Dopo aver conseguito il dottorato, ha insegnato teologia morale a Roma e Firenze. Nel 1994 decide di trasferirsi in Bolivia, prima a Santa Cruz de la Sierra, poi a Cochabamba, per vivere un’esperienza di condivisione e ricerca con famiglie e campesinos, artigiani e studenti di etnia indigena.
Il primo passo è spostarsi dal centro del potere religioso, sociale, politico alla periferia. Quello successivo è assumere la mentalità della periferia, guardare la vita, propria e degli altri, da un’altra prospettiva. Convertirsi significa leggere la realtà attraverso lo sguardo degli esclusi che sono «i privilegiati interlocutori del vangelo».
«Le comunità dei quartieri periferici non sempre sono le eccezionali palestre dove si elaborano progetti ed iniziative, come si pensa negli ambienti occidentali devoti osservatori del Terzo Mondo, ma piuttosto luoghi dove si impara ad amare la nudità della fede e la speranza silenziosa del popolo».
Antonietta esorta a vivere un atteggiamento alternativo: essere pazienti ed aspettare. Le cose, le persone, gli avvenimenti della vita a tutti i livelli: intellettuale, fisico e affettivo. Perché la pazienza è passione, è fedeltà al tempo, è il gesto umile di imparare dalla vita, di accettare di non capire, di stupirci ancora, anche se ci sembra che sia tutto uguale o che già sappiamo tutto.
Nella sua esperienza come insegnante di Teologia all’università di Cochabamba e La Paz, come membro del comitato teologico della conferenza latinoamericana dei Religiosi e delle Religiose, ma soprattutto nella scelta di condividere tutta la sua vita con i poveri, Antonietta ha imparato che la fedeltà alla storia, a Dio, ai fratelli è ricerca: in mezzo agli avvenimenti positivi e negativi, quando si capisce e quando non si capisce quello che succede, si continua a cercare. Nel suo libro La religiosità della vita, Antonietta rilegge i voti della vita religiosa nella prospettiva di Michea (6,6-8). La povertà diviene praticare la giustizia: ciò che Dio chiede al popolo è lottare per superare l’ingiustizia ed essere consapevoli che si può vivere con poche cose, non perché non esistono, ma perché stanno circolando!
La castità diviene amare con tenerezza, tessere nuove relazioni nella storia con tutti e tutto, conoscere la vita, diventare intimi con essa, prenderci cura gli uni degli altri. L’obbedienza diviene camminare umilmente con Dio: un atteggiamento dinamico che ci porta ad ascoltare intensamente come Gesù che è profondamente obbediente, non perché cammina come un cieco dietro una volontà fantasma, ma perché guarda molto, ascolta molto ed è capace di riconoscere!
(da Orme Giovani, maggio 2007)