quattro creste di un'onda, che si riversa da angelo ad angelo, dell'amore, della sapienza e della forza della Divinità triadica. Anche i lineamenti dell'albero accanto alla testa dell'angelo centrale[35] e della montagna sopra la testa dell'angelo di destra sono semicircolari.

Questi dettagli iconografici possiedono un simbolismo estremamente ricco. L'albero simboleggia sia l'albero del paradiso che l'albero della croce: a causa dell'albero paradisiaco “del bene e del male” cadde il primo Adamo, a causa dell'albero della croce il Secondo Adamo (Cristo)[36] risollevò, rivivificò e fece risorgere il primo.

La montagna arrotondata dell'icona simboleggia il Moria, che a sua volta aveva prefigurato il Golgota; allo stesso tempo simboleggia la Vergine, che la Sacra Scrittura (Sl 67, 16-17; Dan 2, 34) e i testi liturgici (per esempio la terza stichira e la canzone nona del canone dell'Annunciazione) chiamano “montagna”; infine la montagna è “l'elevazione dello spirito”[37].

L'inclinazione dell'albero asseconda l'inclinazione dell'aureola e della testa dell'angelo centrale, quasi simboleggiando che prende parte alle meste riflessioni di questi.

Il semicerchio della montagna sopra la testa dell'angelo di destra ricorda quasi una seconda aureola molto grossa e pesante e simboleggia la raddoppiata pensierosità e mestizia di questo angelo che, inoltre, è anche ricurvo.

Così non solo i cerchi ma anche i semicerchi c'introducono nell'armonia generale, nella vita segreta e occulta dell'icona, simboleggiando la tendenza anche della natura esteriore (fisica) a piegarsi al piano divino della salvezza e a collaborare perché si realizzi pienamente.

L'icona del nostro monaco si distingue per una particolare ricchezza di linee rette, spezzate, parallele, incrociate ecc. Le ravvisiamo ai bordi e nella porticina dell'altare, nel disegno degli scranni con i relativi piedi, nell'architettura del tempio, negli scettri degli angeli ecc. In tutti i dettagli ricordati predominano le linee rette e possiedono un significato costruttivo determinando la forma e la stabilità di ciascun dettaglio.

Un significato diverso hanno le linee delle vesti e dei volti degli angeli. Nell'angelo centrale l'estremità del mantello gettato sulla spalla sinistra cade sull'altare in un fiotto di linee rette e spezzate che formano singolari figure geometriche: triangoli, rombi ed altre. Queste linee conferiscono all'azzurro del manto movimento, ampiezza, beltà e vivezza. Il ginocchio destro rialzato dell'angelo di sinistra modifica il drappeggio del manto: le linee da inclinate e ondose si spezzano in varie direzioni. Il piede viene a trovarsi in una posizione alquanto angusta e si stringe all'altare cambiando la sua posizione naturale. Un osservatore attento avverte questo particolare e ne soffrirebbe se la stretta simmetria nella posizione delle gambe dei due angeli laterali non lo superasse, attutendolo e sciogliendolo in quell'armonia mirabile generale che tanto colpisce e conquista nell'icona del nostro monaco[38]. Questi dà al naso degli angeli le linee diritte delle antiche statue, conferendo così ai loro volti severità classica e allo stesso tempo leggerezza e spiritualità.

Ogni linea è simbolo di movimento e superamento dell'estensione spaziale. Al movimento è insita non solo una direzione nello spazio ma anche una regolare intensità nel tempo, cioè la ritmicità. Nei volti di Andrej Rublëv prevale un ritmo ampio, leggero, pacato. La sua icona vive e respira non solo del potenziale spirituale (degli occhi e dei volti angelici), della luminosità dei colori delicati e soffici, ma anche del ritmo pacificante del moto delle linee circolari, semicircolari, rette, spezzate, incrociate ecc.

Passiamo agli altri dettagli che evidenziano l'intenzione teologica dell'iconografo e il contenuto ideale dell'icona.

Gli scranni, l'altare, la coppa, il tempio

L'altare-mensa riunisce gli angeli che siedono attorno su scranni bassi e leggeri - i troni forniti di piedi. Su simili troni siedono di solito famosi signori oppure personaggi reali e potenti. Nella concezione spirituale l'altare e il trono vengono associati al Trono di Dio e sono simboli della grandezza, della gloria e della forza divine. La vocazione dei cori angelici, anche i più sublimi (cherubini e serafini), è quella di circondare il Trono di Dio e celebrare le Persone della Santa Trinità assise in trono.

Nell'icona del nostro monaco sono gli angeli a sedere in trono. Ciò sottolinea che essi non sono semplici angeli bensì le Ipostasi divine che essi personificano. I troni dei due angeli laterali stanno di sbieco alla mensa; il loro lato frontale si divarica dalla mensa e di conseguenza anche le gambe, le figure, i volti, gli sguardi degli angeli assisi. Questi ultimi siedono di mezzo profilo e guardano per metà la mensa e per metà lo spettatore. Disponendo gli angeli in questa maniera l'iconografo ha messo in pratica uno dei canoni fondamentali dell'iconografia: ha aperto allo spettatore i volti dell'icona per agire su di lui con tutta la forza della loro potenzialità spirituale che è concentrata al massimo nel volto e nello sguardo della figura. Di conseguenza anche la coppa con l'Agnello è spostata dal centro verso questi due angeli laterali[39]. E questo perché nell'opera del piano salvifico di Dio a essi tocca una parte non minore ma eguale.

L'altare-mensa è di proporzioni notevoli e di forma quasi cubica e posa sulle predelle dei troni angelici. Lo ricopre una tovaglia immacolata, tanto bianca e trasparente da lasciarne intravedere la profondità interiore e la capienza enorme. Assieme alle Ipostasi della Santissima Trinità esso ci viene presentato non come mensa celeste ma mensa salvifica, destinata ad accogliere l'uomo. Perché l'altare-mensa-trono celeste è circondato dai cherubini e serafini con le teste abbassate e i volti coperti, i quali in sacro timore e inesplicabile beatitudine cantano, esclamano, gridano e dicono il "Trevolte Santo", come fu rivelato al profeta Isaia (6, 3), al profeta Ezechiele (10, 14 e 20), all'apostolo Giovanni (Apc 4, 7-8).

La coppa. Sulla mensa sta una coppa-calice con l'Agnello del sacrificio. “Già i primi osservatori scrive N.A. Demina - hanno rilevato che la “Trinità” di Rublëv è un immagine dell'Eucarestia”[40]. Più precisamente “bisogna vedere nella coppa una figura dell'Eucarestia”[41]. Ma essa possiede anche altri significati simbolici. Nella Sacra Scrittura troviamo il “calice” delle sofferenze e delle persecuzioni (Mt 20, 22-23), il “calice” dei peccati e delle iniquità (Lc 11, 39), il “calice” dell'agonia del Getsemani (Mc 14, 36) e infine il “calice” del Nuovo Testamento l'Eucarestia (Mt 26, 27-28). Quale è anzitutto il calice dell'icona? È naturale pensare prima di tutto alla coppa che ha dato origine a tutte le altre - la coppa dei peccati e delle iniquità umane che ha generato il calice del Getsemani, del Golgota e quello eucaristico. Questa prima coppa ha lasciato l'impronta sui volti degli angeli, ricoprendoli di una certa sacra mestizia e di amore compassionevole per l'uomo che ha peccato e pecca. Se vogliamo trovare nell'icona il posto simbolico di questa prima coppa, di questo “abisso del peccato”, lo vediamo nella grande coppa che si delinea fra i piedi degli angeli laterali sotto la mensa[42]. E allora si fa più chiaro il significato del calice con l'Agnello del sacrificio, posto sulla mensa “vuota”, l'immensa coppa dei peccati umani e delle calamità a essi collegate[43]. La coppa della “Trinità” simboleggia la coppa della vita, la coppa della sapienza e il calice della morte, cioè tutti i momenti fondamentali della vita in genere e di quella russa in specie. Le narrazioni e leggende del passato recente (per Rublëv) dicevano che “tutti erano morti presto e avevano bevuto il calice della morte”. Nella battaglia di Kulikovo i combattenti russi vuotano “la coppa della morte in battaglia”[44].

Per Andrej Rublëv e gli uomini del suo tempo la “coppa”della Trinità era il centro focale di sentimenti profondi e gravi a causa delle calamità del tempo, ma animati da una speranza invincibile di un futuro migliore. “Nella sua "'Trinità" - dice N.A. Demina - la coppa della morte è pegno di vita del secolo futuro”[45]. Come vediamo, l'icona della “Trinità” dischiude le profondità nascoste della vita e i misteri del sacrificio redentorio di Cristo. Essa ci dice che l'amore divino è un amore salvifico e pronto al sacrificio, che sulla terra non c e ne ci può essere un amore così grande, così universale, così sempiterno come l'amore di Cristo.

Il tempio. Sopra la testa dell'angelo di sinistra s'innalza il profilo di un tempio. Non si tratta di una chiesa vera e propria ma soltanto di un accenno. Nell'Antico Testamento il tempio di Gerusalemme venne costruito molto dopo Abramo e in esso venivano offerti sacrifici prefigurativi. Coll'avvento del Nuovo Testamento s'incominciò a costruire chiese cristiane per la preghiera comune e il sacrificio eucaristico incruento. Il tempio delineato nell'icona possiede come due piani: quello inferiore simboleggia il Vecchio Testamento, quello superiore il Nuovo, e questi due piani possiedono anche altri significati simbolici. Questo tempio che si eleva sopra la testa dell'angelo di sinistra (che è Cristo) sembra proseguire e completare la di Lui rappresentazione iconografica, accennando simbolicamente alle due nature, umana e divina, di Cristo. Infine i due piani costituiscono un simbolo dell'unione del cielo e della terra, della Chiesa terrena e celeste sotto la guida dell'unico Mediatore e Capo, Gesù Cristo il Figlio di Dio.

Il colore delle vesti, delle ali, degli scettri degli angeli, come pure della coppa, della terra, dell'albero ecc.

L'icona della “Trinità” è piena di luminosità e colore mirabilmente combinati. La sua gamma di colori teneri e profumati incanta. I colori fondamentali non sono molti, ma multiformi sono la loro combinazione, la loro interazione, i passaggi, le sfumature e la loro armonizzazione. Tutto ciò crea una ricchezza viva, palpitante, colorifico-luminosa e attira irresistibilmente l'attenzione sull'icona. Oggi la scienza ritiene che ci sia un nesso diretto fra i suoni e i colori, che a ciascun accordo sonoro corrisponda un accordo di colori. I suoni risuonano non solo per l'udito ma anche per la vista, generando impressioni cromatiche anche se noi le avvertiamo e distinguiamo molto debolmente. Viceversa la colorazione - nei passaggi e nelle sfumature - dell'oggetto quasi vibra ed emette una melodia musicale, quando corrisponde alla natura dell'oggetto raffigurato. Esiste un nesso anche fra la vista e l'odorato, fra il colore e il profumo. Lo avvertiamo contemplando l'icona della “Trinità”; essa non solo risuona come una mirabile melodia incantando l'udito, ma anche emette l'aroma di colori teneri, celestiali, i quali corrispondono alla natura degli oggetti ed esseri raffigurati.

Le vesti degli angeli con i loro colori sono particolarmente policrome. L'angelo centrale si distingue per le sue vesti in parte ciliegio-scure (la tunica), in parte azzurre con riflessi bluastri (il manto). Il primo colore simboleggia il potere, l'onnipotenza e costituisce il colore fondamentale di questo angelo, visto che la tunica è la sua veste fondamentale: è il colore che conviene al Creatore e Signore dell'universo[46]. Il nastro rosato che parte dalla spalla lo conferma, benché in alcune icone orni le vesti del Salvatore. Secondo la fede ortodossa, il Creatore e Signore dell'universo è Dio Padre. Egli siede alla mensa-altare al posto centrale “elevato”[47]. Il secondo colore (l'azzurro-cupo del manto) simboleggia il cielo e la sfera celeste. Dio Padre è il Padre Celeste che sta nei cieli, cioè in tutto l'universo. Il Suo manto azzurro-cupo cade liberamente e riccamente dalla spalla sinistra in numerose pieghe geometriche dalle linee accentuate, le quali nella luce che le circonda si schiariscono, si coprono di bagliori biancastri, conferendo al manto vita, armonia, palpitante colorito. Allo stesso tempo questa palpitante vivezza delle vesti simboleggia l'amore, la sapienza e la forza di Dio, che emanano incessantemente dal seno della Divinità.

A sinistra siede Dio Figlio, la seconda Ipostasi della Divinità. Il suo manto ha una disposizione e un colorito completamente diversi da quelli degli altri due angeli. Nei Padre e nello Spirito Santo il manto ricopre quasi la metà della parte superiore della persona e abbraccia soltanto una spalla, lasciando libera l'altra per la tunica. Invece nell'angelo di sinistra (Cristo) il manto ricopre tutta la persona, abbracciando ambedue le spalle e lasciando libero sul petto soltanto una sezione conica per la tunica.

Perché questa differenza? La potremo comprendere solamente se facciamo attenzione al colore del manto di Cristo: e un colorito rosato-chiaro, o meglio un rosso pallido[48]. Se lo paragoniamo al colore giallastro del viso, del collo, del petto e delle mani dell'angelo, questo rosso pallido sarà particolarmente avvertibile. Nell'uomo è più rosso della pelle soltanto il sangue, simbolo della sua vita. Il colore rossastro, “purpureo”, del manto di Cristo simboleggia e la di Lui natura umana (assieme a quella divina) e il di Lui sangue redentore sacrificato. Egli è il Figlio di Dio e il Figlio dell'uomo che ha dato il proprio sangue per la salvezza del mondo. Il colore azzurro della tunica indica la Sua natura divina, celeste; apparendo sulla terra, Cristo nascose la Sua magnificenza e gloria divine, assunse “l'aspetto di schiavo” (Fil 2, 6-8), il che è rispecchiato nell'icona dal prevalere del manto rossastro sulla tunica azzurra, manto che ricopre ambedue le spalle e quasi tutta la persona dell'angelo che è il Figlio di Dio.

L'angelo di destra è lo Spirito Santo. Le sue vesti sono disposte come quelle dell'angelo centrale: il manto cade da una spalla e ricopre quasi tutta la parte inferiore della persona, ma la colorazione è differente: la tunica è azzurro-chiara e simboleggia l'origine celeste, il manto è verdognolo con sfumature e ombreggiamenti. La terra presso le predelle degli angeli laterali e dietro l'angelo centrale è ricoperta di erba verdognola, l'albero sopra la testa dell'angelo centrale è coperto di foglie verde-scure. Il color verde è simbolo della pienezza della vita, del fiorire delle energie vitali. Nel campo spirituale il colore verde è simbolo della forza vivificante graziosa dello Spirito Santo. Secondo la Chiesa ortodossa, lo Spirito Santo è il “Vivificante”, cioè Colui che illumina, santifica e porta a compimento la salvezza dell'uomo.

Le ali. Occupano molto posto nell'icona, in armonia con le proporzioni delle figure angeliche e con il colorito degli scranni e delle predelle. Questo colore è giallo-chiaro, dorato, caldo, gioioso, accarezzante; simboleggia il carattere della divina autorità, anzitutto come autorità di amore e bontà insita in pari grado in tutti gli angeli, visto che tutte le ali e tutti gli scranni hanno lo stesso colorito e la stessa composizione. Le ali splendenti-dorate animano particolarmente l'icona, conferendo agli angeli una caratteristica ultramondana, “non di quaggiù”, leggerezza, ariosità, prontezza a essere in qualsiasi momento (perché le ali sono distese in volo) in qualsiasi punto dello spazio, simboleggiando così l'onnipresenza e l'onnibontà delle ipostasi angeliche. Fra le ali e le persone degli angeli ci sono squarci azzurri che sottolineano la loro posizione nello spazio attorno alla mensa, le loro proporzioni e realtà.

Gli scettri. Portano un colore rosso carico che indica come gli angeli impieghino il loro potere sovrano e la loro forza celeste ai fini dell'economia salvifica e anzitutto per la salvezza dell'uomo.

La coppa sulla mensa-altare con la testa dell'agnello ha un colore bruno-chiaro che si avvicina a quello del manto dell'angelo di sinistra (il Cristo) e così indica il nesso fra il calice sacrificale e l'Agnello che è Cristo. Al legame dell'altare e del calice col Cristo accenna anche il lato frontale dell'altare (con la porticina), che porta un colore simile a quello del manto di Cristo.

Il nesso fra Cristo e il tempio è indicato dalla cortina all'ingresso che, soprattutto nelle linee longitudinali e trasversali, porta lo stesso colore rossastro del manto di Cristo, suo Capo. I portali del tempio hanno il colore più scuro ed esso indica che l'ingresso è aperto e non pone barriere a chi vuole trovarvi salvezza.

Degna di nota è la policromia delle pieghe e delle linee delle vesti angeliche. Queste linee e pieghe mandano bagliori e, specchiandosi l'un l'altra, si trasmettono a vicenda accordi, suoni, sfumature, conferendo straordinaria leggerezza, vivezza e modesta magnificenza alle figure degli angeli.

Così i colori dell'icona possiedono una propria lingua estremamente eloquente, una pronunciata energia figurativa e una profonda espressività. Essi determinano non solo la bellezza esteriore dell'icona ma anche la sua bellezza interiore, la sua vita misteriosa nascosta, il suo contenuto ideale.

Per studiare, nei limiti del possibile, i compiti che il pio iconografo s'è posto e il modo con cui li ha risolti nel rappresentare gli angeli-ipostasi della Santa Trinità, dobbiamo ora tornare alla struttura e composizione dell'icona.

Gli angeli (la Trinità-Unità)

I tre angeli sono molto simili l'un l'altro per le linee del volto, per i capelli, per la proporzione dei corpi, per l'espressione dei volti ecc. Tutti impugnano scettri che sono simboli della medesima autorità divina.

Tutti portano ali della stessa misura, tutti siedono su scranni-troni. Tutti sono egualmente giovani, ispirati, femminilmente belli. Tutti hanno una posizione di quiete, di pensierosità profonda e di sublime mestizia. Tutti sono collegati da vicendevole attrazione, docilità, mitezza, unità d'intenti, indivisibilità di essenza, comunità di scopi e intenzioni In una parola, negli angeli la comunità e l'unità sono molto più pronunciate della diversità e specificità. Sembra di aver di fronte non tre angeli ma tre varianti di un unico angelo[49]. E questo perché è proprio della Santa Trinità non tanto “diversificare” e specificare, quanto essere una e indivisibile nella sua essenza e nelle sue Ipostasi-manifestazioni[50]. L'essenza di Dio è unica in tutte le Persone; donde l'unità e l'eguaglianza delle medesime.

Come esprime l'icona questa eguaglianza e unità? Abbiamo accennato più volte all'eguaglianza e unità degli angeli-ipostasi nell'icona di Rublëv e adesso esamineremo più dettagliatamente i mezzi e le tecniche pittoriche che egli adopera per risolvere il compito che s'era assunto.

Come siedono gli angeli sugli scranni? L'angelo di centro (Dio Padre) siede più in alto e ciò gli permette di collocare con elegante gesto, quasi senza piegarsi, la destra sulla mensa in direzione dell'angelo di destra (lo Spirito Santo). Soltanto due dita della mano collocata sulla mensa cambiano questa direzione, piegandosi dalla parte della coppa con l'Agnello.

L'angelo di sinistra (il Figlio di Dio) siede sul trono senza piegarsi sulla mensa[51] e quindi la sua destra è lontana da quest'ultima e non la può toccare. L'iconografo per poter conservare la posizione retta della figura e alto stesso tempo esprimere il suo nesso con la coppa-calice, ne ha alquanto sollevato il ginocchio destro e su questo ha collocato la mano del braccio destro piegato al gomito e alzato, dove le due dita distese indicano il nesso di quest'angelo col calice. Con questo accorgimento l'iconografo risolve a un tempo tre problemi:

primo, conserva la figura in posizione retta conferendole con questo particolare una sfumatura specifica e un significato particolare (di cui diremo in seguito); secondo, non stacca neanche questo angelo dall'Agnello della coppa quale centro ideale dell'icona; terzo, lasciando la mano destra e le dita sul ginocchio destro sollevato dell'angelo vuole mostrare che l'Agnello nella coppa e l'angelo-Cristo sono la medesima cosa (come diremo in seguito). Se poi l'angelo dal ginocchio sollevato segna verso l'Agnello nella coppa e come lo benedice con le due dita, ciò ha un significato diverso da quello del gesto degli altri due angeli[52].

L'angelo di destra, lo Spirito Santo, siede alquanto elevato sullo scranno, ma per mostrare che è eguale (nelle proporzioni) agli altri angeli e conservare la sua simmetricità coll'angelo di sinistra rispetto a quello centrale come pure alla mensa, al calice, alla porticina, ai piedi e alle predelle, l'iconografo lo ha disposto in modo che sedendo non occupa tutto lo scranno (come fa l'angelo di sinistra) e quindi sembra elevarsi alquanto sullo scranno e sulla mensa. In questo modo la sua testa raggiunge l'altezza di quella dell'angelo di sinistra, pur non raggiungendo quella dell'angelo centrale. La maggiore altezza di quest'ultimo dipende non dal fatto che le proporzioni della sua figura siano maggiori di quelle degli altri due, cioè che sia più alto e grande di loro, ma esclusivamente dal fatto che siede su uno scranno più elevato[53].

L'iconografo sottolinea l'eguaglianza e unità dei tre angeli non solo conferendo loro eguale statura[54] ed eguali lineamenti del volto, ma addirittura eguali capigliature di eguale colorito. Qui non ci sono accenni di sorta a una qualche ecce]lenza d'intelletto e di talenti d'ingegno di uno o dell'altro angelo. La fronte di tutti è egualmente coperta di capelli fino agli occhi: il che d'altra parte mostra come la loro intelligenza non dipenda dal cervello e dalla misura delle involuzioni cerebrali, ma è l'intelligenza dello Spirito con la sua onniscienza, sapienza, onnipotenza e le altre proprietà divine. I misteri del piano salvifico sono bene simboleggiati nell'icona dalle enormi “parrucche” che si protendono verso l'alto e hanno colore bruno scuro, il che significa sia la profondità inesauribile e misteriosa dell'intelletto divino sia l'inaccessibilità dei Suoi misteri per la comprensione umana.

Gli intelletti “superni” della “Trinità” sono come immersi in profonda meditazione, in contemplazione dei misteri del piano salvifico, in comunione intima e segreta. Sono identici nella concentrazione, in questo silenzioso dialogo intimo, mesto e sacro con se stessi, l'uno con l'altro, con lo spettatore e con tutto il mondo. L'unità e l'eguaglianza degli angeli-ipostasi testifica che la Santa Trinità è una cosa unica, è Unità.

Sottolineiamo ancora una volta questa unità di Dio in Tre Persone, partendo dai particolari che il pio monaco ha conferito nella sua icona alle raffigurazioni delle Ipostasi. Osservando la “Trinità”, noi vi vediamo tre Persone ma dal medesimo volto (quasi fossero varianti di un'unica persona). Vediamo tre volti, ma unica è la loro pensierosità e prontezza al sacrificio. Vediamo tre mani destre, ma dirette verso un unico centro. Vediamo tre paia d'ali, ma strettamente congiunte ed egualmente pronte a spiccare il volo. Vediamo tre Ipostasi, ma che siedono in cerchio (non una accanto all'altra o su una linea), in un unico rispecchiarsi vicendevole[55] in un'unica vicendevole attrazione verso il centro (il calice) e una per l'altra.

Secondo la formula della Chiesa, l'Unità è assieme Trinità. Dobbiamo quindi analizzare la seconda parte di questa formula e vedere come il monaco Andrej abbia raffigurato questa Trinità.

L'unità nella Trinità

L'angelo di centro raffigura la prima Persona della Santa Trinità: Dio Padre[56], Con un accorgimento pittorico (ingrandendo lo scranno) l'iconografo lo fa maggiore delle altre, quasi volendo così mostrare che è inprincipiata e originaria. Egli è il Creatore e il Pantocratore, il che viene simboleggiato non solo dal carattere specifico delle sue vesti ma anche dalla piega sovrana della testa in direzione del Figlio e dal maestoso arco della destra in direzione dello Spirito Santo e dell'Agnello del sacrificio. Questi gesti testificano che Dio Padre è il principio unificante delle Ipostasi e che con Loro costituisce una Divinità unica.

Dio Figlio è generato eternamente dal Padre, Dio Spirito Santo procede eternamente dal Padre; ciò rende necessario pensare Dio Padre al centro fra il Figlio e lo Spirito Santo a eguale distanza dai due[57], Il Padre generando ab aeterno il Figlio e spirando lo Spirito Santo rimane “ingenerato” e “in-spirato”e conserva in se medesimo, come le altre Persone, la pienezza dell'essenza e dell'essere di Dio. Questa pienezza si manifesta soprattutto nel fatto che Dio è l'Amore (1 Gv 4, 8).

Dio ha amato il mondo ancor prima della creazione e l'ha creato a causa di questo amore. E quando l'uomo, corona della creazione, cominciò a perire per i suoi errori il Padre inviò nel mondo il Figlio Prediletto. Nell'icona noi vediamo il movimento di questo amore del Padre per il Figlio e per l'uomo. Amando il Figlio, il Padre volge la testa verso di Lui quasi rattristandosi per Lui e allo stesso tempo esortandolo al sacrificio redentore. Amando la propria creatura che perisce, il Padre indica con le dita della mano l'Agnello quale vittima e mezzo che deve liberare l'uomo dal peccato e da tutte le gravi conseguenze del medesimo. Appunto col movimento del capo, della mano e delle dita del Padre, la Santa Trinità dà inizio alla propria vita rivelata nell'icona del nostro monaco.

S logico pensare che la raffigurazione di Dio Padre nell'icona si rapporti appunto a questo momento nel piano salvifico di Dio, cioè al tempo dell'incarnazione del Figlio di Dio[58].

L'angelo di sinistra è il Figlio di Dio, Gesù Cristo, il Salvatore del mondo, la seconda Ipostasi della Divinità. Dobbiamo ancora dire come Andrej Rublëv abbia raffigurato nell'icona il tempo della partecipazione del Figlio di Dio ai destini del mondo e dell'uomo. Se Dio Padre vi è raffigurato prima dell'incarnazione del Suo Figlio Unigenito (o meglio all'inizio della realizzazione della decisione dell'Eterno Consiglio riguardo alla salvezza del mondo e dell'uomo), Cristo vi è raffigurato dopo l'incarnazione. Lo vediamo non solo pronto ad accettare il sacrificio di se medesimo, proposto dal Padre, ma anche come Colui che ha già realizzato questa proposta. Egli siede sul suo scranno-trono quale Vincitore del peccato, della maledizione e della morte, siede maestoso senza piegarsi minimamente sulla mensa, cosparso di “oro scintillante”[59] e illuminato dal chiarore color lampone della luce circonfusa[60]. Egli stringe trionfante lo scettro senza lasciarlo inclinare né a destra né a sinistra, la mano destra posata sul ginocchio destro sollevato indica che l'Agnello non è fuori di Lui, che Lui è l'Agnello, e che Lui ha sacrificato se stesso. Le due dita della mano destra segnano, benedicendo, la vittima eucaristica incruenta che deve venir offerta nella Chiesa, conforme al Suo comandamento di “fare questo in sua memoria” (Lc 22, 19). Nelle rappresentazioni iconografiche del Cristo ha particolare importanza l'espressione del volto e la direzione dello sguardo. Nel volto del Salvatore la divina mestizia quasi si dissolve nella gioia e nel trionfo della Vittoria, pur conservando la propria ombra e le proprie tracce. Dove è diretto lo sguardo di Cristo? Lontano, nella profondità dei tempi[61]. Lo sguardo del Cristo è condizionato dal piano salvifico: Egli contempla il passato, il presente e il futuro; Egli vede sia l'incarnazione con il battesimo, la trasfigurazione, il Golgota, la risurrezione e assunzione, sia il proprio riassidersi alla destra del Padre quale Suo presente. A magnifica illustrazione e insieme a commento del Cristo nella “Trinità” può servire il Cristo nell'icona di Rublëv “Il Salvatore fra le potenze celesti”. Qui e là l'Eterno Consiglio è stato realizzato, l'amore generoso del Salvatore s’è ormai manifestato, la redenzione è stata “compiuta” (Gv 19, 30), la Chiesa è ormai fondata, le porte del tempio sono ormai aperte a tutti (nella “Trinità”). Contemplando tutto questo, Cristo non può non contemplare anche il futuro, perché è inseparabile dal passato e dal presente. Cristo vede anche la propria seconda gloriosa venuta, quando davanti al tribunale divino “si apriranno tutti i libri” dei destini umani e ciascun uomo verrà giudicato “dalle opere e dalle parole” della sua vita terrena (Mi 12, 37; Lc 19, 22; Apc 20, 13). E allora l'amore del Padre Celeste nel Consiglio Trino ma ormai giudicante volgerà la testa e lo sguardo al Figlio prediletto per “asciugare ogni lacrima” (Apc 21, 4) a tutti coloro che sono degni di entrare nell'amore di Dio e perciò nella Gerusalemme “nuova, superna, che noi andiamo cercando già fin da adesso (Ebr 13, 14).

L'angelo di destra è lo Spirito Santo Paraclito, la terza Persona della Santa Trinità. Già alla creazione del mondo “lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gn 1, 2). San Basilio Magno interpreta questo “aleggiare” con “vivificava”, San Giovanni Crisostomo dice che suscitava la materia primordiale “all'attività vitale”[62]. Egli fu presente anche là dove era risuonata la decisione: “Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza” (Gn 1, 26) e “Scendiamo e proprio lì confondiamo il loro linguaggio in modo che non s’intendano più gli uni con gli altri” (Gn 11, 7). Così incominciò la partecipazione dello Spirito Santo al piano salvifico di Dio sul mondo e l'uomo, continuò per tutto l'Antico Testamento (nell'attività dei patriarchi, dei profeti ecc.), ma si manifestò con particolare pienezza e chiarezza nel Nuovo Testamento. Dal momento dell'incarnazione del Figlio di Dio, Egli prende parte all'incarnazione stessa (Lc 1, 35), al battesimo (Mi 3.., 16) e alla fondazione della Chiesa dopo l'ascensione. Conforme alla promessa di Cristo di inviare il Consolatore (Gv 14, 16), gli apostoli Lo ricevettero sensibilmente e nella misura pii] piena (Ai 2, 2-3) quale grazia ipostatica di Dio che appella illumina, santifica, vivifica. Da allora la Chiesa di Cristo si venne edificando e consolidando con la partecipazione diretta della grazia corroborante dello Spirito Santo soprattutto nei sacramenti. Gli apostoli dicono di questa partecipazione attiva e decisiva dello Spirito Santo nella vita della Chiesa: “E parso bene allo Spirito Santo e a noi” (Ai 15, 28). Allo stesso modo hanno parlato i Padri dei Concili ecumenici nelle loro definizioni e nei loro documenti, allo stesso modo si sono espressi i grandi Padri e Dottori della Chiesa nelle loro opere, così dicono anche tutti i fedeli credenti che risolvono tutte le questioni e i problemi della propria esistenza secondo la fede, l'amore e la speranza nella volontà e nell'aiuto divini. Essi pregano lo Spirito Santo così: “Vieni e abita in noi, purificaci da ogni macchia e salva, tu che sei buono, le nostre anime”. Secondo la definizione del beato Serafino di Sarov, lo scopo fondamentale dell'esistenza cristiana è “l'acquisto” dello Spirito Santo. A chi l'ha acquisito si spalanca il campo di un'azione di grazia su tutti gli aspetti dell'esistenza umana.

Quale momento nel piano salvifico divino è raffigurato dal nostro iconografo nell'angelo-Spirito Santo? Facciamo attenzione ai suoi particolari per trovar risposta al nostro quesito. Lo Spirito Santo ha l'espressione più mesta e pensierosa delle Tre Persone. La sua figura è la più piegata sulla mensa, come anche la testa che difficilmente può scorgere qualcosa oltre alla coppa con l'agnello del sacrificio. Lo scettro è come privo di sostegno nella mano sinistra e s’inclina verso la spalla. Anche l'ala destra è fortemente inclinata all'ala del Padre, quasi cercando sostegno e appoggio. Lo Spirito Santo siede sullo scranno-trono ma lo occupa soltanto per metà, e sul suo capo incombe quasi una seconda aureola opprimente. La mano destra s'abbandona con tutte le dita sulla mensa, quasi affermando categoricamente e raffigurando simbolicamente che la vittima sacrificale è già stata immolata, che la redenzione s’è compiuta, che la Chiesa, fondata sul Cristo “come su pietra”, dispone ormai di tutti i doni di grazia, che l'uomo ha tutte le possibilità di prender parte alla salvezza propria e del prossimo. Con questi dettagli l'iconografo ci dà motivo di concludere che intende raffigurare lo Spirito Santo quale Ipostasi divina che tuttora agisce nel mondo e nella Chiesa del Cristo.

La Chiesa di Cristo sulla terra quanti eventi enormi, violenti sconquassi, grandi vittorie e sensibili perdite ha dovuto esperimentare e quanto l'attende nel futuro finché non verrà “la pienezza dei tempi” e non si sarà compiuto tutto ciò che è predestinato nei piani dell'Eterno Consiglio! Nell'azione della Chiesa non poco dipende anche dall'uomo, dalla sua libera volontà di obbedire a Dio e di sfruttare i doni di grazia dello Spirito Santo, invece di opporvisi. Nell'opera della salvezza dell'uomo prendono parte Dio e l'uomo, l'uomo non è soltanto oggetto ma anche soggetto; la sua libera resistenza alla volontà divina nell'opera della salvezza del mondo e dell'uomo è il fatto più triste della storia mondiale. Come reagisce a questo fatto lo Spirito Santo? Con una mestizia intensificata e un intensificato amore compassionevole per l'uomo. Però non è proprio dello Spirito Santo restare unicamente nella contemplazione del passato e del presente: a Lui, come al figlio di Dio, è aperto anche il futuro. Il mesto sguardo del Consolatore non vede forse quel tempo quando sulla terra rimarrà soltanto “un piccolo gregge”fedele di cui faranno parte solamente “gli eletti dal seno della madre” e venuti “dalla grande tribolazione” (Apc 7, 14), quando non la quantità (1 Tim 4, 11) ma la qualità determinerà la composizione del “gregge” di Cristo e perciò stesso anche le ultime tribolazioni nel destino del mondo e dell'uomo? Il Consolatore non vede forse anche gli altri destini dell'umanità, che dovranno sopravvenire dopo la seconda gloriosa Venuta del Figlio di Dio, quando nei cieli “nuovi” e nella terra “nuova” non ci sarà più “né lutto, né grido, né pena” (Apc 21, 4) e “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor 15, 28; E/i, 10)? L'amore di Dio è illimitato ed eterno; non abbandona l'uomo senza impegno e aiuto nella vita temporale terrena e non lo abbandona nella vita eterna d'oltretomba, rimanendo a sua volta compassionevole, compartecipe, elevatamente mesto. Di tutto ciò parla la figura tristemente mesta del Consolatore, questo conferma la figura mestamente tranquilla e sovrana del Padre, questo annuncia la persona luminosamente triste e vittoriosa del Figlio, di questo conversano misteriosamente le tre Ipostasi divine[63].

L'amore trinitario di Dio nella Chiesa terrena e celeste

L'idea motrice fondamentale, espressa dal pio monaco nell'icona, è l'amore divino che si sacrifica. L'amore divino non vale solo per le tre Ipostasi fra loro (perché in tal caso esse non sarebbero così accentuatamente meste) ma anche per l'uomo. Nell'icona non vediamo l'uomo ma ne avvertiamo con pari e maggiore intensità la presenza: sentiamo la mestizia delle Persone presenti per la loro “immagine e somiglianza” assente che s'è recata “in terra lontana” e non ha voluto partecipare alla mensa del Signore benché vi fosse invitata (Mt 22, 1-3; Lc 14, 16-20). L'ispirato monaco, dischiudendo a noi il mistero dell'amore della Santa Trinità verso l'uomo, mostra anche noi stessi nei nostri rapporti con Dio cercando di provocare anche nel nostro cuore un dispiacere per il nostro resistere all'amore generoso di Dio che intende superare “l'odio lacerante di questo mondo”[64].

Alla natura divina non s'addice la mestizia; se le attribuiamo quest'ultima, dobbiamo intendere l'amore compassionevole e compartecipe di Dio per gli uomini, per le loro sofferenze e per i loro dolori[65]. L'amore fino al sacrificio di sé, fino “l'umiltà e mansuetudine” (Mt 11, 29), è la forza suprema tale amore compassionevole. Esso si manifesta non solo nell'eroismo del Golgota ma anche nella ricerca incessante delle “pecorelle smarrite”, nell'invitarle alla Casa di Dio (Lc 15, 4-7), al banchetto della fede, alla mensa dell'amore (Lc 14, 16-24), alla festa della gioia divina tripudiante per aver ritrovato il figlio prodigo (Lc 15, 32). Il Signore invita tutti gli uomini, assolutamente tutti, al banchetto nuziale di Suo Figlio, dicendo: “Ecco, il mio convito è già pronto, si sono ammazzati i buoi e gli animali ingrassati, e tutto è pronto: venite alle nozze” (Mi 22, 4). Ogni anno udiamo quest'invito universale. e con particolare forza nella notte di Pasqua quando la santa Chiesa per bocca del suo dottore universale ci chiama ad accedere alla mensa con il “vitello ingrassato”, invita i “pii e timorati di Dio... coloro che hanno digiunato e coloro che non hanno digiunato... senza piangere dei propri peccati e temere la morte, perché la morte del Salvatore ci ha liberati”[66]. La Santa Trinità sedendo alla mensa e “conversando” mestamente del piano della nostra salvezza, allo stesso tempo quasi celebra la cena del Signore, la cena dell'amore reciproco e dell'amore per l'uomo, la cui presenza invisibile è simbolicamente segnata dalla coppa con la testa del vitello e dall'espressione pensierosa e quasi d'attesa delle tre Persone divine[67].

Dal momento dell'assunzione e della fondazione della Chiesa, l'Agnello di Dio viene offerto ogni giorno in sacrificio incruento sugli altari delle nostre chiese per riunire i fedeli col Cristo nel sacramento della santa Comunione. Fino a quando? Cristo stesso risponde al quesito: “Fino al giorno in cui ne berrò del nuovo (vino) insieme a voi nel regno del Padre mio” (Mi 26, 29). Rifacendosi a queste parole del Signore, il sacerdote celebrante prima di lasciar cadere nel calice i frammenti consacrati, dopo la comunione dei fedeli, esclama solennemente e gioiosamente: “O Pasqua grande e santissima! O Cristo sapienza, verbo e forza di Dio! Concedi a noi di comunicare realmente a Te nel giorno senza tramonto del Tuo Regno”. Il “giorno senza tramonto del Regno” è il giorno della Chiesa ventura, celeste, trionfante, nel Regno della Gloria divina, dove “non ci sarà tempo” (Apc 10, 6), né sera, né “notte” (ibid. 22, 5), e dove “il Signore Dio Onnipotente sarà Lui stesso e tempio e Agnello” (ibid. 21, 22) e “luce” (ibid. 22, 5). La comunione delle anime sante con Dio sarà una comunione di infinito amore reciproco e la Santa Trinità sarà per loro l'Unità superamante. Il mistero della Santa Trinità, quale mistero dell'ineffabile amore divino, verrà manifestato all'uomo soltanto nel “secolo futuro”, nel regno della gloria di Dio[68]. Fino a quel momento il mistero della Santa Trinità è dato a noi soltanto “in enigma”, soltanto a misura della statura spirituale di grazia e della perfezione di ciascuno. Ma quello che della Santa Trinità ci comunicano la Sacra Scrittura e la Chiesa nella sua esperienza liturgica, pastorale e iconografica è pienamente sufficiente alla nostra salvezza.

Trinità Santa, Dio nostro, gloria a Te!

Così la meditazione teologica dell'icona del pio e ispirato monaco si trasforma in riverente preghiera.

 


[1] “In questi due personaggi (Cristo e la Deipara) si concentra anche la multiformità delle figure veterotestamentarie. Così il sacrificio di Isacco, l'agnello, il serpente di bronzo, prefiguravano il Cristo; il vaso dorato della manna, il bastone d'Aronne, il roveto ardente, prefiguravano la Madre di Dio. Per questo le prime icone cristiane furono icone del Cristo e della Deipara. E la Chiesa basa la sua iconografia su queste due immagini...”. I Padri del Settimo Concilio Ecumenico affermano che “l'iconografia non venne affatto escogitata dai pittori ma è invece un'istituzione e tradizione della Chiesa cattolica (universale)”n(dagli Atti dei Concili, pp. 466-470; cit. in: L. Uspenskij, L’origine dell'icona cristiana, ðurnal Moskovskoj Patriarchii 1958, maggio, pp. 75-76).

[2] Tre discorsi di difesa (in russo), Discorso n. 1, cap. 8, p. 7.

[3] Tutti gli iconografi ricorrono al simbolismo soprattutto dei colori, ciascuno dei quali possiede un significato specifico e uno specifico linguaggio simbolico. Non a caso le icone vengono chiamate “teologia a colori” (Weltanschauung a colori). Particolarmente ricca di sfumature cromatiche è la tavolozza del nostro monaco pneumatoforo. Comprendere il significato dei suoi colori, come del resto degli altri suoi simboli, significa avere in mano la chiave al misterioso mondo, mirabile per bellezza e verità, che spira dalle sue icone. (Per la “teologia a colori” cfr. E. Trubeckoj, Studio sulle icone, IPL editrice, Milano). Ndt

[4] Il concetto del piano o economia salvifica viene fornito in modo breve e semplice da San Giovanni Crisostomo: “Venne il Cristo... e questa sua venuta nel mondo la Scrittura la chiama economia della salvezza” (vol. XII, 920; cfr. anche voi. VII, 290, in russo). Del piano salvifico di Dio parla l'apostolo Paolo (Ef 3, 2 e 9), San Gregorio il Teologo [Opere (in russo), vol. IV, 525]. Per economia della salvezza in senso lato bisogna intendere l'azione provvidenziale di Dio riguardo al mondo e all'uomo, cominciando dalla creazione del mondo fino all'avvento del Salvatore nel Nuovo Testamento.

[5] Qui, come nel resto dell'articolo, destra e sinistra s'intendono per chi guarda. Ndt

[6] Il santo russo più famoso; la data di nascita è ignota, morì nel 1392; fondò il monastero della “Santa Trinità e di San Sergio” di Zagorsk, tuttora centro di pellegrinaggi e sede dell'Accademia ecclesiastica e del Seminario di Mosca. Il Patriarca di Mosca è per tradizione anche archimandrita di questo monastero. Ndt

[7] Che cosa vedeva, udiva e provava nel suo eremo fra i boschi? “Nelle vicinanze l'urlo delle fiere e le schiere diaboliche, in lontananza dai centri abitati i gemiti e il pianto della terra sotto il giogo dei tatari... I diavoli, quale gregge innumerevole, gridano tutti assieme a più voci: “Vattene! Lascia questo posto!"“ (E. Trubeckoj, La Russia nella sua icona, Mosca 1917, p. 12 dell'edizione russa).

[8] E. Trubeckoj, Studio sulle icone (op. cit.), Mosca 1916, p. 12 (nell'edizione russa). In tal modo l'icona dedicata alla Santa Trinità forniva la risposta a uno dei quesiti essenziali di quegli anni, quando anche sul campo di battaglia soltanto gli sforzi congiunti dei principi, prima divisi, poterono spezzare la resistenza del secolare nemico. I contemporanei videro nella “Trinità” di Rublëv un appello alla concordia e all'unità, e appunto questo significato umano della “Trinità” è capace di conquistare anche l'uomo attuale. (M.V. Alpatov, Andrej Rublëv, in russo, p. 23).

[9] I critici d'arte dicono degli anni della vita di Rublëv: “La supposizione più probabile è che A. Rublëv sia nato intorno al 1360 e morto intorno al 1430 in età avanzata "coll'onore della canizie"” (N. Demina, La “Trinità” di Rublëv, in russo, Mosca 1963, p. 14).

[10] Di questi due compagni asceti la Vita del beato Nikon dice: “Due starcy virtuosi e iconografi che sempre s'accattivavano fraternità spirituale e grande amore... e così tornarono a Dio guardandosi l'un l'altro in comunione di spirito come erano vissuti qui sulla terra”.

[11] Storia della pittura (in russo), vol. I, p. 224.

[12] Troickij Paterik (Il martirologio del monastero della Trinità), p. 320.

[13] M. V. Alpatov, op. cit. p. 24.

[14] Nato intorno al 1350 e morto all'inizio del sec. XV dopo aver molto lavorato in Russia, soprattutto nell'affresco. Ndt

[15] Nella Vita del beato Nikon si dice: “Per ordine del beato Nikon vennero trascritte nel monastero due copie della Scala del paradiso, con brani di Gregorio Sinaitico, le istruzioni dell'abate Dorofej, il Diopter di Filippo, con le risposte dell'abate Varsanufij e le esortazioni di Esichio” (Paterik..., op. cit., p. 75). Inoltre al tempo di Nikon esisteva una biblioteca patristica che era stata trascritta prima e importata da Mosca e da altri luoghi. Essa conteneva fra l'altro le istruzioni dell'abate Dorofej, di San Gregorio il Teologo, le opere di San Giovanni Damasceno, le Pandette di Antioco, le opere di Isacco il Siro. (Cfr. S. Mansurov, Biblioteca. Antologia, in russo. Troice-Sergieva Lavra 1919, pp. 126-143.)

[16] “Noi sappiamo che molti iconografi, per esempio Andrej Rublëv, dipingevano le loro icone con la preghiera e le lacrime” (E. Trubeckoj, Studio..., op. cit., p. 10 nell'edizione russa).

[17] Cfr. la nota 8.

[18] “Il tornare a lavorare nel monastero della Trinità - scrive M. V. Alpatov - aveva per Rublëv, oltre a tutto, anche un significato profondamente personale e rappresentava un ritorno alle opere della sua gioventù. Era un ripagare i suoi maestri, vecchi amici e compagni, per i valori morali che questi avevano deposto in lui durante la sua permanenza nel monastero. Era un tributo di onore dell'artista alla memoria di Sergio” (op. cit., p. 21).

[19] Secondo la Bibbia, Dio era apparso sotto l'immagine di un solo angelo, e gli altri due erano semplicemente angeli (Gn 18, 1; 17; 22-33).

[20] Noi vi leggiamo: “Abramo, ministro del mistero, gioì nell'accogliere il Creatore di tutti, Dio e Signore in tre Ipostasi, e in queste riconobbe l'unica divinità”.

[21] Ma perché appunto sotto il simbolo di angeli antropomorfi? Gli esseri del mondo spirituale (Dio, gli angeli) possono venir rappresentati soltanto in maniera figurata-simbolica. L'immagine dell'uomo, quale essere spirituale-ragionevole “poco inferiore agli angeli”, e con la sua natura entrato in unione ipostatica col Figlio di Dio, è la più degna a tale intento. Perciò è naturale rappresentare sotto forma umana non solo gli angeli ma anche Dio. “Adesso - scrive San Giovanni Damasceno - quando Dio è apparso nella carne ed è vissuto fra gli uomini, io rappresento l'aspetto visibile di Dio” (op. cit., cap. 16, pp. 11-12).

[22] “Dio ordinò ad Abramo di sacrificare il figlio non perché lo volesse rendere assassino ma per mostrare a tutti gli abitanti del mondo la forza dell'amore di Abramo per Dio anche a costo della vita del figlio Isacco... E l'Altissimo gli rivelò che Lui stesso avrebbe dato il Figlio Unigenito, perché Dio, incarnatosi, salvasse dall'errore il genere umano”. Opere (in russo), parte II, p. 42.

[23] L'apostolo Paolo espone la dottrina dell'Eterno Consiglio nella lettera agli Efesini (1, 4-5 e 9-14). Una spiegazione dettagliata di questo insegnamento dell'apostolo Paolo la fornisce il vescovo Feofan VyÓinskij nella sua Ermeneusi della lettera dell'apostolo Paolo agli Efesini. Egli vi scrive fra l'altro: “il Figlio di Dio, incarnatosi, compì tutto quello che le tre Persone della Santissima Trinità avevano deciso unanimi nell'Eterno Consiglio” (p. 223, in russo). Dell'Eterno Consiglio parla l'autore dell'opera Dei nomi divini al cap. 5 e anche San Giovanni Damasceno: “Le decisioni dell'Eterno Consiglio restano sempre immutate” (op. cit., p. 8). L'Eterno Consiglio esprime la pienezza della vita della divinità: l'unione delle Persone della Santa Trinità in reciproco amore e comune accordo per quanto riguarda il piano salvifico del mondo e dell'uomo. Ciò testifica per ciò stesso l'eguaglianza, l'eguale dignità, l'unità della natura delle tre Ipostasi divine.

[24] Tutto questo Andrej poteva apprenderlo anche dalla liturgia dell'Annunciazione. La prima stichira del vespero canta: “Gabriele si presentò a Te, Vergine, manifestandoti l'Eterno Consiglio...”.

[25] L'autore adopera qui e in tutto l'articolo il termine “prestol”, che significa altare-mensa-tronco, e sfrutta il simbolismo di tutti questi significati. Ndt

[26] Solo attraverso la porticina è possibile introdurre la legna per il fuoco dei sacrifici, un fuoco che può ardere solo nei pressi della porticina come indica la coppa con l'Agnello del sacrificio la quale non è posta al centro dell'altare ma spostata in avanti verso il fuoco. Nelle chiese cristiane dei primi secoli alla porticina del fuoco si sostituì un'apertura negli altari per riporvi le reliquie dei martiri, le quali nella tradizione ortodossa posteriore vengono raccolte in un sacchetto cucito nell'antimension (corporale) sul quale viene offerto il sacrificio incruento eucaristico che è Cristo.

[27] Per comprendere il significato salvifico della “Trinità” bisogna interpretarne conformemente al piano salvifico tutti i dettagli. In Rublëv nulla è insignificante, casuale, superfluo, non collegato col tema fondamentale, che è la partecipazione della Santa Trinità al mistero della nostra salute. Nell'icona tutto è subordinato a questo tema: la porticina sul davanti dell'altare, il tempio che s'eleva sopra la testa del Salvatore, il colorito delle vesti delle Ipostasi divine, e tutto il rimanente.

[28] “La rivelazione del mondo noumenico, così come l'ha vista Rublëv, ci commuove, colpisce e quasi brucia... Noi riteniamo contenuto creativo della “Trinità” appunto questo mondo inesplicabile che invade a fiotti generosi l'anima dello spettatore, questo azzurro celestiale cui nulla al mondo si può paragonare... questa grazia inesprimibile delle figure piegate l'una verso l'altra, questa quiete sovramondana del silenzio, questa reciproca docilità illimitata” (P. Florenskij, Troice-Sergieva Lavra, in russo, 1919, pp. 19-20).

[29] Queste espressioni sono tolte dalla Confessione della fede ortodossa di San Giovanni Damasceno.

[30] Op. cit., discorso 22, p. 333.

[31] Ricordiamo come il cerchio sia il simbolo ideale della perfezione spaziale, della capienza interiore e della pienezza nel tempo (eternità). Non fa perciò meraviglia che fin dall'antichità il concetto di cerchio simboleggi anche il campo dei fenomeni e delle concezioni spirituali. Il metropolita Filaret di Mosca osserva a questo riguardo: “Convieni di buon grado con l'antica opinione che Dio è un cerchio, il cui centro è dappertutto e la circonferenza in nessuna parte” (Prediche e discorsi, in russo, parte I, p. 129). L'abate Dorofej, nella celebre formula sul rapporto dell'uomo con Dio e con l'uomo, si serve del concetto dell'universo e della terra come sfera (centro), e di Dio come centro di questa sfera.

[32] “Il motivo del cerchio si sente dovunque come leitmotiv di tutta la composizione nell'icona di Rublëv” osserva V.N. Lazarev (Andrej Rublëv, in russo, Mosca 1966, p. 7). “Il tema del cerchio - afferma M. V. Alpatov - ha acquistato nella "Trinità" tutto il suo significato filosofico e tutta la sua forza d'impressione artistica... La presenza invisibile del cerchio rende quest'ultimo particolarmente efficace” (op. cit., p. 25).

[33] Il cerchio, appena presente nelle linee delle figure, abbraccia e rinchiude le medesime e fornisce quasi la conferma visibile che questi tre esseri magnifici, ciascuno bello per una sua bellezza specifica, possono costituire un unico intero indivisibile senza rinunciare minimamente alla loro autonomia. Qui il cerchio è simbolo di unità, riposo, perfezione” (M.V. Alpatov, op. cit., p. 25).

[34] Tutta l'icona è inondata di luce, la quale permea e illumina tutte le immagini, tutti i dettagli. La fonte della luce non si vede; si può dire che proviene sia dall'esterno (dal sole) come pure da ciascun dettaglio iconografico che riflette il chiarore della luce. In senso spirituale si può dire che la luce sgorga dalla fonte di ogni luce: la Santissima Trinità.

[35] Ai due semicerchi dell'albero e della figura incurvata dell'angelo di centro si contrappone, attutendoli, l'elegante semicerchio del braccio destro di quest'angelo che si dirige verso l'angelo di sinistra.

[36] San Giovanni Crisostomo, Opere (in russo), vol. II, pp. 292, 435. Cfr. anche il metropolita di Mosca Filaret, op. cit., vol. I, pp. 32-37.

[37] “La montagna è un antichissimo simbolo di tutto ciò che è sublime” (N. Demina, op. cit., p. 54. Cfr. anche M. V. Alpatov, op. cit., p. 23).

[38] Nell'icona di Rublëv ciascun particolare può venire rettamente compreso e apprezzato solamente se collegato coll'intero cioè con l'armonia generale del dipinto. Sullo spazio limitato dell'icona l'iconografo ha dato disposizione ideale a una moltitudine di dettagli, senza fronzoli e dimenticanze. Con una stretta subordinazione di questi fra loro e all'idea generale, egli ha creato la simmetria delle parti e l'armonia dell'intero.

[39] Sopra abbiamo addotto un altro motivo per spiegare questo spostamento in avanti della coppa, ma un motivo non esclude l'altro.

[40] op. cit., p. 39.

[41] V. N. Lazarev, op. cit., p. 16.

[42] “Uno dei parallelismi nelle forme dell'icona di Rublëv è il fatto che le linee della coppa sulla mensa vengono ripetute, ampliate, nello spazio fra i piedi degli angeli laterali” (M. V. Alpatov, op. cit., p. 26).

[43] “Se Cristo non avesse vuotato il calice di tutte le iniquità da noi commesse e di tutte le esecuzioni capitali da noi preparate, questo calice avrebbe sommerso il mondo intero; ma Egli solo lo vuotò fino alla feccia” (Filaret, metropolita di Mosca, op. cit., vol. I, p. 32).

[44] Per il complesso simbolismo, anche religioso, della coppa-calice nell'epos russo cfr. Georgij Krugovoj, La battaglia come festino: una metafora della letteratura russa antica in Russia Cristiana, n. 115 (gennaio-febbraio 1971). Ndt

[45] Op. cit., p. 52.

[46] Nelle icone grandi accanto alle porte centrali dell'iconostasi il Cristo viene talvolta raffigurato come Pantocratore; ma questo attributo del Figlio è strettamente collegato alla proprietà distintiva del Padre: “Tutte le cose che fa il Padre, le fa allo stesso modo anche il Figlio” (Gv 5, 19). Il Padre è onnipotente e il Figlio è onnipotente; perciò si può raffigurare anche il Figlio come Pantocratore. Però l'icona di Rublëv lo rappresenta nelle vesti non di Pantocratore ma di Redentore.

[47] L'autore adopera il termine “gornoe mesto”, che significa lo scranno elevato (cattedra) occupato dal vescovo durante la celebrazione liturgica pontificale. Ndt

[48] E’ molto difficile definire il colorito del manto del Cristo, che nelle varie riproduzioni dell'icona ha sfumature cromatiche diverse Lo stesso vale per il colorito delle altre parti dell'icona. Nel descriverla noi ci basiamo sull'opera citata di N. Demina e sulle osservazioni che abbiamo fatto noi stessi contemplando l'originale nella Pinacoteca Tret'jakov di Mosca.

[49] “Nei volti dell'icona c e un unica anima ma con tre forme, ed essa palpita, diversificata, in tali forme” (N. Punin, Andrej Rublëv, 1916, p. 19).

[50] Cristo dice: “Il Padre è in me e io sono in Lui” (Gv 10, 38); “Io e il Padre siamo una cosa sola” (ib. 10, 30); “E tutto quello che è Tuo (del Padre) è mio” (ib. 17, 10); “Il Padre mio non ha mai lasciato di operare fino al presente, e io pure opero” (ib. 75, 17); “Chi ha visto me ha visto il Padre (ib. 14, 9); “Egli (il Paraclito)... riceverà del mio e ve lo farà conoscere” (ib. 16, 14).

[51] Egli “è subordinato meno degli altri al ritmo circolare” (M. Alpatov, op. cit., p. 26).

[52] La spiegazione più semplice e naturale del perché l'angelo di sinistra tenga la mano destra e le dita benedicenti sul ginocchio e non sull'altare sta nel fatto che tutta la metà destra della sua persona è più lontana delle altre due dall'altare. Per questo motivo quest'angelo non può raggiungere con la destra l'altare senza piegarsi. Ma bisogna dire che qui convergono positivamente due circostanze: l'intenzione ideale (di mantenere la mano sul ginocchio) e la posizione naturale dell'angelo di sinistra rispetto all'altare.

[53] L'antica iconografia russa aveva un motivo speciale per dipingere l'angelo centrale più in alto degli altri due. Infatti l'iconografo aveva a disposizione una tavola piatta e volendo collocare uno degli angeli dietro agli altri due (quasi in una certa profondità), doveva disegnarlo più in alto. (Cfr. E. Kovtun, Come guardare un quadro, in russo, Mosca 1960, p. 57).

[54] Tutti gli angeli sono eguali per dimensione e disposizione attorno alla mensa” (M.V. Alpatov, op. cit., p. 23).

[55] Questo rispecchiarsi vicendevole è particolarmente manifesto nelle vesti degli angeli: l'azzurro-cupo delle vesti del Padre e dello Spirito Santo si rispecchia con bagliori azzurri nel manto del Figlio, soprattutto nel braccio destro e nella piega del ginocchio. L'atmosfera luminosa, festante, solare, che circonda gli angeli, li riunisce nel baluginare chiaro e gioioso delle vesti.

[56] San Giovanni Crisostomo chiama il Padre “primeggiante”, perché “Egli è il primo per la nostra vita” (Opere, in russo, vol. I, p. 897).

[57] Gli studiosi e i critici d'arte non sono tutti d'accordo sulla disposizione delle tre Ipostasi divine nell'icona.

[58] Allo stesso tempo, come vedremo più tardi, questo momento iniziale del piano salvifico divino sull'uomo è un momento costante, intranseunte, della cura di Dio per il mondo e per l'uomo, non limitata nel tempo e nello spazio.

[59] M. V. Alpatov, op. cit., p. 27.

[60] Se nel leggere l'icona della “Trinità” si parte dal colorito dell'angelo-Cristo, si avverte che appunto il suo colorito rosso-azzurrognolo e dorato è uno dei centri cromatici dell'icona. Muovendosi dal suo centro questo colorito irradia verso l'alto in semicerchio sulle ali angeliche e sulla mensa, partendo dallo scranno e predella, in semicerchio oro-pallido verso il basso. Questi due semi-cerchi, fondendosi, creano l'arco cromatico dorato dell'icona.

[61] Lo affermano anche V.N. Lazarev (op. cit., p. 15) e N. Punin (op. cit., p. 19).

[62] San Basilio, Opere (in russo), Mosca 1891, parte I, p. 31; San Giovanni Crisostomo, Opere (in russo), Pietroburgo 1898, vol. IV, p. 15.

[63] “Salta agli occhi nella "Trinità" la conversazione silenziosa degli angeli, il loro meditare sui destini futuri del mondo” (D.S. Lichacev, La cultura della Russia al tempo di A. Rublëv e di Epifanii Premudryi, in russo, Mosca 1962, p. 129).

[64] Questo “odio lacerante” era la peggiore calamità del tempo di San Sergio e rattristava profondamente tutti coloro che amavano gli uomini e la patria. Per vincere questo “odio lacerante”, il santo con le proprie mani eresse anche la chiesa dedicata alla “Trinità Vivificante”, simbolo spirituale dell'unità, dell'amore e della pace. Questo medesimo dispiacere per gli uomini e la patria, attutito dall'amore per Dio e per l'uomo, diresse il pennello del grande artista, conferendogli quel tono di umana mestizia, di bellezza elevata, di spiritualità, che spira dall'icona della “Trinità”.

[65] L'amore compassionevole di Dio per l'uomo è tanto grande che Dio, condividendo le nostre sofferenze, prende parte anche alla nostra penitenza. Egli “si pente misericordioso, benigno e paziente, per le nostre malvagità” (Rituale ortodosso: sacramento della Confessione, p. 44).

[66] Dal Sermone di San Giovanni Crisostomo nella notte di Pasqua.

[67] Nell'icona di Andrej Rublëv non vediamo una Divinità severa e autoritaria che chiama e attende l'uomo, ma una Divinità tre volte bella e luminosa, tre volte amante e misericordiosa, tre volte mesta e invitante alla pace, all'amore, a] superamento dell'“odio lacerante” e di ogni inimicizia.

[68] L'icona della “Trinità” ci dà un accenno a questo futuro nella sua cosiddetta prospettiva inversa. Se dalle predelle e gambe restringentesi degli angeli laterali guardiamo nella profondità dischiudentesi dell'icona, risulterà particolarmente sensibile tale prospettiva inversa. Nel piano spirituale essa simboleggia che solo ingrandendo e ampliando l'esperienza della viti nella grazia è possibile scoprire i misteri dell'economia salvifica divina e della Santa Trinità. La prospettiva inversa simboleggia anche quell'abisso di beni spirituali incommensurabili del “secolo venturo”, che adesso non possiamo nemmeno lontanamente immaginare.

Aleksandr Vetelev

(in Russia Cristiana, XV, 1974, 137, pp. 23-57)

 

Letto 15093 volte Ultima modifica il Mercoledì, 15 Maggio 2013 20:05
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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