di Ivan Nicoletto
Vorrei avvicinarmi al tema del presente quaderno L’intruso che inquieta e fa vivere, a partire da un testo del Nuovo Testamento, da un’esperienza dell’apostolo Pietro come ci viene narrata nel cap. 10 degli Atti degli Apostoli.
Come Gesù di Nazaret, vediamo l’apostolo Pietro in cammino. Figura singolare-plurale del credente e della Chiesa, Pietro non possiede un luogo o una sede propria se non uno Spirito che lo muove, lo inquieta e lo fa vivere.
In questo frangente della sua vicenda, a dire il vero, Pietro circuita presso i gruppi di credenti, suoi connazionali dei villaggi della Giudea, ai quali ha già annunciato il vangelo. Si avverte una sorta di stasi! Lui si rivolge ed è invitato dai suoi, con i quali condivide linguaggio, usi e abitudini, al coperto di un‘appartenenza identitaria, senza iniziativa e senza rischio... Ma un bel giorno, mentre è ospite di un credente di Giaffa, nello spazio aperto di audizione che è la preghiera, egli sente fame, e nell’attesa della preparazione del cibo ha un’estasi, accade una divina intrusione.
Pietro, o il credente, fa l’esperienza di un‘irruzione invasiva di cielo. I suoi sensi vengono aperti da/ad uno sconosciuto che si fa posto in lui. Un «aldilà», un «fuori», un’estraneità viene ad aprirsi nel «qui» del corpo.
Discende verso terra un oggetto non bene identificato, un ultracorpo con la forma di una grande tovaglia, in cui sono mescolate ogni specie di quadrupedi, di rettili della terra e di volatili del cielo.
La visione che si offre all’Apostolo non riguarda però solo la vista, ma si accompagna ad una voce intimativa che lo urge ad un’azione: «Uccidi e mangia!». A questa ingiunzione, Pietro è preso da sgomento e da terrore. Si spaventa di fronte all’insinuazione, che sembra diabolica, di infrangere un divieto religioso. «Non sia mai! In vita mia non ho mai mangiato nulla di profano e di immondo!». Al suo diniego, la voce gli risponde: «Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo immondo». Per rimarcare l’importanza dell’evento, per aprirsi un varco irreparabile nelle pareti della mente, la scena si ripete per ben tre volte. L’oggetto, poi, viene portato su, verso il cielo da dove è giunto: fine della visione!
Mentre Pietro medita perplesso, cercando di trovare un senso e un nesso a quanto ha vissuto, giungono degli uomini mandati dal centurione pagano Cornelio per invitarlo ad andare nella sua casa... Pietro inizia così a connettere la visione appena avuta, che lo sollecitava a mangiare gli animali impuri contenuti nella tovaglia, con l’occasione che gli sì offre dì entrare in relazione con l’estraneo, come egli dirà più tardi: «Non è lecito per un giudeo legarsi a uno straniero o aver contatto con lui». Cibi e corpi da evitare, da escludere, per non contaminarsi, particolari di una più ampia strategia disgiuntiva e oppositiva fra sacro e profano...
«Ma»... Un «ma» interrompe e mette in discussione il suo comportamento programmato dal precetto, allarga la sua concezione dell’umano e del divino, innesca una nuova visione e prassi. Pietro aggiunge: «Ma a me Dio ha insegnato a non chiamare nessun uomo profano o immondo».
Pietro diventa un 0GM, un organismo geneticamente modificato dall‘intrusione della voce divina? L‘indomani egli partirà alla volta di Cesarea con questi estranei e stranieri per recarsi nell’abitazione di Cornelio. In quella casa avverrà un‘altra irruzione da «fuori», l’effusione dello Spirito sui pagani, con grande meraviglia per tutti i fedeli circoncisi che accompagnavano Pietro.
Cerchiamo di lasciarci sorprendere e istruire anche noi da questa scena, in cui accade un mutamento inaudito di prospettiva. Prestiamo attenzione alle tattiche operative, po(i)tiche dell’intruso... Non sarà forse una costante divina, questa dinamica intrusiva che mina gli equilibri e i confini entro i quali l’umano o il religioso si definisce, continuando a creare cose nuove? Ecco, faccio nuove tutte le cose! Non sarà, quella dell’umano, una storia di rinascite dall’alto, dall’Altro incessanti?
Tutto sembra iniziare con una visione e una voce estranee, che vengono da un altrove, dal cielo o dall’abisso dell’anima, e s’insinuano nel corso della preghiera di Pietro interrompendola, s’intrufolano nella sua carne affamata. Qualcosa di sconosciuto, veniente da un altro mondo, si apre una breccia nel suo sentire e lo altera. Egli patisce l’invasione di un corpo estraneo come un cuneo che preme e infine irrompe in una sfera chiusa...
Il mondo della vita non è mai un corpo chiuso in se stesso, ma spalanca attimi di cielo o di abisso. Ci sono spessori, strati eterogenei, flussi, regioni imprevedibili e improbabili che erompono, vengono alla superficie, alla pelle del cuore o del pensiero, un tremito che ci trasforma senza sosta... Non solo voce che risuona da altrove, persona straniera, ma anche tovaglia che contiene qualcosa di selvaggio, di animale, di disgustoso: quadrupedi, rettili, volatili….
Nello spazio delimitato ed escludente della religiosità o della mentalità di Pietro, costituita da frontiere invalicabili che differenziano e separano nettamente la sfera del credente da quella dell’incredulo, del sacro dal profano, del bene dal male, dell’eletto dal reprobo... irrompe ora una Voce che scompiglia un ordine, provoca una discontinuità, schiudendoci ad un altro modo di esistere, di vedere, di pensare...
Sembrerebbe che il divino, più che essere un’assicurazione sulla vita, appaia come una mobilità che minaccia i luoghi stabiliti, o mette in questione la proprietà di un luogo, della società di cui facciamo parte: ci disappropria o ci espropria.
Non sarà forse la Scrittura, più che una codificazione assicurativa di certezze, una successione di toglimenti assicurativi, un‘in-scrizione dei passaggi del «di più» e dell’»oltre», una sorgente di invii provocanti e provocatori, di eccessi immaginativi e sconvolgenti?
Non sarà, la fede, un‘assenza crescente di bisogno di sicurezza, il lasciarsi rivolgere dall’altro un appello sconcertante, che io stesso non conosco, che mi trasforma?
E la Scrittura sacra, palinsesto di scritture e di riscritture di eventi, non solleciterà forse le gratuite intrusioni, incursioni, forzature dei suoi ascoltatori, come la Cananea forzò il/s’intromise nel disegno di Gesù (Mc 7,24-30)?
Intruso non sarà soprattutto il regno di Dio, che non è di questo mondo e tuttavia schiude in questo mondo un altro regno? Intrusione nel tempio (MC 11,15) o nei templi che noi ereditiamo, edifichiamo, consolidiamo, invece che attendere al mutamento..
Circostanze estranee al presente sovvertono la continuità dei nostri percorsi, linguaggi, abitudini ripetitive. Accadimenti legittimano l’attraversamento di confini stabiliti in precedenza, provocano l’allargamento di aree impensate dell’esistenza.
La visione petrina fa da battistrada per un incontro che sta per avvenire. Apre la porta su un’impresa in cui avventurarsi con fiducia. Si sviluppa un senso nuovo nell’umano. Un tatto accogliente per «altro» che si ospita, dal quale ci si fa ospitare...
Non è forse questa inquieta alterazione il cuore pulsante dell’evangelo, dell’Amore incarnato? Gesù dà carne ad un Dio che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. Manifesta un’illimitatezza della premura che tutti abbraccia. Invia uno Spirito che soffia dove vuole e invita a rinascere incessantemente ad altro, grazie all’Altro...
Ciò che Dio ha purificato tu non chiamarlo immondo.
Si accenna qui ad un movimento inconcludibile del divino. Ogni volta che noi fisseremo dei luoghi, separeremo il lecito dall’illecito, escluderemo l’alieno che turba e profana... daremo un fondamento all’infondato, renderemo il possibile necessario e meritevole il gratuito.
...Ma non sarà l’Emmanuele, il Dio-in-noi e il Dio-con-noi una permanente dinamica intrusiva e allargativa, sprone disorbitante, atto creativo, liberazione, dono...?
Quali sono gli animali, i corpi intrusi, gli eventi che scendono nella tovaglia del tempo che stiamo vivendo?
Quali sono i moti con i quali il divino sta scompigliando e plasmando le mappe dei nostri saperi, pratiche, pregiudizi e credenze…?
…Forse il desiderio, la laicità, il cyberspazio, lo straniero, le biotecnologie, la sensibilità ecologica, i flussi migratori, l’intelligenza artificiale, la pace, il genoma umano, il pluralismo religioso, l’annuncio evangelico, la morte, la biopolitica, il godimento, le reti neuronali, il silenzio, lo spirito delle beatitudini...?
Non ci chiede, forse, la Voce, una fiducia e un affidamento, un esercizio di ospitalità e di simpatia, un corrispondere creativo, responsabile e amante alle visitazioni trasformanti umano-divine?
Il quaderno esordisce con l’articolo di ROSANNA VIRGILI, che ci presenta un repertorio biblico alquanto sfaccettato di apparizioni dell’intruso, di trasformazioni prodotte dall’azione intrusiva degli altri o dell‘Altro. Un testo sacro, spesso reclamato come fondativo di un ‘identità religiosa, si rivela pervaso da eventi squilibranti e da un Dio sempre sorprendente.
SALVATORE PASSARI prende lo spunto riflessivo da un breve testo del filosofo francese J.L Nancy, che contiene la narrazione biografica di un trapianto di cuore, di un io contaminato da un corpo estraneo, assumendolo come metafora di tante altre contaminazioni alle quali siamo quotidianamente esposti, invasive della nostra esistenza, venienti da altrove e trasformanti.
Ringrazio di cuore gli amici contributori per la loro partecipazione a «Vita Monastica» e auguro al lettore, che in queste pagine fa la parte dell’intruso, di poter essere acceso da quell’inquietudine che fa vivere.
(da Vita Monastica n. 238, gennaio-marzo 2008)
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Camminava sull’acqua, riempiva le reti,
i pescatori lasciavano il mestiere per seguirlo.
Ad una festa di nozze mancò il vino e provvide, litri a centinaia,
un colpo da maestro di vendemmie, acqua in vasi di pietra si girava in vino.
E’ migliore, dissero i commensali, sì, è migliore il vino che non costa premitura,
il pane fatto senza grano e forno, il pesce che da solo salta in barca:
scatenava il gratis che appartiene alla grazia, passionale e guappa.
Veniva da un battesimo in acque di Giordano,
morì poco lontano sopra una trave a T
e quando un ferro gli trafisse il fianco
spillò acqua con sangue, come breccia di parto, morì come sorgente.
Ecco l’intruso del mondo,
intriso del grasso di tutte le colpe,
messo a sbiadire pallido di freddo in un aprile o addirittura un marzo,
oltre ottocento metri sul livello del mare mai toccato.
Un gargarismo d’acqua in fondo a un pozzo asciutto,
uno scatarro nella tubatura delle arterie;
così scroscia la sua risurrezione.
Erri De Luca