Il corpo di risurrezione
di Giovanni Vannucci
Gesù Cristo, rispondendo al curioso dilemma postogli dai sadducei che non credevano alla Risurrezione (cfr. Lc 20, 27-38), li riporta alle origini: la sorgente della vita, Dio, è il Dio dei viventi, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che sono scomparsi dalla terra, però sono sempre viventi; è il Dio dell’uomo. Dobbiamo credere solo nella vita.
Nel nostro pellegrinaggio terreno incontriamo tante cose: un corpo che cambia continuamente perché vive, delle vesti, delle case, degli oggetti che diventano nostra proprietà; a un certo momento qualcosa di noi andrà oltre e tutti questi oggetti, queste realtà - vesti, case e altre cose - rimarranno sulla terra, diventeranno proprietà di altri, i quali a loro volta le lasceranno. Anche il nostro corpo un giorno lo deporremo nel seno della terra, ma se noi abbiamo fede nella vita lentamente in noi si forma un altro corpo, che tutte le tradizioni chiamano «il corpo di Risurrezione».
Il nostro impegno qui sulla terra è di tessere vigorosamente, generosamente, in un amore sconfinato, questo nostro corpo sottile che andrà oltre, lasciando poi alla terra il piccolo corpo, che una volta deposto in essa farà il suo cammino: si scomporrà nei suoi elementi biochimici, entrerà a far parte di altre esistenze e di altre forme. Ma l’Io eterno che è in noi e che ci viene da Dio andrà oltre.
Il cristiano non dovrebbe mettere sulla tomba: «Qui giace...», perché non vi giace nessuno; il nome eterno che ha rivestito quel corpo - corpo che viene lasciato, come tutte le cose della terra, alla terra – è in cammino verso l’infinita vita e l’infinita luce di Dio. Allora nella tomba non giace nessuno. Pensare questo è faticoso, perché millenni di esperienze di paura della morte hanno talmente inciso in noi la figura della morte che non riusciamo a liberarcene. Ma Cristo ci dice: il tuo punto di partenza è la vita infinita di Dio e tu non muori, i tuoi cari non muoiono, gli uomini non muoiono, ma vanno oltre; il pellegrinaggio terreno è importante, perché sulla terra possiamo sviluppare quei germi di vita eterna che abbiamo ricevuto con il nostro discendere sulla terra e partecipare a una vita incarnata.
Allora la preoccupazione centrale del nostro essere deve consistere proprio nello sviluppare, nel far crescere in noi il corpo di Risurrezione; tutto il resto non conta. E se vogliamo sapere se noi veramente crediamo alla Risurrezione, dobbiamo domandarci: «Credo alla morte?». Se la risposta è no, vuol dire che crediamo alla Risurrezione.
Il cristianesimo è l’èra della religione del Figlio: il Figlio accetta la morte che è nella vita, ma l’accetta liberamente e generosamente, non per morire, ma per risorgere, per andare oltre. La nostra ragione di fronte a questo vien meno, ma c’è qualcosa di più forte della nostra ragione che ci dice: credi nella vita e nella infinità della vita. Quando passiamo da un confine all’altro, anche qui sulla terra, da una nazione a un’altra, sorpassato il confine, noi rimaniamo gli stessi: portiamo il ricordo del paese che abbiamo abbandonato, ma entriamo in un’altra realtà; e così è la vita.
«Io sono la Risurrezione e la Vita» (Gv 11, 25): Cristo con la sua vicenda ci ha mostrato che la morte non esiste, e questa è una cosa che riguarda anche noi.
Crediamo nella vita, nella vita senza fine, nella vita eterna, e sentiamo importantissimo il nostro momento nella vita terrena: qui, sulla terra, possiamo acquistare tutta l’ossatura necessaria perché il nostro corpo di Risurrezione viva e ci accompagni nell’infinita vita di Dio.
C’è una pulsione nella vita: una forma, la fine di una forma, e il passaggio a una nuova forma. Questa è la Risurrezione: è la continuazione della vita; ma c’è un cambiamento di forme. Ed è importante anche la deposizione della forma, perché ogni nostra cellula ha un doppio aspetto: un aspetto biologico, misurabile, eccetera, e un aspetto invisibile. L’aspetto invisibile è lo Spirito presente in noi, che nella nostra vita - se è generosa, se è aperta, se è positiva, se è creativa - si sviluppa, ma lascia un’impronta anche nelle nostre cellule.
Quando andiamo vicino alla tomba di un uomo grande, ci sentiamo presi da qualcosa; questo qualcosa è legato ai miliardi di cellule che sono state deposte in terra. Io credo che lentamente tutta la terra, attraverso questa deposizione di una carne santificata, si trasfigurerà.
E cosi, di fronte a una persona cara morta, noi dobbiamo continuare a credere alla vita di questa persona, che non è nella forma che ha deposto. Credere alla Risurrezione è questo.
«Coloro che avranno creduto seriamente alla Risurrezione risorgeranno» (cfr. Lc 20, 35-36). Io penso questo: quando varcheremo la soglia della terra ed entreremo nella dimensione dell’aldilà, ognuno porterà con sé la gradualità del suo essere. Un essere infimo, che non ha conquistato niente sulla terra, nella vita eterna rimarrà infimo. Un essere nobilissimo entrerà a servizio delle grandi idee che dirigono la formazione e l’ascesa del cosmo.
C’è un linguaggio razionale che non può penetrare in queste cose, ma ci sono dei momenti di contemplazione, di silenzio assoluto, nei quali queste cose scendono in noi e diventano certezze. Allora le sveliamo attraverso l’immagine, attraverso un linguaggio del tutto insufficiente; confrontando poi la nostra esperienza con l’esperienza di altri spiriti, abbiamo una buona possibilità di certezza.
Preghiera
Ridonaci, o Signore, il senso della tua Risurrezione,
aiutaci a superare tutta la nostra mortificante inerzia, a vivere la tua Vita.
Riaccendi nel nostro cuore il tuo amore-passione,
il tuo folle amore per il rischio, la tua incrollabile fiducia nella vita.
Ridonaci la passione per la vera vita dell’uomo,
l’ardimento di anteporre a tutto il compimento del tuo amore.
Liberaci da ogni tiepidezza,
perché possiamo portare a tutti gli esseri il tuo annuncio di pace e di fiducia.