Vita nello Spirito

Domenica, 29 Giugno 2008 01:28

Martin Lutero (1483-1546)

Vota questo articolo
(5 Voti)
Martin Lutero (1483-1546)






Sono pochi i personaggi che hanno condizionato la storia del cristianesimo in una maniera così decisiva, e così discussa, come Martin Lutero. Col suo appello rivolto alla chiesa e alla teologia a tornare ai fondamenti biblici, a riconoscere criticamente i propri errori e a purificarsi, Lutero ha suscitato non poche contese. Tra le cose che ha rimproverato alla pietà cristiana del suo tempo ci sono determinate forme della cosiddetta mistica: soprattutto una vita puramente contemplativa. di immersione totale nel divino, e l’eccessivo apprezzamento religioso di visioni e sogni. Lutero sottolineò il legame della fede con la parola «esterna» della Scrittura e con la predicazione storica del Cristo. Potrebbe dunque sorgere l’impressione che Lutero sia stato un nemico della mistica. Ma le cose non stanno così. Infatti, la comprensione dello spirito cristiano da parte di Lutero raggiunge i livelli della mistica.



Se per mistica intendiamo la consapevolezza di essere uniti a Dio, in Lutero troviamo accenti mistici. Al cuore della sua teologia c’era per lui, irrinunciabile, la coscienza della più stretta comunione del credente con Cristo. Nel contesto della teologia di Lutero ciò che possiamo chiamare la sua mistica si presenta come qualcosa di molto peculiare.


I. I PUNTI DI CONTATTO DI LUTERO CON LE TRADIZIONI DELLA MISTICA CRISTIANA




1. EVENTI MISTICI NELLA VITA DI LUTERO?

Nella biografia di Martin Lutero (nato il 10 novembre 1483, morto il 18 febbraio 1546), che qui diamo per conosciuta non c’è alcun fatto che possiamo definire esperienza mistica, perchè connesso con estasi o visioni o audizioni o esperienze di sogni. In questo senso non è stata un’esperienza mistica né la decisione che ha spinto Lutero a scegliere la vita monastica, né quell’episodio che, nella letteratura su di lui, spesso è detto «la scoperta» che l’ha condotto alla Riforma.

Sorpreso in aperta campagna da un temporale e spaventato a morte da un colpo di fulmine, il ventiduenne magister di filosofia e studente di giurisprudenza si decise per la vita monastica. Era stato sopraffatto dalla paura di morire improvvisamente senza essere  degno della vita eterna

Lutero quindi entrò: in convento, il monastero di Erfurt, dell’ordine degli eremiti agostiniani non perché in un’esperienza mistica abbia udito una voce celeste, o abbia visto un’apparizione sovraterrena, ma per motivi suggeriti dalla pietà ecclesiastica del tempo.

Dopo un primo periodo di prova nella vita religiosa, dai superiori fu destinato al sacerdozio, per servire l’ordine e la chiesa in maniera particolare. Quindi fu avviato all’acquisizione di una qualifica scientifica negli studi teologici. Per desiderio del vicario generale dell’ordine Johannes Staupitz, era già stato trasferito al monastero degli agostiniani di Wittenberg quando nel 1512, all’università di quella stessa città, conseguì il titolo di dottore in teologia, raggiungendo così i più alti gradi dello studio scientifico in tal modo Lutero era abilitato all’insegnamento della teologia e, per desiderio di lohannes Staupitz, gli subentrò come professore di teologia all’università di Wittenberg, svolgendo anche un’opera intensa di predicazione.

Lutero era insieme monaco, sacerdote e teologo. Come monaco., voleva impegnarsi totalmente nella sequela di Cristo. Come sacerdote voleva servire la chiesa con la regolare celebrazione del sacrificio della messa e l’assolvimento dei compiti impostigli dalla cura delle anime legata al ministero della confessione. Nel lavoro teologico intendeva riflettere sul cammino che conduce alla salvezza attraverso Cristo e sulla comunicazione di tale salvezza ai cristiani. Ma non si accontentò di seguire la rotta tracciata dalla vita monastica. Non si deve ignorare il suo anelito ad acquisire, alla luce della Bibbia, maggiore chiarezza sulla propria religiosità e sulla fede cristiana in genere.

Nella mentalità religiosa, e anche nel pensiero teologico del Medioevo, lo sforzo per conoscere Dio e se stessi portava l’uomo a riconoscere la necessità della salvezza e al desiderio di incontrarsi con la misericordia e con la giustizia dì Dio. Alla misericordia - si diceva - l’uomo va incontro nella grazia, che la chiesa gli comunica in connessione con l’incarnazione del Figlio di Dio e la sua morte in croce. Quanto alla giustizia di Dio, essa veniva prospettata all’uomo del Medioevo come una giustizia giudiziaria, forense, con la quale Cristo nel giudizio finale vaglia ogni uomo, per vedere se sia stato purificato dalla grazia amministrata dalla chiesa e se si sia conservato nello stato di grazia, in modo tale da essere riconosciuto giusto e degno della vita eterna nella comunione con Dio. Chi voleva salvarsi davanti alla giustizia di Dio alla fine del tempo doveva - secondo il comune modo di vedere - acquisire per sé Il dono della giustizia, mediante la grazia amministrata dalla chiesa e con una vita pia e giusta. Questa concezione quanto mai esigente della giustizia di Dio angosciava non poco Lutero. Sul terreno della religiosità  tardo-medievale, che a lui aveva indicato la via al convento, Lutero per altro non poteva Interpretare il concetto di «giustizia di Dio» nei testi biblici se non nel senso della giustizia giudiziaria. Certo, oltre all’inquietudine suscitata da questa comprensione della giustizia di Dio, c’era il riferimento agli strumenti di grazia della chiesa e alla possibilità - che non era in alcun modo da escludere di acquistare una giustizia propria davanti a Dio, collaborando con le forze soprannaturali della grazia.

Lutero interrogava i testi biblici per vedere se questa comprensione della giustizia di Dio poteva basarsi su di essi. Un’intensa riflessione esegetica lo condusse infine a capire che i testi biblici in effetti parlano in modo diverso della giustizia di Dio. Essi cioè intendono un’azione nella quale Dio dona all’uomo la sua grazia in modo tale ché l’uomo ora è già assunto direttamente da Dio nella vita eterna, e quindi per la misericordia di Dio riceve quella giustizia che conta davanti a lui, per usare l’espressione che utilizzerà Lutero stesso più tardi, nella sua traduzione dei passi centrali di Paolo ( Rm 1,17; 3,21 .25s; 10,3; 2Cor 5,21). Più tardi Lutero parlerà ripetutamente di questa intuizione esegetica come di un evento per lui incredibilmente liberante Non si è trattato di un rapimento o di una illuminazione estatica ma piuttosto di una luminosa intuizione. L’intuizione si dimostrò valida nel successivo processo di chiarificazione dei problemi religiosi Guardando indietro, Lutero, nel 1545, nella prefazione al primo volume delle sue opere latine, poteva descrivere l’effetto estasiante di quella intuizione, quasi come se si fosse trattato  di un’esperienza mistica:

Ebbi la sensazione di rinascere e di entrare addirittura un paradiso attraverso porte spalancate.



Ma che non si fosse trattato di un’esperienza di rapimento risulta chiaro già da quanto segue nel testo citato:

L’intera Scrittura mi apparve con un volto nuovo. Passai in rassegna la Scrittura e mi resi  conto che altri vocaboli ricorrevano con lo stesso senso: ad esempio, opera di Dio, vale a dire: ciò che Dio opera in noi; forza di Dio, mediante la quale ci rende forti; sapienza di Dio, mediante la quale ci rende saggi; energia di Dio, salvezza di Dio, gloria di Dio.



Nel suo sforzo dì chiarire i problemi della vita spirituale in dialogo con la Bibbia, Lutero trovò il più grande sostegno nella lettura di Agostino e di Bernardo di Chiaravalle. Ambedue questi autori infatti, nella loro spiegazione della Scrittura, avevano tenuto presente anche le questioni dell’esperienza religiosa, e ciò fino alle profondità dell’esperienza di Dio e di Cristo. E’ difficile dire quanto Lutero debba ad Agostino e a Bernardo nella sua esperienza personale di Cristo e di Dio. Gli stimoli gli vengono soprattutto dalla Scrittura e dall’esegesi di essa.


2. LUTERO E GLI SCRITTORI DI MISTICA

Lutero aveva letto abbondantemente Agostino, già prima di venire a conoscenza dei suoi scritti antipelagiani, vale a dire già prima del 1515. Era entrato in contatto con le sue grandi opere De Trinitate e De civitate Dei già verso il 1509. Verso lo stesso periodo aveva conosciuto anche le Confessioni  dalle quali aveva appreso come il padre della chiesa era diventato consapevole della propria esperienza di Dio nella meditazione. Agostino ha esercitato su di lui una grande influenza soprattutto con le sue Confessioni e le sue spiegazioni in forma di prediche di testi biblici.

Accanto ad Agostino è stato soprattutto Bernardo di Chiaravalle, in modo particolare con le sue prediche, ad influenzare lo sviluppo della mentalità religiosa di Lutero, il quale pone le prediche di Bernardo - si pensi soprattutto alle prediche sul Cantico dei Cantici - addirittura al di sopra di quelle di Agostino, poiché Bernardo - egli dice - riferisce la propria esperienza ancor più energicamente a Cristo, sottolineandone i benefici e facendo infiammare i cuori per lui. C’è un’affermazione di Lutero che ci fa comprendere in quale misura i testi biblici, soprattutto i Salmi, siano stati importanti per lui, per illuminare la sua esperienza religiosa. Egli sostiene (1519) che Bernardo, analogamente ad Agostino, ha trasformato in maniera privilegiata il testo dei Salmi in esperienza affettiva e ha attinto da questa fonte l’intera pienezza della sua «formazione» (eruditio) religiosa.

Nel suo incontro con Bernardo, Lutero si è convinto che la fede deve guardare al Cristo crocifisso, per diventare consapevole della misericordia di Dio. La vera fede si basa sulla certezza personale, opera dello Spirito, del perdono in Cristo. Solo appropriandosi personalmente dell’offerta di grazia, l’uomo diventa giusto davanti a Dio. E fidandosi delle tradizioni, senza fare opera di critica storica, Lutero ha potuto presentare Bernardo come il testimone di una salda fede in Cristo. Bernardo dà un esempio del come il cristiano possa contrapporre ai più duri attacchi del diavolo un diritto valido davanti a Dio, che Cristo ha acquistato mediante la sua passione, e che pone a totale disposizione della fede.

Nei suoi primi anni di studio Lutero è entrato in contatto anche con l’ampia corrente della tradizione mistica che procede dagli scritti dello Pseudo-Dionigi Areopagita. Non è escluso che abbia letto personalmente gli scritti dell’Areopagita, soprattutto la sua Mystica theologia. Ma è meglio ritenere che ne abbia conosciuto il pensiero in modo indiretto. I principali mediatori di questa tradizione furono il teologo francescano Bonaventura (morto nel 1274) e il teologo francese, menzionato spesso da Lutero, Giovanni Gerson (morto nel 1429). Nei primi anni (1513-14), Lutero si esprime ancora in termini positivi sulla via proposta dalla mistica dell’Areopagira con l’obiettivo di una unificazione con l’essere puro di Dio, che si nasconde in un’oscurità impenetrabile, che è semplicemente ineffabile, e dì cui si può parlare solo per eccesso o per negazione.  Ma in seguito Lutero riconobbe che la pienezza della salvezza per la nostra esperienza di fede è data in tutto e per tutto, nel Figlio di Dio, fatto uomo.

Il rifiuto consapevole da parte di Lutero della mistica dionisiana, alla quale per altro non si era mai dedicato pienamente, si ebbe proprio nel periodo in cui conobbe Giovanni Taulero e se ne entusiasmò. Le sue parole di approvazione, anzi di entusiasmo per questo mistico tedesco, provengono soprattutto dagli anni che vanno dal 1518 al 1522. Lutero ignorò gli elementi, presenti in Taulero, della mistica neoplatonica o dionisiana e proprio in questo periodo espresse il desiderio che l’Areopagita, a motivo del suo «platoneggiare» quanto mai pericoloso - intendeva riferirsi al fatto che lo Pseudo-Dionigi sovraccarica le realtà ecclesiastiche di potenza celeste -, fosse bandito dalla teologia.

Ad affascinarlo in Giovanni Taulero era il discorso sulle tentazioni legate alla lontananza di Dio, nelle quali il credente trova l’unico sostegno in Cristo, poiché dal Signore crocifisso dei vangeli apprende che Dio non lo ha rifiutato. Dio stesso si nasconde nel Signore crocifisso. Chi perciò crede veramente, si affiderà solo al Signore, si abbandonerà alla sua volontà, pronto anche a sopportare la pena della lontananza da Dio, nel dolore  mortale e infernale.

Pieno di entusiasmo, nel 1516 Lutero pubblicò un trattato anonimo di edificazione, che gli era capitato tra le mani e che a ragione attribuì all’ambito di influenza tardo-medievale di Taulero. Quando, due anni più tardi, venne a conoscenza di una versione più completa dello stesso trattato, fece stampare anche quella immediatamente. Questa Teologia tedesca veniva intesa da Lutero in tutto e per tutto nel senso della sua teologia paolina, quale insegnamento sul come noi, l’uomo vecchio, siamo prigionieri di noi stessi; perciò dobbiamo morire, se vogliamo che sorga alla vita un uomo nuovo mediante Cristo

Lutero lesse Taulero e La Teologia tedesca nell’ottica della propria teologia, che stava edificando su Paolo; e dalla mistica tedesca prese idee che ribadiscono la sua teologia della croce, con il suo Legame radicale della fede e della speranza al Cristo crocifisso, e che sono in grado di sostenere la lotta contro la teologia scolastica e la pietà della chiesa basata sulle opere. La teologia della croce di Lutero aveva a che fare in modo così ovvio con il Gesù storico e presupponeva talmente la mediazione della fede attraverso la testimonianza biblica, che gli elementi neoplatonici della mistica di Taulero non esercitarono alcuna influenza su di lui.

II. COMUNIONE SPIRITUALE CON CRISTO



Possiamo dunque assegnare a Lutero un posto nella storia della mistica cristiana solo se per mistica intendiamo non esperienze estatiche, ma una religiosità che culmina nell’esperienza dell’unione con Dio. Alla domanda sul come questa unione con Dio possa essere esperimentata e pensata sono state date risposte diverse nella storia della mistica cristiana. Lutero ha trovato la propria risposta e allo stesso tempo si è distanziato da altre forme della mistica cristiana a lui note.
1.  Essere uno con Cristo per la fede nella parola di Dio

Nell’esegesi accademica e nella predicazione del Lutero maturo troviamo molti complessi di idee che hanno come contenuto una comunione intensissima del credente con Cristo e quindi con Dio. Questi motivi hanno il loro punto centrale nella dottrina della giustificazione: la giustizia, grazie alla quale l’uomo sa di essere gradito a Dio, può essere solo ricevuta, da Cristo e nell’abbandono a lui nella fede.

Contro il rimprovero di unilateralità - secondo cui egli cercava «di spiegare sempre la Scrittura dal punto di vista della giustizia e della grazia di Dio» - ribadisce: «Cristo è la grazia di Dio, la sua misericordia, giustizia, verità, sapienza. fortezza, consolazione e beatitudine, data a noi senza nostro merito. Ma Cristo - sottolinea immediatamente - non dev’essere ritenuto soltanto la causa della giustizia, la causa che dà all’uomo la giustizia. restando però «all’esterno». Una giustizia solo causata da Cristo e non legata a lui, è infatti «morta, anzi non è mai data. Cristo dev’essere anch’egli presente, come non c’è splendore del sole e calore del fuoco là dove non c’è il sole e il fuoco». In tal modo Lutero prende le distanze da una forma di meditazione della passione allora cara, la quale - nonostante una considerazione minuziosa del Redentore sofferente - riteneva Cristo soltanto come l’origine storico-salvifica della grazia sacramentale nella chiesa. A questo proposito occorre notare tra parentesi: anche la dottrina riformata della giustificazione manifestò più tardi una sua unilateralità, là dove nel Cristo considerava soltanto la causa storico-salvitica del giudizio giustificante di Dio. Per lui Cristo è egli stesso dono e dottrina; per cui noi in lui possiamo avere tutto. L’espressione di Gv 14,6: «lo sono la via, la verità e la vita» non significa che Cristo opera in noi tale realtà restando fuori di noi. Egli deve essere in noi, rimanere, vivere, parlare in noi. Non basta che abbiamo notizia di lui e comunichiamo ad altri tale notizia. Lutero dunque pone l’accento sul fatto che Cristo stesso è presente nel credente.

Lutero impiegò la forza d’urto della dottrina della giustificazione contro la tendenza umana a fondare la certezza della vita e l’autogiustificazione sulle proprie opere; si tratti di opere che Dio chiede all’uomo e dalle quali l’uomo può anche dispensarsi, così come può sottrarsi alla vita nel mondo creato da Dio; o si tratti di opere che l’uomo intende offrire a Dio, nella forma di comportamento religioso, come prestazione particolarmente gradita. Anche se non lo ribadì di continuo. Lutero però sapeva bene  -e intendeva dirlo - che la fede in Cristo, che libera l’uomo dall’autogiustificazione e dalla giustizia delle opere, fonda una comunione spirituale con lui, nella quale è comunicata la giustizia valida davanti a Dio. Nella fede l’uomo viene afferrato dal messaggio liberante del Vangelo, in quanto la fede in Cristo coglie il Redentore presente nella realtà della propria vita. E’ un afferrare, nell’atto in cui si è afferrati. La fede non è un atto della volontà o della ragione che, astraendo dalla realtà della vita, s’eleva a Dio, al suo essere e dalla sua volontà, e cerca così un’unione mistica con lui. Rivolgendosi a Cristo crocifisso, la fede riconosce nella sua passione e morte la realtà del proprio peccato e della propria morte; ed esperimenta la risurrezione di Cristo come la vittoria sul peccato, sulla morte e sul demonio, che opprimono la coscienza.

Lo spostamento della «forza che unisce a Dio» dall’amore di Dio alla fede, significa per Lutero che l’uomo, già nelle condizioni di questa vita, può diventare consapevole della dedizione di Dio, in un grado superiore che non attraverso l’amore rivolto a Dio in sé e per sé. Lutero non teme di usare espressioni sull’unione che erano utilizzate nella mistica medievale, per l’unione con la parola di Dio operata dalla fede. Cristo si unisce alla comunità cristiana e a ciascun cristiano fino a diventare una sola cosa, come il Padre e Cristo sono una cosa sola (Gv 17, 10s.21ss). In nessuno dei due casi l’essere una sola cosa può venire inteso come un’unione di pensiero e di volontà, o come una semplice unità d’intenti. Questo «unum esse» va al di là di una unione semplicemente di pensiero e di volontà.  Per questo Lutero parla di un’unica cosa o realtà, di una unica «torta», costituita dai cristiani e da Cristo insieme, impastati come sono l’uno nell’altro. Tale è l’unione in cui si trovano unite anche le membra di un corpo. Con incisività Lutero perciò riprende l’idea paolina del corpo di Cristo: tutti i cristiani, come membri .

Lutero spiega l’essere una cosa sola, di cui parla Gv 17,12, con l’espressione «un corpo, una cosa, una torta»,” e aggiunge:

Il cristiano è unito alla cristianità, la cristianità al Cristo, Cristo al Padre. Chi dunque colpisce noi, non colpisce noi ma la cristianità, Cristo e il Padre. D’altro canto, se qualcuno onora un cristiano, onora la cristianità, Cristo e il Padre. Cosi Cristo ha legato se stesso e noi.


2. Resistere alle tentazioni nell'unione con Cristo

Per penetrare ulteriormente nel pensiero di Lutero dobbiamo chiederci a questo punto: perché egli nutre un interesse così marcato al fatto che l’essere una sola cosa del cristiano con Cristo, che si verifica nella fede, va ben al di là di una comunione di pensiero e di volontà? La risposta sta nell’esperienza vitale della fede. Solo in una strettissima comunione con Cristo, il credente può resistere alle tentazioni: quando, ad esempio, la paura della morte lo getta nell’angoscia, quando la consapevolezza dei propri peccati l’opprime, quando il diavolo gli prospetta le esigenze di Dio e lo accusa, quando egli, nella lontananza da Dio, rischia di cadere senza scampo nella dannazione. Di fronte a queste minacce non basta la forza soggettiva della fede. Quando avviene l’impatto con la tentazione, come dice Lutero stesso, aiuta solo il fatto che l’uomo nella fede sia una sola cosa con Cristo, affinché il peccato, la morte, l’inferno s’infrangano contro la giustizia di Cristo, contro la sua vita e santità:

Se si tratta di reprimere uno spavento della coscienza, di cacciare il diavolo, di superare la morte, allora ciò è affare di una potenza divina e non di un pensiero; un altro dev’essere in te, in modo che il diavolo trovi in te una forza che è troppo forte per lui, di fronte alla quale si ritiri, fugga e tu lo vinca.



Secondo il modo di Lutero di intendere i testi biblici, Cristo, nella tentazione, si coinvolge nella situazione e non lascia solo il credente.

Perciò il Signore Cristo fa sul serio quando dice (Gv 6,56)…. Se tu credi in lui, devi rimanere in lui, perchè tu sei ancora alquanto fragile. Ma ciò non importa, poiché «io sono in te e se ti manca qualcosa, io ho giustizia, santità e sapienza in abbondanza. lo non ho alcuna imperfezione. Ma se tu sei debole.., Dio ti aiuterà e farò in modo di affogare la tua debolezza nella mia forza ed energia, e farò sì che il tuo peccato soggiaccia all mia giustizia e che la tua morte venga ingoiata nella mia vita». E’ questa la vera intenzione di questo testo; così che se uno crede in lui, egli gli sta vicino.



Benché Lutero sottolinei che Cristo prende abitazione nel credente, per renderlo partecipe della sua giustizia e della sua vita, il credente tuttavia nella tentazione non si basa sulla propria giustizia, sulla propria vita, come se fossero separate dalla persona di Cristo; esse restano la giustizia estranea e la vita estranea di Cristo. Essere uno con Cristo non si disgiunge dalla situazione in cui la rappresentanza di Cristo viene sperimentata come atto della sua persona.

Nell’esegesi di GaI 2,20: «Vivo, ma non io, bensì è Cristo che vive in me», Lutero osa formulare una frase esagerata sull’essere una sola cosa del credente con Cristo: «La fede fa di te e di Cristo una sola persona, così che tu non possa essere separato da Cristo, ma resti unito a lui». Lutero non pensa a una misteriosa mescolanza delle persone, con la scomparsa dell’io credente in un Cristo soggetto sovrapersonale. Anche qui egli si riferisce a una reciproca identificazione tra Cristo e il credente, in riferimento alla salvezza del Figlio di Dio e alla perdizione dell’uomo. Di fronte alla questione sulla salvezza, Cristo permette all’uomo perduto di identificarsi con lui nella fede come con l’Uomo della salvezza.


3. Lo scambio tra fratello e fratello, tra sposo e sposa

Per spiegare che il credente, assunto nella comunione di vita con Cristo, grazie alla sostituzione vicaria di Cristo diventa partecipe dei suoi beni salvifici. Lutero ricorre soprattutto a due immagini, che prende dai testi biblici. Da un lato fa uso del concetto di rapporto fraterno tra Cristo e i suoi. Dall’altro usa il concetto, così rilevante nella storia della mistica cristiana, della comunione tra sposo e sposa, riferito da una parte al Cristo e dall’altra alla comunità cristiana o al singolo cristiano. Al centro delle due concezioni c’è, per Lutero, l’esperienza spirituale della rappresentanza della sostituzione vicaria di Cristo, che Lutero chiama spesso uno «scambio» tra Cristo e il credente.

Lutero si riferisce al “felice” scambio che Cristo opera prendendo su di sé il peccato dell’uomo, soffrendo anche l’abbandono di Dio e la morte, e riuscendo vittorioso sulla morte stessa. Ciò rende possibile uno scambio dei predicati della salvezza e della perdizione, tra Cristo e l’uomo: la giustizia invece del peccato; la sapienza invece della stoltezza; la vita invece della morte; la salvezza invece della perdizione. In questo scambio, il nesso è costituito dalla fede, mediante la quale l’uomo da un lato riconosce e confessa il proprio stato di perdizione e, dall’altro, si abbandona con fiducia alla salvezza di Dio in Cristo.

L’idea dello scambio ricorre già nei padri della chiesa e in antichi testi liturgici della chiesa latina. Nell’antichità il commercio si basava su uno scambio di beni, in cui ciascuno dei due partner dava ciò che aveva in abbondanza, per ricevere ciò di cui mancava. Rifacendosi a questo, Agostino poteva esprimersi nei seguenti termini: noi uomini abbiamo in abbondanza il radicamento nella vita terrena mediante la nostra nascita, le fatiche del lavoro e la fatalità della morte; Cristo come un commerciante viene a noi e prende ciò che gli possiamo dare come scambio di beni, dandoci in cambio i suoi beni, nella rinascita spirituale, nella risurrezione e nella sovranità eterna nel suo regno.

La tradizione ecclesiastica antica intendeva spiegare soprattutto il significato dell’incarnazione del Figlio di Dio con l’idea del «santo scambio». In Lutero l’idea dello scambio non è più così marcatamente determinata dalla concezione della vita commerciale, così che Cristo non viene più visto come un commerciante. Per Lutero è determinante piuttosto l’esperienza di fede della sostituzione vicaria di Cristo. In tale modo entra in gioco un forte elemento di dedizione personale, sia in Cristo nei confronti dell’uomo, sia nel credente nei confronti di Cristo:

La fede è tale che è Dio a cercarla e a suscitarla nel cuore. E I’uomo ha fiducia in Cristo. Anzi, si basa così saldamente su di lui, da resistere al peccato, alla morte, all‘inferno, al diavolo e a tutti gli avversari di Dio. Ed è questo il modo di essere della fede retta.... Dio… affida al cuore, in tutto e per tutto, il suo Figlio Gesù Cristo e ciò che egli stesso ha. Si ha quindi lo scambio mirabile per cui Cristo dà se stesso e i suoi beni alla fede… Cristo ha vinto il peccato, la morte, l’inferno e il diavolo. Tutto questo accade in colui che comprende, crede fermamente e confida che in Cristo diventa un vincitore del peccato, della morte, dell’ inferno e del diavolo. Anche l’innocenza di Cristo diventa la sua innocenza, e allo stesso modo la pietà di Cristo, la sua santità, e beatitudine; e ciò che c’è un Cristo si fa tutto presente nel cuore che crede, insieme a Cristo stesso.



Il motivo dello scambio con Cristo costituisce anche il fondamento per l’idea caratteristica di Lutero contenuta nella sua mistica sponsale. Nella sua teologia ormai matura Lutero si rifà non più al Cantico dei Cantici, quando parla di Cristo come sposo e della comunità cristiana o del singolo cristiano come sposa. Egli fa riferimento soprattutto a Ef 5,22ss, oltre che a Mt 22, lss, 2Cor 11,2 e Sal 45,10. Anche se Lutero parla del fatto che Cristo si è scelto come sposa la comunità cristiana,  egli però pone anche il cristiano al posto della sposa. E intende qui in modo del tutto esplicito ogni singolo cristiano, senza differenza. Ciascuno infatti, mediante la fede, è alla stessa maniera membro della comunità ed è, in tutto e per tutto, parte di essa. Se da un lato Lutero orienta la concezione della mistica sponsale alla fede del cristiano singolo e della cristianità, senza fare distinzioni tra i santi e i membri comuni della chiesa, dall’altro egli intende riferire tale mistica rigorosamente a Cristo. Qui non c’è posto per nessun dignitario ecclesiastico come rappresentante di Cristo, come accadeva nel linguaggio ecclesiastico, là dove il vescovo, come rappresentate di Cristo, era considerato sposo della chiesa a lui affidata. Il riformatore invece dichiara:

Qui non ci deve essere alcun mediatore. Che tipo di matrimonio sarebbe, se dovesse contemplare una tale persona mediatrice che si pone tra lo sposo e la sposa?.. Qui dunque dobbiamo sapere che Cristo è il nostro sposo amato, e noi siamo la sposa. Non c’è bisogno di alcun mediatore, ma noi stessi dobbiamo andare a lui con fiducia totale, come ogni sposa amata si è sempre presentata al suo sposo dolce, amico, legittimo; poiché la fede cristiana dice che Cristo è lo sposo e io la sposa.



La mistica sponsale di Lutero si basa soprattutto su elementi della concezione del fidanzamento, non tanto su quelli del matrimonio. I termini latini sponsus et sponsa, che qui traduciamo sposo e sposa, indicavano in prima linea i partner del fidanzamento che si promettono fedeltà reciproca

Nella sua azione di redenzione Cristo come sposo rende partecipe la sposa di tutti i suoi beni, senza limiti di sorta. Non vengono poste condizioni. L’anima non deve diventare pura per essere degna, come sposa immacolata, del suo sposo. Né deve scoprire dapprima la sua nobiltà nascosta per trovare la comunione con Cristo sulla base di questa nobiltà. E’ proprio intenzione di questo sposo elevare e onorare una persona disprezzata.

Cristo stabilisce tra sé e il credente una comunione che, come quella del matrimonio, è una comunione di beni, in cui la moglie viene ad avere pieno diritto sui beni del marito, i beni che Cristo porta nella comunità sono i beni della salvezza, come s’è detto più volte. La concezione della comunione tra sposa e sposo, secondo il modo di vedere di Lutero, può esprimere bene soprattutto il fatto che si tratta di un rapporto di dedizione reciproca, di fedeltà e di fiducia, e che la comunione dei beni consiste in una partecipazione senza restrizione alcuna. La donazione dei beni si verifica per amore dell’altro. In questa comunione l’uno cerca l’altro. L’uomo è amato da Cristo senza condizioni e può essere certo che in Cristo è Dio stesso a volgersi a lui con il suo amore.

Lo sposo vuole solo la sposa, e non si preoccupa dei suoi vestiti, delle sue ricchezze e dei suoi doni esteriori, ma vuole lei stessa e preferisce privarsi di tutto piuttosto che abbandonarla. Così, a sua volta, la sposa cerca lo sposo e non si cura dell’anello o dei vestiti o del denaro. Gli basta lo sposo soltanto, e vuole e può essere felice soltanto quando lo possiede totalmente.




III. IMPORTANZA E INFLUSSO ESERCITATO



Lutero ha posto al centro della sua teologia la giustificazione dal peccato mediante la parola di grazia di Dio e mediante la fede, e ha fatto ruotare continuamente i suoi pensieri attorno all’idea che la fede comporta una comunione, anzi un essere una cosa sola dell’uomo con Cristo. Alla base di questa comunione c’è l’evento della giustificazione. Perciò Lutero appartiene alla storia della mistica cristiana. Per questo, inoltre, egli occupa, all’interno di questa storia, un suo posto ben preciso e peculiare. Le sue idee sulla comunione con Cristo portano l’impronta della sua personale esperienza di fede e del dibattito con testimonianze della religiosità cristiana del passato. Lutero ha cercato di chiarire la propria esperienza di fede nel confronto con diversi rappresentanti e tradizioni della mistica cristiana, ma è nell’annuncio biblico sul Cristo che la sua esperienza di fede ha trovato il vero motivo portante. Il Cristo, che mediante la fede si rende presente nel cuore, il Christus in nobis, non va separato dal Cristo testimoniato come persona a sé nella storia, il christus exrtra nos. Non si arriva quindi a una mescolanza sostanziale tra il Cristo e il credente.

Un altro tratto, caratteristico dell’idea di Lutero circa la comunione con Cristo, è che la fede esperimenta la portata salvifica del Cristo nel confronto con la propria realtà storica, quando nella propria vita si fa pressante la questione sulla salvezza mediante l’incontro con l’esigenza di Dio, mediante la consapevolezza del proprio peccato, l’essere esposti alla morte, la potenza dell’estraniazione da Dio, detta tradizionalmente diavolo. Di fronte a questa realtà, la fede esperimenta la salvezza in Cristo come salvezza totale, che Dio dona all’uomo.

Nella teologia di Filippo Melantone (1497-1560) il discorso sul Cristo, che si rende presente nel cuore del credente, si atrofizza, perché troppo unilaterale è in lui l’interesse per l’evento storico dell’opera della redenzione del Cristo, da cui il credente riceve il perdono dei peccati, in quanto ritiene che Dio gli conta come giustizia “per lui” la giustizia di Cristo.

La storia della teologia e della pietà evangelica registra più volte dei ritorni all’dea di Lutero della comunione con Cristo nella fede. Ma si è avvertito anche il pericolo dello spiritualismo, della rinuncia all’evento storico di Cristo e dell’equiparazione di una parola di Dio, afferrata astrattamente e sganciata dalla storia, con spirito dell’uomo tutto intento a riflettere su se stesso.

Nella storia recente della teologia evangelica è stata assunta una posizione critica nei confronti di ogni mistica, con particolare determinazione anzitutto da Albrecht Ritschl (morto nel 1889) e quindi, dopo la prima guerra mondiale, da Karl Barth e dai suoi amici della «teologia dialettica»: Ciò accadde, nel primo caso, per l’interesse prestato agli elementi etici della religiosità cristiana; nel secondo, per lo sforzo di liberare la fede da esperienze soggettive e di legarla alla parola di Dio come ad una entità assoluta. Questi atteggiamenti critici verso la mistica hanno fatto sì che all’interno della teologia evangelica le idee di Lutero ritenute mistiche venissero di nuovo analizzate e interpretate nel contesto della sua teologia. Tali sforzi sono tuttora in corso e possono essere tanto più fecondi, quanto più tengono presente in maniera globale la peculiarità dell’esperienza di fede scoperta da Lutero. Quanto dice Lutero sulla comunione di vita con Cristo acquisterà una rilevanza eccezionale per chiunque intenda riflettere sulle questioni della vita spirituale, indipendentemente dalla tradizione a cui ci si rifà; e questo, secondo il posto del tutto peculiare che occupa Lutero nella storia della mistica cristiana.
Letto 4213 volte Ultima modifica il Giovedì, 03 Settembre 2009 19:20
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search