Vita nello Spirito

Giovedì, 24 Luglio 2008 02:43

Eucarestia e comunità monastica (Sebastiano Paciolla o. cist)

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Eucarestia e comunità monastica
di p. Sebastiano Paciolla, o. cist.


Ci possono essere vari motivi per visitare un monastero che vive secondo la Regola di San Benedetto Abate (= RB) e diversi modi per farlo. Il monastero può essere infatti una tappa o la destinazione finale del pellegrinaggio ad un luogo di fede, può essere la sosta in un percorso turistico, un luogo scelto per un ritiro o la meta di una vacanza alternativa, può suscitare interesse per i tesori di arte che racchiude, per la storia di cui è carico, per la tradizione del canto gregoriano o la solennità della liturgia. In ogni caso entrare in contatto con la realtà del monastero è sempre un’esperienza di comunione e di condivisione, almeno parziale, con la vita della comunità di consacrati che in esso dimora.

 

 

Eucaristia e Regola di San Benedetto: la prassi romana

Il monastero, chiamato da San Benedetto scuola del servizio divino (cfr. RB Prol. 45), casa di Dio (cfr. RB 31,19) e officina dell’arte spirituale (cfr. RB 4,78), è un luogo di preghiera, di silenzio e di lavoro, nel quale la comunità monastica celebra comunitariamente il culto a Dio nella lode della preghiera pubblica della Chiesa e nella celebrazione quotidiana dell’Eucaristia come messa conventuale. Se intendiamo la vita monastica come fedeltà all’osservanza della Regola, può destare meraviglia l’apprendere come della messa conventuale quotidiana non si abbia alcuna menzione nel gruppo dei capitoli della Regola che danno disposizioni di carattere liturgico nella vita della comunità ed al riguardo sono davvero rare le indicazioni che è dato scorgere al di fuori della sezione liturgica della Regola. Infatti della celebrazione eucaristica e della comunione, San Benedetto ne parla una volta sola, e quasi di passaggio, in riferimento all’inizio del turno del lettore di settimana al mattino della domenica, quando dispone che «il lettore, dopo la Messa e la comunione chieda a tutti che preghino per lui» (RB 38,2).

In relazione al tema della comunione eucaristica abbiamo una sola menzione nel medesimo capitolo, nel contesto delle prescrizioni sull’ordine della comunità, dove si legge che «il fratello lettore di settimana prima di cominciare a leggere prenda un po’ di vino sia per rispetto alla santa comunione, sia perché non gli riesca troppo gravoso sopportare il digiuno» (RB 38,10).

Quanto alla celebrazione della messa nel monastero, possiamo riscontrare due allusioni, delle quali la prima nel capitolo della Regola sui sacerdoti del monastero, quando si parla del servizio dell’altare affidato al monaco sacerdote come criterio di distinzione nell’ordine della comunità, dato dall’ingresso nel monastero (cfr. RB 62,6), mentre la seconda in riferimento al rito dell’oblazione (cfr. RB 59,2.8).

 

Tenendo conto i passi dubbi quanto all’interpretazione (cfr. RB 35,14 e 60,4) e le pochissime allusioni al tema eucaristico presenti nella Regola, dobbiamo concludere che il posto assegnato alla liturgia eucaristica è marginale ed in stridente contrasto con il ruolo oggi realmente riscoperto nella vita e nella prassi delle comunità monastiche, nelle quali la liturgia ha il suo centro nella celebrazione conventuale dell’Eucaristia mentre le ore dell’ufficio divino ne sono preparazione e irradiazione.

 

Dalla lettura complessiva del testo della Regola, la celebrazione della messa domenicale nell’oratorio del monastero appare attestata ( cfr. RB 38,2) mentre, se resta incerta la pratica della ricezione quotidiana dell’eucaristia (cfr. RB 38,10), la messa conventuale quotidiana risulta esclusa dalla Regola stessa sia dall’argomento ex silentj, sia dall’esame comparato con altre regole rnonastiche antiche.

 

Se, a differenza dell’ufficio divino, la celebrazione eucaristica e la comunione sono realtà appena accennate dagli autori delle regole monastiche, tra le quali si colloca quella benedettina, questo lo si deve al fatto che le disposizioni riguardanti la celebrazione eucaristica non rientrano nelle competenze del legislatore monastico, il quale, al riguardo, non può prescrivere nulla di particolare, in quanto la prassi eucaristica è stata sempre regolata dalla gerarchia, con l’occhio attento alla prassi della chiesa di Roma.

 

In ogni caso, anche se la celebrazione eucaristica non figura nell’orario della comunità monastica ma solo nella domenica, il giorno del Signore, tuttavia nella vita del monastero si ha la comunione quotidiana etra missam, uso derivato dalla chiesa dei primi secoli e rispondente all’idea che il Corpo di Cristo è il nostro pane quotidiano.

 

 

Eucaristia e monastero di Regola benedettina: una piccola Roma

Se questa realtà presente nella Regola costituisce la maggiore differenza con l’attuale prassi eucaristica dei monasteri, dobbiamo subito affrettarci a precisare che dalle fonti appare attestato come, a partire dall’epoca carolingia, le comunità dei grandi monasteri franchi celebrino quotidianamente una messa solenne, preceduta da una messa mattutina della comunità. A queste due messe comunitarie si affiancano le messe private su diversi altari e nelle varie cappelle o sacelli da monaci sacerdoti. Tale «sistema di messe» dell’alto medioevo rimane sostanzialmente presente nella prassi eucaristica dei monasteri del sec. XX, avendo presenti sia la scomparsa della messa mattinale che l’assorbimento delle messe private nella concelebrazione.

 

Tale particolare sistema di celebrazioni eucaristiche si costruisce con il sottile intento di riprodurre nel ristretto spazio del monastero la strutturazione delle celebrazioni eucaristiche proprie della chiesa romana, già guardata con un occhio attento dallo stesso San Benedetto quando dava disposizioni sul modo di celebrare le lodi (cfr. RB 13,10).

Avendo presente tale presupposto si comprende agilmente il parallelismo venutosi a creare tra il monastero benedettino e la città di Roma, in quanto la messa conventuale della comunità, con la sua solennità intende corrispondere alla stazione papale, mentre le altre messe celebrate su vari altari ed in diverse cappelle si pongono come il corrispondente delle celebrazioni eucaristiche celebrate negli altri luoghi dell’Urbe. Pertanto tutti gli altari costruiti all’interno delle mura del monastero richiedono delle celebrazioni quotidiane, sul tipo delle messe papali e presbiterali che si celebrano a Roma.

Una tale idea si fonda sul fatto che il monastero nel quale si osserva la Regola di San Benedetto, essendo sui juris, cioè autonomo, sia equiparato ad una città autonoma, una civitas, anzi alla stessa città di Roma, e sembra motivata dal desiderio di venerare, quali luoghi sacri, i vari sacelli e altari a motivo delle reliquie che in essi sono custodite, alle quali si fa riferimento anche nella formula della professione monastica (cfr. RB 58,19). Recenti studi tendono a porre in rilievo il ruolo determinante del modello romano nell’adozione di una o più messe conventuali alle quali, a partire dal sec. VIII, si aggiungono varie messe private.

 

Dal momento che ogni monastero si considera come una piccola Roma, ne consegue la ricerca di reliquie insigni ed il moltiplicarsi nel numero di altari, oratori e cappelle ad imitazione delle basiliche romane, dei titoli e delle cappelle cimiteriali. Il successo di questa concezione comporta la conseguente crescita nei monasteri di questi spazi e luoghi di culto ad immagine di quelli dell’Urbe. In questo contesto le celebrazioni eucaristiche si moltiplicano con l’intento di rispondere alle esigenze del modello liturgico-cultuale romano ed il maggior bisogno di celebrazioni spiega anche come, a partire dal sec. VIII, si assista al fenomeno della clericalizzazione delle comunità monastiche con una consistente crescita di coloro che accedono agli ordini sacri.

Letto 4427 volte Ultima modifica il Giovedì, 26 Aprile 2012 09:47
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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