Un tempo marxista, settantottino e filocinese, non ha mai nascosto la sua ammirazione per Giovanni Paolo II. Colui che al tempo stesso si inginocchia davanti a Mao e davanti al papa non esita a confondere le tracce. Ci aspettavamo di trovarci di fronte a un ateo o a un agnostico convinto, ed ecco che l’autore di “Una Vita divina” – il suo ultimo libro assolutamente notevole - ci confida il suo attaccamento viscerale al cattolicesimo. Dietro lo scrittore provocatore e libertino, ci accoglie un uomo che si interroga continuamente sulla fede e la cultura cristiana.
Ha ricevuto una educazione religiosa?
Sono nato in una famiglia borghese cattolica di Bordeaux. Mio padre era assolutamente indifferente ai problemi religiosi, ma segnato da un pessimismo fortissimo, mentre mia madre, lei, era cattolica. I riti di questa religione mi sono subito piaciuti. L’ho vissuta immediatamente in maniera personale e avvolta di liturgia. Avrei potuto essere un chierichetto, ma ho seguito dei corsi di catechismo che mi hanno presto deluso. Trovavo che i discorsi che mi venivano offerti erano straordinariamente piatti e minimali, non erano all’altezza delle mie aspettative. Ero piuttosto alla ricerca di sensazioni forti che la liturgia poteva apportarmi. Le ho incontrate e non mi hanno lasciato mai più; sono ancora presenti, in sordina. Mi sento sempre in possesso della mia infanzia, una infanzia carica di percezioni e di ricordi.
Sono cresciuto in questa atmosfera fino all’età di 12 anni. Ho fatto la prima comunione, la comunione solenne. Poi ho conosciuto i gesuiti al tempo dei miei studi in una grande scuola a Versailles. Era un ambiente che avrebbe potuto convenirmi, ma sono stato mandato via all’inizio del secondo anno per aver letto dei libri proibiti. Ho conservato i miei libri e ho capito che dovevo continuare da solo.
Ha poi conservato, nella vita adulta, questa sensibilità alla liturgia, all’atmosfera delle chiese?
In Italia, non in Francia. Il cattolicesimo francese mi dà un senso di malessere, esso porta in sé qualche cosa di pesante, per ragioni storiche, suppongo. Invece appena sono in Italia, questa religione mi assorbe da ogni parte; mi sento molto bene in questo paese. Quando mi ritrovo in città come Venezia o Roma, per esempio, mi sembra assolutamente naturale entrare in una chiesa, accendere una candela e pregare. In Francia è diverso, qualche volta l’ho fatto, ma era soltanto per abituare mio figlio a questo tipo di sensazioni. Gli ho fatto visitare tutte le chiese di Parigi, con una preferenza per Saint-Germain l’Auxerrois o Notre Dame. Ci tenevo che conoscesse e provasse questa atmosfera.
Che cosa la tocca tanto nella liturgia?
Se la liturgia e l’atmosfera che regna nelle chiese sono per me così importanti è perché l’estetica svolge un compito capitale in questa religione. Nella nostra cultura, la pittura, la scultura, la musica sono di origine cattolica. Ho bisogno di queste rivelazioni fisiche, sensibili, corporali. Proprio per questa ragione le altre religioni non potrebbero convenirmi: esse non offrono una tale scelta estetica. Per esempio, sono contentissimo di sapere che un papa tedesco suona Mozart quasi tutti i giorni, per rilassarsi.
Lei ha viaggiato molto: non c’è dunque nessuna altra religione o spiritualità il cui estetismo l’abbia toccato?
Tutti i grandi continenti mi hanno appassionato, specialmente l’India e la Cina. Il taoismo, per esempio, mi attira per molti aspetti filosofici ed estetici. Ma non c’è niente da fare, il cattolicesimo rimane per me la via regale. Due eventi hanno accentuato la mia inclinazione verso questa religione: la nascita di mio figlio, che ho fatto battezzare al modo cattolico e l’avvento di Giovanni Paolo II. Quel momento storico mi sembrò allora come un considerevole segno dei tempi. Ero a New York al momento della sua elezione e rivedo il volto di questo giovane papa, sportivo, sugli schermi delle televisioni americane, che rivelava l’esistenza di quel paese fino allora tanto sconosciuto per il mondo intero: la Polonia. Poi vi fu l’episodio terribile dell’attentato in piazza san Pietro a Roma. Quell’episodio straordinariamente romanzesco mi ha profondamente commosso e sconvolto. D’altronde mi ha ispirato un romanzo, le Secret. Sono appassionato per la storia segreta della Chiesa, per le sue contraddizioni e soprattutto per l’odio stranissimo, specialissimo che essa scatena.
Lei parla di esperienza estetica o della dimensione culturale del cattolicesimo, ma si considera un credente?
Certamente ho un rapporto personale con la trascendenza e il sacro, ma di qui a dire che sono credente… Non lo so. L’aspetto “ecclesiastico” della parola non mi conviene.
Ha conosciuto dei momenti di grazia?
Sì, ne ho avuto e ne ho continuamente, ma non posso descriverli oralmente. In cambio li scrivo. Sono in generale della chiarezze affermative. Le ho provate soprattutto attraverso l’esperienza della malattia. Sono stato spesso malato da giovane. Non si può avere uno stato di grazia senza avere un’esperienza abbastanza precisa della morte attraverso la malattia o la sofferenza. Se l’aspetto sciropposo della mistica mi sfugge completamente, la negatività mi sembra essenziale. Sono un grande ammiratore di Maestro Eckhart. Ma anche di Angelo Silesius.
Crede lei all’esistenza di una storia divina che si scrive senza che la si conosca?
Ho tendenza a pensare che vi sia una storia diabolica che è continuamente portata al fallimento da contrattempi inattesi. Non credo a un Dio onnipotente, ma a un Dio furtivo, a eclissi, che viene quando occorre. Sono piuttosto “provvidenzialista”.
Crede al destino?
Sempre e sotto forme differenti. Non sono né nemico, né dimentico degli dei greci, per esempio, né delle dee d’altronde, di cui non si parla abbastanza.
Non la disturba la concentrazione dogmatica del cattolicesimo, che non ha dato prova di molta tolleranza verso il paganesimo antico?
Contrariamente all’opinione comune, io sono colpito dall’aspetto inventivo dei dogmi. L’Immacolata Concezione, per esempio, che è un dogma molto tardivo (1854), mi sembra perfettamente logico. Come anche l’infallibilità pontificia. Lo stesso per i dogmi fondanti del cristianesimo, come quello dell’Incarnazione. Per me sono dei capolavori e io aderisco sempre ai capolavori. Quando chiedevano a James Joyce perché non lasciava il cattolicesimo per il protestantesimo, rispondeva questa cosa sublime: “Non vedo nessuna ragione di lasciare una assurdità coerente per una assurdità incoerente”.
Lei è conosciuto anche come un libertino, che ama il piacere dei sensi. Non è infastidito dalle posizioni della Chiesa in materia di morale sessuale?
Trovo che il comportamento delle autorità ecclesiastiche è insieme commovente e puerile. Mi sembra un errore la sopravalutazione della morale sessuale. La sessualità non ha diritto a un trattamento così ossessionante né nella sua utilizzazione né del suo rifiuto. Vi sono cose molto più importanti delle quali interessarsi. Casanova vi dirà: “Ho vissuto da filosofo, muoio da cristiano”. È molto meglio del contrario.
Io sono un ateo sessuale. Non mi faccio l'illusione di credere che si continuerà a recitare qualche cosa di religioso per evitare l'attività sessuale. Quel che è interessante è che il papa Benedetto XVI, nella sua prima enciclica, riconosce l'esistenza dell'eros e la continuità che esiste fra eros e agape.
Ha incontrato delle personalità cristiane che l'hanno profondamente segnata?
Mauriac, che era cattolico, mi ha molto interessato. L'ho conosciuto da giovane, siamo diventati amici, l'ho vegliato al momento della morte. Ma è l'incontro con Giovanni Paolo II che mi ha lasciato il ricordo più forte. Gli portai il libro che avevo scritto su la Divina Commedia. Era l'ottobre 2000, e devo confessare che al momento che mi ha messo la mano sulla spalla ho provato un'emozione forte, un po' quella che si prova, immagino, quando si riceve una decorazione al valor militare.
È possibile che al momento della morte lei reciti una preghiera, un'Ave Maria, per esempio?
Ho recitato tanti di quei “Padre nostro” e “Ave Maria”, che non ho bisogno di aspettare il momento della morte per questo. D'altra parte mi dispiace che in queste preghiere non si utilizzi di più la prima persona singolare. Diventerebbe: “Padre mio che sei nei cieli”. “Perdona le mie colpe”, “liberami dal male”, o ancora: “Ti saluto, Maria”, “Adesso e nell'ora della mia morte”. Mi piace anche molto il Credo. Il Credo ha dato delle musiche magnifiche: Bach, Mozart.
Le capita di pensare alla sua morte o ai suoi funerali?
Penso ogni giorno alla mia morte. Ho una vecchia concessione familiare che è già fissata, ma non disdegnerei di essere sepolto in una bella chiesa di Venezia. Non penso che sia possibile… a meno che la Santa Sede non mi designi in via di beatificazione atipica! (risa).
(da Le monde des religions n. 17)