Vita nello Spirito

Domenica, 10 Giugno 2007 20:06

Annotazioni antropologiche sul desiderio a servizio della formazione monastica (Dom Bernardo Olivera, abate o.c.s.o)

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Spiritualità benedettina e cistercense

Annotazioni antropologiche sul desiderio
a servizio della formazione monastica (1)

di Dom Bernardo Olivera, abate o.c.s.o
Abate Generale dell’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza


INTRODUZIONE

Ancora una volta vorrei dare un contributo antropologico nel contesto della nostra formazione monastica. L’uscita di una mezza dozzina di giovani monaci adulti negli ultimi due anni mi ha tatto pensare. In quasi tutti i casi, c’è stato un paio di dati in comune: la scoperta dell’amore umano incarnato in una donna concreta e la relativizzazione totale di tutto ciò che era stato vissuto precedentemente. Sembra che la scoperta dell’amore umano abbia fatto diventare irreale la ricerca monastica di Dio.

Ovviamente, non si tratta ora di mettere in discussione la vocazione di questi giovani; si tratta, piuttosto, di interrogarci sulla formazione che abbiamo offerto loro. Alcune domande pertinenti potrebbero essere le seguenti: su quali basi umane è stato costruito il grattacielo spirituale? Che tipo di antropologia stava alla base, era il presupposto del processo formativo? Siamo convinti che la grazia edifica sulla natura? Favoriamo forse delle dicotomie, pur affermando il contrario? Perché le giovani monache non fanno esperienze simili? Forse le donne sono più realiste, anche se noi, uomini, siamo più carnali? Reprimiamo la dimensione istintiva per privilegiare quella razionale? Diamo gran valore a ciò che è spirituale a detrimento di ciò che è corporale? Continuiamo a leggere come allegorie i testi biblici sull’amore, svuotandoli del loro spessore umano? Coltiviamo il senso di appartenenza alla comunità? E si potrebbe continuare così, con altri interrogativi analoghi.

Non è mia intenzione rispondere direttamente alle questioni che ho appena suggerito. Tuttavia, i paragrafi che seguono offriranno qualche abbozzo di risposta, Il tema che tratteremo può essere formulato con queste parole: «Annotazioni antropologiche sul desiderio a servizio della formazione monastica». Tratterò quindi il tema in una forma parziale ed incompleta (si tratta si semplici «annotazioni») e il mio approccio sarà principalmente antropologico, pur senza dimenticare che l’antropologia cristiana trova il suo significato proprio e completo nell’ambito della teologia.

Il seguente testo del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica mi è servito da ispirazione e sarà utile come punto di partenza:

Dio stesso, creando l’uomo a propria immagine, ha iscritto nel suo cuore il desiderio di vederlo, Anche se tale desiderio è spesso ignorato, Dio non cessa di attirare l’uomo a sé, perché viva e trovi in Lui quel/a pienezza di verità e di felicità che cerca senza posa. Per natura e per vocazione, l’uomo è pertanto un essere religioso, capace di entrare in comunione con Dio, Questo intimo e vitale legame con Dio conferisce all’uomo la sua fondamentale dignità (cap. I,2).

Questo testo del magistero pone il desiderio in stretta relazione con l’immagine di Dio nella creatura umana; il desiderio fontale o strutturale spinge la creatura alla ricerca della pienezza del Creatore e fa di lui un essere religioso e degno.

Non è necessario dire che questo testo del Catechismo affonda le sue radici nella tradizione agostiniana. Effettivamente, come non ricordare queste celebri parole del Santo dì Ippona: «Ci hai creati per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (5. Agostino, Confessioni 1,1.1). La Regola di Benedetto e gli scritti di San Gregorio Magno furono gli strumenti principali attraverso i quali, nel corso del Medio Evo, venne trasmessa la spiritualità agostiniana ai monasteri d’Occidente. Questa è la linfa che nutre e dà vigore alla nostra tradizione cistercense, Bernardo di Chiaravalle trova qui il fondamento della sua dottrina spirituale.

Il tema del desiderio occupa un posto centrale nell’antropologia cistercense. Il linguaggio mistico dei nostri Padri esprime e manifesta l’esperienza del desiderium. Cinque termini fondamentali si riferiscono ad essa: desiderium, affectus, amor, caritas, contemplatio, nuptiae. Inoltre, Bernardo utilizza diversi sinonimi nei suoi Sermoni sul Cantico dei Cantici, ad esempio: suspirare (sospirare, 59,4), appetire (desiderare, 47,5), sitire (avere sete, 7,2), sospendere (essere sospeso, 172), clamitare (chiedere a grande voce, 74,7), se afflictare (affliggersi, 31,5), inhiare (anelare, essere a bocca aperta per l’avidità, come un uccellino che aspetta il cibo da sua madre 28,13), deficere (venir meno, 28,13), fIere (piangere, 58,11). Tutto ci dimostra l’importanza del tema e costituisce un altro motivo per riflettere su di esso nell’oggi in cui viviamo.

Inizieremo consultando la rivelazione biblica, per indicare il posto centrale che occupa i[ desiderio nell’antropologia ebraico-cristiana. Considereremo quindi l’etimologia del termine, i suoi paradossi e l’onnipresenza del desiderio nell’esperienza umana, in modo speciale nella sessualità, nella religione, nella psicologia e nelle culture. Concluderemo con alcune riflessioni sulla relazione del desiderio con la virtù teologale della speranza. Ad ogni punto, cercherò di trarre delle conclusioni e di sottolineare alcuni aspetti in rapporto alla formazione monastica.

1. Desiderio e immagine e somiglianza

Nell’antropologia biblica, troviamo un termine che riveste una importanza fondamentale per capire l’esperienza umana del desiderio. Questo sostantivo appare fin dalle prime pagine della Bibbia: Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne una nefesh vivente (Gen 2,7).

Una semplice consultazione dei dizionari e degli studi di teologia biblica dell’Antico Testamento dimostra che nefesh ricorre circa 754 volte nella Sacra Scrittura, con un’amplia gamma di significati: alito, soffio, anima, vita, gola, appetito, desiderio, essere vivo, vita, persona. Per quanto ci interessa, basterà dire che può indicare:

- Un organo fisico-corporeo che permette di respirare o inghiottire: la gola, il collo (Is 51,23; Sal 69,2; Pr 3,22; 25,25), la bocca (Is 5,14; Pr 28, 25), e perfino lo stomaco (Is 29,8; Pr 6,30; Sal 107,9).

- La funzione fisiologica relazionata con tali organi: la respirazione (Gen 35,18; Lam 2,12; Gb 11,12), la sete (Sal 78,18; Pr 16,26), la voglia di cibo (Dt 23,25; Pr 12:10; Sal 106,15).

- In senso traslato, la tensione della brama o del desiderio (1Sam 20,4; Pr 19,2; Sal105,22).

Questo vuol dire che nefesh può essere utilizzato anche per designare l’uomo vivente come essere di desiderio, strutturato verso la relazione con l’altro/Altro per la realizzazione di se stesso. In questo senso potremmo tradurre liberamente il testo di Gen 27 nel modo seguente: e l’uomo divenne un desiderante vivo. Quando l’amata del Cantico parla dell’amato come dell’amore della mia anima, è come se dicesse: colui che è desiderato dai miei desideri! (Cf 1,7; 3,1-4; cf. è,6; 6,12). Leggiamo anche nel Salmo 130,6: la mia anima (la mia nefesh) è protesa verso il Signore come le sentinelle verso il mattino. In altre parole: la struttura della mia persona in quanto essere di desiderio è orientata verso Dio, come la sentinella che attende l’aurora (Cf Sal 42,2.6.12; 43,5).

Come abbiamo appena visto, il termine nefesh viene tradotto a volte anche con anima, vita o anche con un pronome personale; difatti, quando è utilizzato in relazione con i sentimenti, indica globalmente il centro vitale della persona: il suo sentire, il suo reagire ed anche il suo decidere (Gdc 18;25; 2 Sam 5,8; 17,8; Is 19,10; 38,15; Pr 11,25; 14,10; Ger 42,21; ecc.).

Questa dottrina biblica è stata assunta da S. Agostino, che afferma: il desiderio è il seno del cuore (Confessioni, 10,8). Alcuni filosofi moderni si pongono nella stessa ottica, uno di essi non esiterà ad affermare: il desiderio è l’essenza dell’uomo (Spinoza, Etica, IV, 18).

A partire da questo desiderio fontale e strutturale, noi, esseri umani, viviamo desiderando e moltiplicando desideri, I nostri desideri risvegliano tutta una costellazione di sentimenti: viviamo desiderando e sentendo. Questa realtà così fondamentale del nostro vivere umano deve occupare un posto privilegiato nei nostri programmi di formazione monastica. Il monastero sarà una scuola di carità nella misura in cui saprà educare i desideri e ordinare gli affetti.

2. Etimologia e significato

Un essere umano si comporta come tale quando funziona in forma «desiderante», affettiva, volitiva, cosciente ed intelligente. Cioè, il desiderio, l’affettività, la volontà, la coscienza e l’intelligenza sono le funzioni psichiche fondamentali del comportamento di un essere umano, uomo o donna. Il desiderio è una struttura di base, prima di differenziarsi in desideri diversi. Questo desiderio fontale soggiace alla nostra affettività e alla nostra volontà, Ma che cosa ci insegna l’etimologia del sostantivo desiderio rispetto all’esperienza indicata dallo stesso termine? Tra le diverse possibili etimologie, mi soffermo sulla seguente. La parola «desiderio» deriva dal latino: de-siderare, che si compone di una particella privativa (de) e di un derivato verbale (da sidus-eris: stella), da qui si ottiene: sentire la mancanza di una stella.

La cultura cinese c’i insegna anch’essa qualche cosa di interessante a questo proposito. Il termine «speranza» (wang, in mandarino) si scrive con un ideogramma composto da due parti. Nella parte inferiore, un uomo in piedi su una piattaforma, guarda verso l’alto; nella parte superiore: la luna crescente. Questo vuoi dire che la speranza viene rappresentata mediante un essere umano che attende e desidera che giunga la luna piena. Questo stesso ideogramma, in giapponese, è usato in riferimento al desiderio (nozomi) e alla tensione del desiderio (nozomu).

Quando dunque parliamo di desiderio, ci esprimiamo metaforicamente e ci riferiamo al movimento verso qualche cosa o verso qualcuno assente, che si mostra ed è percepito come buono ed attraente. Più in particolare, il desiderio implica un sentimento di assenza, di ricerca di ciò che è assente, un trattenere l’assente reso presente e un nuovo sentimento di assenza per l’insoddisfazione di quanto che si trattiene nel presente. Bernardo di Chiaravalle descrive concisamente questa esperienza del desiderio: tutti gli esseri dotati di ragione, per tendenza naturale, sempre aspirano a ciò che loro sembra migliore, e non sono soddisfatti se manca loro qualche cosa che considerano migliore (Dil, 18).

Da quanto abbiamo detto finora si può dedurre una lezione importante per il processo di maturazione personale. Solamente quando riconosciamo la nostra «carenza» strutturale possono emergere il mondo e gli altri in quanto diversi e con tuffo il loro potenziale di significato e di missione da compiere.

L’accettazione della mancanza e dell’assenza, con la solitudine esistenziale che ne consegue e che ci caratterizza come esseri umani, è un requisito imprescindibile per stabilire relazioni con gli altri. Difatti, solo quando riconosciamo di essere persone carenti può emergere l’altro in quanto altro e divenire compagno. Per nessuno, noi siamo tutto, e nessuno può essere tutto per noi. Questa è una condizione perché possano esserci: la coppia, l’amicizia, la fraternità, la comunità e la solidarietà. Ma sempre ci sarà una distanza, una separazione e una differenza costitutive. Tutto è presenza e assenza, anche nella comunione più intima.

Quando il nostro desiderio è stato configurato e delimitato dalla separazione, dalla differenza e dall’assenza, si potrà evitare questa triplice tentazione:

- La fusione con l’altro/a che finisce con distruggere l’amore: un rischio abbastanza comune nel processo della formazione monastica iniziale.

- La cosificazione dell’altro/a a servizio di sé: un rischio possibile per i superiori/re carenti di una sufficiente maturità umana.

- L’autoeliminazione a servizio di quello si suppone sia il desiderio dell’altro: un rischio di non poche giovani in formazione, che cercano di compiacere alle loro formatrici.

3. Paradossi e dimensioni

Il desiderio è una realtà paradossale e onnipresente nella nostra vita umana. Ci pone in movimento e in ricerca a partire da una mancanza e da una insoddisfazione. Desiderare è riconoscersi incompleti, in uno stato di carenza ed in presenza di qualche cosa di assente il cui possesso appare come una soddisfazione o un piacere. Da qui deriva una conseguenza importante: ogni desiderio risveglia dei sentimenti; sotto la riattivazione dell’affettività soggiace il desiderio.

3.1. Paradossi

Qualcuno ha affermato che, a causa del desiderio, viviamo un certo disagio o ansia e, di conseguenza, questa esperienza di disagio sta alla base di ogni attività umana. Ma qualcun altro ha risposto: se non abbiamo qualcosa da desiderare, saremo felicemente dei disgraziati. Molti paradossi del desiderio sono diventati sentenze o massime popolari, ad esempio:

- Non pretendere che le cose siano come vorresti, desidera che siano come sono.

- Se tu potessi soddisfare la metà dei tuoi desideri, raddoppieresti le tue inquietudini.

- Quanto più desideri tanto più senti la mancanza.

- È più stimolante un desiderio impaziente che essere saziati di piacere.

- Una felicità difficile da raggiungere, la si gode il doppio.

- Il desiderio diminuisce quando abbondano le occasioni e le facili soddisfazioni.

- Il molto diventa poco quando si desidera un po’ di più.

Ci angustiamo di fronte alla possibilità dell’insuccesso: possiamo fallire e non raggiungere quello che vorremmo. Ma può succedere il contrario. Tuttavia, tra il nostro desiderio e la sua realizzazione si dà una grande distanza: le nostre realizzazioni sono di solito corte, in confronto alle nostre speranze. Nulla ci colma pienamente, la sazietà è fugace, il desiderio ci lascia al di qua di quello che desideriamo, il desiderio ci lascia sempre affamati: un milione di baci non spegne il desiderio di baciare! Il desiderio sembra saziarsi soltanto di infinito e di eternità.

Se il fine del desiderio fosse [lasciarci in] una penosa insaziabilità, il mondo e noi, creature umane, saremmo un assurdo e un senza senso. Per questo è necessario non dimenticare mai che il desiderio ci permette di vivere e ci trasforma in esseri di speranza. L’attesa e la speranza sono esperienze vissute, radicalmente umane: se sono proteso nella speranza, sono vivo. In definitiva, il desiderio ci espone non solo all’angustia ma anche e soprattutto alla speranza.

Il desiderio invita a uscire da se stessi, pone in contatto con gli altri, mette in relazione. È esperienza di incompiutezza e di limite, ma anche possibilità di essere più e meglio. Mettendoci in rapporto con gli altri, il desiderio permette a noi di porci come soggetto: Io sguardo dell’altro risveglia il mio proprio sguardo. Fare attenzione ai nostri desideri ci permette di conoscere noi stessi per dire chi siamo. Abbiamo qui un compito fondamentale nel processo di formazione, soprattutto nella tappa iniziale: verifica che cosa e chi desideri, e saprai chi sei.

È vero che il desiderio ci mette in movimento e alla ricerca di qualcosa o di qualcuno di cui avvertiamo la mancanza: crea una tensione verso qualcosa di più. Ma questo «di più», in ultima istanza, lo possiamo ricevere soltanto come dono e regalo. Per questo, il desiderio è anche spazio, apertura, accoglienza del dono e, soprattutto, accoglienza di colui che dona.

È anche vero che, tra i paradossi del desiderio, bisogna segnalare la sua ambiguità: può essere buono o cattivo; il desiderio può deviare, Il verbo desiderare (hamad) viene utilizzato in Gen 2,9 in senso positivo: Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi (lett. desiderabili) alla vista e buoni da mangiare. Ma nel capitolo successivo lo stesso verbo è usato in riferimento al desiderio da cui nasce il peccato: Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito (lett. desiderabile) agli occhi ... (Gen 3,6). Tuttavia, nel Cantico dei Cantici troviamo un riferimento a questa situazione, ma prima del peccato, quando la sessualità ancora era fonte di piacere, di gioia e di felicità in Dio: Come un melo tra gli alberi del bosco, il mio diletto fra i giovani. Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo e dolce è il suo frutto al mio palata (Ct 2,3).

L’apostolo Paolo denuncia senza ambagi l’ambivalenza del desiderio: Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste (Gal 5,16-17).

Ogni persona, uomo o donna, che abbia deciso di seguire Cristo sotto la mozione dello Spirito, dovrà vivere concretamente un’ascesi del desiderio per orientarlo verso il bene ed evitare il male. Si tratta di un’ ascesi che ha un’importanza primaria negli anni di formazione iniziale, ma che assume un’importanza permanente e continua, in tutto il corso della vita.

3.2. Dimensioni

Il desiderio fontale e strutturante del nostro essere umano genera tutta una gamma di molteplici aspirazioni, brame, aneliti, ansie, appetiti, voglie, ambizioni, passioni, capricci... che nella vita di ciascuno di noi progressivamente vanno prendendo forma con il passare del tempo. Tutto questo dà origine a una tipografia del desiderio estremamente varia, in stretta relazione con le vicende (gratificazioni, fantasie, relazioni) della propria biografia personale.

Ma può accadere, e di fatto succede, che gli obiettivi autentici del desiderio siano repressi e, di conseguenza, ignorati; i sogni sono una via che facilita l’emergere dei desideri ignorati. Quanto più grande è l’ambito dei desideri repressi ed esclusi, tanto meno autentica diviene la vita: non si sa più quello che si vuole! Si confonde il volere con le velleità e il capriccio con il desiderio. E in questo modo si possono imboccare strade completamente sbagliate e si può finire col trovarsi in qualsiasi genere di vocazioni frustrate.

Analogamente, l’ignoranza e l’incompatibilità dei nostri desideri può paralizzare la nostra vita o dare origine a un conflitto insopportabile, fra gli uni e gli altri. Probabilmente, questa è una delle cause più frequenti delle nostre «nevrosi» temporanee o permanenti. D’altra parte, la dispersione dei desideri o il loro non avere oggetto concreto è di solito causa di ansia e di disagio diffuso.

La radicalità della struttura del desiderio e la varietà infinita di oggetti che sembrano soddisfarlo fa sì che il desiderio sia presente in quasi tutte le dimensioni della nostra vita. È importante che vi sia chiarezza, per poter scegliere e rinunciare, mettere ordine e vivere in modo integrato, in armonia. Vediamo sinteticamente come si manifesta il desiderio in alcune dimensioni dell’esistenza umana.

- Dimensione biologica: brama, attrazione ed unione sessuale.

- Dimensione affettiva: tenerezza, affezione, innamoramento, romanticismo. 

- Dimensione ludica: humor, scherzo, sport.

- Dimensione pragmatica: laboriosità, capacità di servizio.

- Dimensione interpersonale: paternità, maternità, fraternità, amicizia, socievolezza. 

- Dimensione gerarchica: autorità, politica.

- Dimensione possessiva: proprietà, commercio.

- Dimensione intellettuale: ricerca, informazione, scoperte.

- Dimensione estetica: bellezza, arte.

- Dimensione altruistica: gratuità, beneficenza, sacrificio.

- Dimensione religiosa: assoluto, infinito, al di là, Dio.

Il desiderio è quindi una struttura fondamentale dell’essere umano in relazione con una carenza e/o assenza. Il desiderio, come abbiamo appena visto, si apre su un’ampia gamma di dimensioni e di esperienze interdipendenti, alcune delle quali sono più comuni di altre; tra queste, le due seguenti:

- Prima di tutto, il desiderio è presente nell’ambito del nostro mondo sessuale ed affettivo. Qui trova la sua origine e il maggior campo di sviluppo. La sessualità è la dimensione della vita dove più grande è la promessa di giungere a un’unione che rompa i limiti della differenza, dell’assenza e della distanza. L’affettività, ovviamente, alimenta e dà vita a molti tipi di relazioni interpersonali, come la paternità e la maternità, la fraternità e l’amicizia.

- Ma forse, è l’ambito religioso quello che offre la possibilità di colmare le aspirazioni e gli aneliti più profondi. Di fatto, il desiderio trova nella religione: amore, protezione, sopravvivenza, trascendenza, trasformazione. I monaci e le monache, in tulle le grandi religioni, sono persone che vivono un desiderio irresistibile di Dio, Dio è per loro attrattiva e fascino più grande di qualsiasi altra cosa; su questa base, può poggiare una vocazione monastica cristiana ed evangelica.

4. Desiderio, sessualità e religione

Abbiamo già fatto riferimento all’origine ultima del desiderio umano: il fatto di essere creati a immagine di Dio. La psicologia del profondo indica anche l’origine esistenziale del desiderio: il fatto di nascere separandoci da nostra madre. A partire da questa duplice origine, il desiderio tende verso un duplice fine: la pienezza nella comunione beatificante con Dio (fine divino) e la complementarità nell’unione gradevole e gioiosa con l’altro/a (fine interpersonale).

Il desiderio spirituale, il cui fine è la comunione con Dio, si potrebbe chiamare: anelito beatificante. E il desiderio corporale-affettivo, il cui fine è relazione interpersonale, eterosessuale o no, si potrebbe definire: appetito sessuale ed eros personale. Per cui potremmo dire che: il sesso è desiderio biologico, l’eros è desiderio personalizzato, e l’anelito spirituale è desiderio divinizzato.

Ora, l’appetito sessuale saziato è causa di piacere, l’eros interpersonale produce gioia, ma da solo l’anelito beatificante apre ad una felicità incommensurabile.

La tabella seguente permette di sintetizzare in modo più chiaro le affermazioni fatte fin qui:

Due dimensioni fondamentali del desiderio umano

Religiosa

Corporale-affettiva

Origine

Creazione a immagine e somiglianza del Creatore

Separazione dal seno materno al momento della nascita

Nome

Anelito beatificante

Appetito sessuale (sesso)

Eros personale (affettività)

Fine

Comunione con Dio

Unione complementare con l’altro/a

Effetto

Felicità

Piacere (sessuale)

Gioia (affettiva)

4.1. Desiderio e sessualità

L’eros personale e l’appetito sessuale hanno qualcosa in comune: sono due forze che ci permettono di uscire da noi stessi e di sradicare l’egoismo occulto nel nostro essere. Ciononostante, l’eros ed il sesso sono realtà diverse. È importante che sia ben chiaro ciò che li differenzia:

- Il sesso produce tensione e distensione corporea, l’eros personalizza e dà senso, illuminando e guidando questa esperienza. L’eros favorisce l’intimità tra le persone, mentre il sesso solo rende possibile la relazione tra i corpi.

- Il sesso senza eros termina nel proprio corpo, mentre l’eros, anche senza sesso, è orientato verso l’altro/a.

- L’atto sessuale è il simbolo più potente della relazione tra due persone di relazione e l’eros è l’intimità nella relazione.

- L’eros va molto più in là del sesso; se il sesso è soglia, l’eros è traversata.

L’eros in quanto desiderio di comunione, pienezza e gioia interpersonale con una persona amata permette di sentirsi appagati e di donare pienezza. L’eros, così considerato, è attraente e terribile: attraente, per la sua promessa di pienezza; terribile, perché chiede di abbassare i controlli o lasciare da parte ogni controllo. L’intimità affettiva risveglia l’eros, e questo è attraente; allo stesso tempo, l’intimità a cui invita l’eros chiede di abbassare sempre di più i controlli, e questo è causa di timore di paura. Molte volte, i celibi e le vergini che hanno scelto di essere tali, non sanno dove tracciare la frontiera per essere fedeli alle loro scelte. L’eros, nella relazione tra un uomo e una donna segue di solito la dinamica seguente:

- sentimento piacevole per il fatto di stare insieme;

- impulso a creare intimità accorciando la distanza che separa; 

- tacere per «entrare in contatto» e sentire; 

- la gioia, lasciata al suo proprio impulso, può correre alla ricerca del piacere.

La rinuncia e l’autocontrollo che implica la scelta della verginità e del celibato non devono costituire un impedimento perché noi, uomini e donne, sappiamo vivere e trascorrere un momento gradevole insieme. Chi non sa vivere con gratitudine questi momenti sani e cordiali, di solito compensa con fantasie ciò di cui si priva o reprime.

La cultura occidentale, invadente nei confronti delle altre culture, ha asservito l’eros al dominio del sesso. È vero che non siamo più sotto la tirannia della rivoluzione sessuale della fine degli anni ‘60; in quel frangente si è passati dal piacere proibito al piacere obbligatorio; il sesso divenne coercizione e si stabilì la dittatura dell’orgasmo imposto, imprescindibile e obbligatorio. Nella maggior parte delle nostre società si vive tuttavia una sessualità che si è svincolata dalle norme e, molte volte, si riduce a un gioco, a discapito delle persone. I nostri giovani, uomini e donne, provengono da questa società e da questa cultura.

D’altra parte, certe spiritualità sublimi e certi «soprannaturalismi» privi di appoggio sulla natura hanno prodotto lo stesso effetto della rivoluzione sessuale secolare: la morte deIl’eros, cioè del desiderio interpersonale. Difatti, noi, donne e uomini pii, cercando di soggiogare la carne finiamo con l’uccidere la carne e l’affezione, l’appetito e l’eros...

Forse sarà necessario proclamare e programmare un’altra rivoluzione, per restituire all’eros interpersonale tutto il suo fascino e tutta la sua apertura verso l’assoluto e il trascendente. La «rivoluzione erotica» non è una rivendicazione dell’erotismo in quanto maschera delle pulsioni genitali, ma una promozione dell’eros per umanizzare e sublimare il nostro sesso.

4.2. Desiderio e religione

noto che la religione è fonte di soddisfazione per le aspirazioni più fondamentali delle creature umane. Il linguaggio divino è il linguaggio dei sentimenti profondi, che stanno alla radice dei desideri di base del cuore umano. È qui dove si situa l’origine della conversione, della fede, della giustizia e dell’amore. La Scrittura ci offre numerosi esempi: Mi hai sedotto, Signore, ed io mi sono lasciato sedurre (Ger 20,7); Tu mi scruti e mi conosci (Sal138); Non ardeva forse il nostro cuore..? (Lo 24,32). Attraverso questo linguaggio, Dio seduce i nostri cuori per aprirli a Gesù Cristo e alla sua Buona Novella. La seduzione di Dio è liberatrice ed esige una nostra libera risposta.

In questo contesto, possiamo chiederci: il desiderio-anelito di Dio poggia sul fondamento del desiderio-appetito sessuale? In altre parole: esiste un continuum (senza soluzione di continuità) tra la dimensione biologica del desiderio e la sua dimensione religiosa?

Molti psicologi non esitano a dare una risposta affermativa alla domanda che abbiamo appena formulato. Alcuni teologi avrebbero dei dubbi: tra la natura e la grazia si dà un salto qualitativo. Altri teologi, senza negare la gratuità della grazia divina, affermano l’esistenza di una continuità tra la persona umana, corpo-anima a immagine di Dio, e l’unione con Dio. Essi affermano, con i teologi medioevali: l’essere umano è capax Dei!, la grazia non distrugge la natura, ma la suppone e la perfeziona).

Per San Bernardo, non esiste nell’essere umano un «desiderio specifico» che lo orienti verso Dio. È l’unica forza umana del desiderio che, a partire dall’appetito biologico orientato dal libero arbitrio, spinge a cercare e a trovare Dio. Nei Sermoni sul Cantico dei Cantici, la simbologia erotico- sessuale si riferisce al desiderio dell’anima santa, che è alla ricerca di Dio e dell’unione con lui. La brama e l’eros sono a servizio della carità.

Sia come sia, al di là del dibattito teologico, resta chiaro che senza il desiderio-eros personale la ricerca di Dio diventa qualcosa di artificiale, mentale, inconsistente, vuoto, e crolla come un castello di carte di fronte alla presenza e alla relazione concreta con qualcuno che colpisce il nostro cuore e mobilita la nostra corporeità. lo sono del parere che, al riguardo, noi uomini siamo più vulnerabili delle donne, nella misura in cui siamo più teorici e propensi all’astrazione.

Abbiamo già indicato fin dall’inizio che il desiderio di Dio è costitutivo della natura umana. In tutti gli esseri umani si dà una capacità innata di Dio, esiste un orientamento verso di lui che precede la scelta morale. È in questo senso che la creatura umana è stata creata a immagine di Dio.

Alcuni autori medievali, soprattutto i cistercensi, si distanziano alquanto dalla tradizione agostiniana in un punto molto concreto, pratico. La dottrina agostiniana sembra tracciare una frontiera netta tra l’«uomo esteriore» e l’«uomo interiore», fra la carne (sessualità) e lo spirito: la prima è causa di perdizione così come il secondo è causa di salvezza. Questa spiritualità può in tal modo risultare dualista e con fondamento insufficiente nello spessore corporeo dell’essere umano.

Molti Padri spostano la frontiera e fanno guadagnare terreno alla carne. L’eros e l’affezione spontanea, che si radicano nel sesso, sono chiamati a svolgere un ruolo importante nella ricerca di Dio. Ascoltiamo Guglielmo di San Thierry nel suo Commento al Cantico dei Cantici:

«Di conseguenza, nel momento in cui consegna agli uomini il cantico dell’amore spirituale, lo Spirito Sacro riveste la sua relazione spirituale e divina [con gli esseri umani], con immagini esterne desunte dall’amore carnale, perché soltanto l’amore comprende pienamente le cose divine. L’amore carnale, però, è chiamato a unirsi a quello spirituale e a trasformarsi in lui, poiché solo l’amore capterà rapidamente ciò che gli è simile. E come è impossibile che il vero amore, avido di verità, possa dilungarsi o soffermarsi per molto tempo sulle immagini, rapidamente passerà per questa via conosciuta alla realtà che prima aveva evocato attraverso delle immagini. Quindi l’uomo, pur essendo un uomo spirituale, in ragione della dimensione corporale della sua natura, abbraccerà le delizie dell’amore carnale, e, una volta assunte grazie allo Spirito Santo, le porrà a servizio dell’amore spirituale. Per questo, appare qui una donna che, senza nessun pudore, emerge con impeto da un luogo sconosciuto e, senza dire chi è, né da dove viene, né a chi si dirige, esclama: “Che mi baci con il bacio della sua bocca!”» (Esp Cant 24).

Guglielmo si pone in quella grande corrente spirituale che propone la ricerca del volto del Signore a partire da ciò che noi siamo in forza della creazione, per poter giungere ad essere per la grazia ciò che possiamo essere.

Sono cosciente che questa dottrina / pratica può avere i suoi rischi ed essere motivo di timore. Le frontiere sono meno chiare e il mondo interiore è più complesso. Restano alcuni interrogativi: fin dove si può scendere per potersi appoggiare con piede sicuro su se stessi e risalire con sicurezza e potenza verso il mondo dello spirito?

Il problema fondamentale, sia per i medievali sia per noi, sta in questo: come trasformare l’eros in carità. Probabilmente, la soluzione di questo problema è diversa per gli uomini e per le donne. Le donne potrebbero erotizzare indebitamente l’amore di carità, noi potremmo ridurlo a dimensione fisica o non saper cosa fare delle risonanze carnali che si potrebbero avere di tanto in tanto.

La trasformazione delI’eros interpersonale in anelito spirituale non è facile, ma è possibile. Questo implica, innanzi tutto, assumere consapevolmente e pacatamente la propria sessualità a partire dalla pulsione fisica. Quindi, concentrare l’esperienza nell’eros inteso come desiderio di pienezza, comunione interpersonale e gioia in questa comunione. Da ultimo, lasciare che l’eros trascenda ogni adesione definitiva con qualsiasi creatura, perché diventi anelito di unione e beatitudine in Dio.

L’alternanza di assenza e presenza, di consolazione e desolazione gioca un ruolo molto importante nella purificazione dell’eros e nella sua trasformazione in anelito di Dio.

In questo contesto, dovremmo localizzare e potenziare nella nostra formazione la devozione cistercense all’umanità di Gesù, la contemplazione dei «misteri» di Cristo prima della Pasqua, che conduce alla ricerca e alla comunione con la sua persona divina e gloriosa. Di più, sarebbe necessario attualizzare la spiritualità sponsale, intesa come «dono reciproco in comunione feconda», una spiritualità che presenta indubbiamente delle ricchezze, benché non sia esente da difficoltà che si possono sanare con una corretta pedagogia. Quanto più sani, pieni e felici noi saremo se queste parole dell’asceta Giovanni Climaco fossero realtà nelle nostre vite: Felice l’uomo il cui amore per Dio è come l’eros dell’innamorato per la sua amata! (Scala, 30,5).

Desiderio e psicologia umanista

La psicologia contemporanea di approccio umanistico parla del «potenziale umano». Con queste parole, ci informa che l’essere umano possiede un capitale naturale per crescere e raggiungere un modo dì essere e di vivere pienamente personale. In questo contesto, si colloca la dottrina sui bisogni o le tendenze umane, una dottrina che completeremo con la realtà antropologica del desiderio.

Un bisogno ha questa particolare caratteristica: ci chiude nel presente e in noi stessi; il desiderio, invece, ci apre e ci lancia verso il futuro e verso gli altri, I bisogni si possono soddisfare facilmente: una volta raggiunto l’oggetto adeguato, si elimina la tensione suscitata nell’organismo (l’acqua appaga la mia sete). Ma nessun oggetto presente può soddisfare completamente il desiderio, perché in ultima istanza, il desiderio rimanda a un passato e a un futuro, a cui nessun presente può dare una risposta compiuta ed esaustiva.

Ora, tanto i bisogni di quanto i desideri sono «tendenze» tese verso la soddisfazione, per uscire da uno stato carenza o privazione fisica, psichica o spirituale. È facile constatare che questa tendenza verso la soddisfazione gioca un ruolo di primaria importanza in qualsiasi teoria o pratica sulla motivazione umana.

Cerchiamo di sintetizzare e classificare queste tendenze (bisogni e desideri) in tre gruppi:

- biologico: aria-respirazione, acqua-sete, cibo-alimentazione, sonno-riposo, sesso-accoppiamento-riproduzione, casa- abitazione-vestito... 

- psicologico: sicurezza-protezione, amore-appartenenza, stima di sé, stima degli altri, convivenza-associazione... 

- spirituale: bellezza, bontà, verità, giustizia, ordine, pienezza, significato, libertà, perfezione, religione, spiritualità, mistica...

È facile constatare che le tendenze cosiddette biologiche sono più dei bisogni che dei desideri; mentre le tendenze psicologiche e spirituali sono dell’ordine del desiderio.

Queste tendenze — bisogni e desideri — non sono presenti tutti contemporaneamente, né con la medesima urgenza. Esiste una certa gerarchia degli stessi. In generale, ognuno dei diversi livelli si fa sentire nella misura in cui il livello precedente è stato soddisfatto. È evidente che la situazione concreta di una società e o di un gruppo può facilitare o impedire la soddisfazione dei bisogni, moltiplicarli o confondere i bisogni con i desideri.

L’esperienza insegna che molto difficilmente si accede alla soddisfazione dei desideri spirituali quando si soffre di una grave carenza per quanto riguarda i bisogni biologici o i desideri psicologici. Chi soffre di sonno, a fatica si potrà dedicare con efficacia alla ricerca del significato della Parola di Dio. Allo stesso modo: una insufficiente stima di sé condiziona la libertà e l’apprezzamento della bontà della vita.

Quanto abbiamo appena detto ha un’incidenza pratica nell’ambito della formazione monastica. Nella maggior parte dei nostri monasteri, i bisogni biologici dei membri sono coperti. Ma non sono sicuro di poter affermare la stessa,cosa per quanto riguarda i desideri psicologici, che frequentemente servono da supporto per i desideri spirituali. Sarebbe anche il caso di chiederci se le nostre comunità sono esperte nell’arte di sviluppare desideri spirituali aperti all’esperienza mistica di comunione con Dio e se tutto è ordinato a questo fine.

6. Desiderio e cultura capitalista

Le grandi culture umane si sono poste e si pongono in modo diverso di fronte al desiderio. La cultura orientale tende verso la liberazione del desiderio; certe correnti buddiste considerano che coloro che si liberano del desiderio si liberano dall’«io» e giungono a una libertà piena; uno dei nomi del nirvana è, appunto, «annichilamento della sete» (tanhakkhaya); estirpata la sete del desiderio, cessa ogni sventura e sofferenza.

La cultura greca classica insegnerà a controllare i desideri; Aristotele elogia Platone perché afferma che l’educazione consiste nell’insegnare a desiderare ciò che è desiderabile. Ritroviamo la stessa dottrina in S. Tommaso d’Aquino, quando commenta il Padre nostro nella Somma Teologica: La preghiera è una interprete del nostro desiderio davanti a Dio; domanderemo correttamente solo ciò che correttamente possiamo desiderare. E nella preghiera del Padre nostro non solo si chiedono tutte le cose che si possono desiderare correttamente, ma anche nell’ordine in cui si devono desiderare; in questo modo non è soltanto una regola per le nostre petizioni, ma anche una norma di tutti i nostri sentimenti (informativa totius nostri affectus) (II-II, 83:9).

La cultura medievale occidentale, impregnata di cristianesimo, come abbiamo visto, ha posto il desiderio a servizio della ricerca di Dio. Si può persino pensare che alcuni dei commentari al Cantico dei Cantici fossero uno strumento pedagogico in funzione della trasformazione del desiderio. Invece, la cultura occidentale nord-atlantica contemporanea, manipola i desideri a servizio del commercio e dell’economia, Consideriamo brevemente questo ultimo punto

Il sistema economico capitalista si sta imponendo nel mondo attuale per il motivo seguente: diventa sempre più capace, su scala mondiale, di produrre «cultura» generando un’antropologia di massa con un sistema di valori e di bisogni che corrisponde al modello economico da lui offerto.

Per raggiungere il suo obiettivo, il capitalismo affronta i desideri in un modo che gli è proprio: li confonde intenzionalmente con i bisogni e poi tenta di modellarli o di conferire loro una forma particolare. Come già abbiamo detto, i bisogni si possono appagare e sono strettamente connessi con la dimensione sociale. I desideri profondi sono insaziabili e sono strettamente connessi con l’interiorità, la profondità e l’originalità dell’essere.

Le teorie capitaliste sono pensate in funzione della soddisfazione dei bisogni- desideri. Ma non si tratta, innanzi tutto, della soddisfazione dei bisogni-desideri di lucro degli imprenditori, bensì della soddisfazione dei bisogni-desideri dei consumatori. Il lucro è una conseguenza della soddisfazione dei bisogni-desideri del cliente che consuma.

Ma, oltre a soddisfare, si tratta anche di manipolare e di creare dei bisogni-desideri. E, poiché i bisogni sono innumerevoli e il desiderio e’ illimitato, infinita sarà la possibilità di lucro. Il capitalismo non educa i desideri, ma piuttosto li confonde con i bisogni, li produce, li riproduce e li plasma artificialmente. In questo modo, il consumatore (che ha potere d’acquisto), assume e consuma quello che desidera e anche quello che non desidera, ma di cui crede fermamente di avere bisogno.

Nel mondo capitalista, i mass media obbediscono alla legge del massimo profitto economico. Non sono affatto neutrali; anche se si proclamano «indipendenti», i mass media sono alleati politicamente ed economicamente, I profitti derivano dalla pubblicità o dalla propaganda. Il telespettatore, l’ascoltatore o il lettore vale secondo il tempo quotidiano che trascorre davanti alla televisione, all’ascolto della radio o nella lettura di giornali e periodici. Il proprietario dei media vende a chi vuol fare pubblicità un certo numero di lettori, ascoltatori e telespettatori e ore di consumo; in altre parole, si vendono udienze/pubblico. Per questo, lo scopo che persegue la programmazione è accattivarsi il maggior numero possibile di udienze/pubblico durante il maggior tempo possibile. I media, soprattutto la televisione, sono orientati in modo da mantenere il desiderio dello spettatore attaccato allo schermo o al microfono, mediante stimoli ben programmati. Ed è in questo modo che i bisogni-desideri diventano profitto economico e vengono manipolati per lo stesso fine.

L’educazione dei nostri desideri, nel contesto monastico, non può ignorare questa manipolazione dei desideri. É necessario saper discernere per poter fare scelte libere e giuste. D’altra parte, il passaggio dal lavoro manuale al lavoro commerciale in molti nostri monasteri, ci costringe ad entrare, in qualche modo, in questa manipolazione capitalista e pubblicitaria dei desideri. È possibile passare da soggetto manipolato a soggetto manipolatore. Non è facile tracciare la frontiera tra la dimensione economica e quella apostolica, tra l’aspetto lucrativo e quello pastorale. L’etica commerciale dei monaci non si può allineare con l’etica commerciale dei secolari. È un tema su cui riflettere, come qualcuno/qualcuna ha già fatto notare, per evitare ambiguità che possono minacciare il fondamento del progetto formativo e della trasmissione del carisma monastico alle giovani generazioni. Difficilmente noì potremmo insegnare a pregare il Padre nostro, come principio che ordina dei nostri desideri e regola i nostri sentimenti, se al tempo stesso cooperiamo con la manipolazione degli uni e degli altri.

7. Desiderio e speranza cristiana

La virtù della speranza corrisponde al desiderio di felicità che Dio ha posto nel nostro cuore quando ci ha creati. Questa speranza dilata il cuore nell’attesa della beatitudine eterna. S. Agostino lo esprime così: Tutta la vita di un buon cristiano è un santo desiderio. Ma quello che desideri, non lo vedi; tuttavia, desiderando, dilati la tua anima così che possa riempirsi quando giungerà il tempo della visione (In Io.ep. tr. IV: 6).

Questo desiderio e questa speranza aperti verso l’escatologia, devono costituire il dinamismo più potente per lavorare con perseveranza e fedeltà. La speranza non è evasione dal mondo e proiezione verso il cielo, è piuttosto: un impegno nel tempo e un fondamento che poggia sulle basi eterne del cielo. La Chiesa cammina sulla terra e lavora in essa come un cittadino che contempla il cielo. In definitiva: Noi infatti ci affatichiamo e combattiamo perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente(1Tim 4,10).

La presenza di Gesù Cristo risorto al cuore della Chiesa e del mondo è la fonte della nostra speranza. Questa presenza ci spinge a desiderare, anche gemendo, la manifestazione gloriosa del Signore e a lavorare di buona Iena per un mondo migliore.

Non c’è dubbio che una delle caratteristiche della vita monastica è appunto la sua apertura escatologica e il suo realismo terreno, fondato sul desiderio e sulla speranza. La storia secolare del monachesimo attesta questa duplice realtà: il desiderio di Dio e l’anelito del cielo, radicali in realizzazioni culturali significative e creative.

Alcune delle nostre comunità nel mondo nord-occidentale sono oggi provate nella loro speranza. Il progressivo invecchiamento, la mancanza di vocazioni, la diminuzione dei membri, la povertà di persone competenti e l’incertezza del futuro sono, certamente, una prova difficile da attraversare. Ma costituiscono anche un’opportunità e un’occasione. L’opportunità di vivere una vita monastica trasparente al vangelo, spoglia di aderenze ormai prive di significato, libera ed agile nel suo ritmo quotidiano, a dimensioni domestiche, come di una famiglia, nell’economia e negli edifici, centrata essenzialmente sulla ricerca e l’incontro con il Signore nella comunione e nella carità.

Forse, perché questo sia possibile, non è necessario cercare di conformarsi [a un certo stile] con toppe e rammendi, bisogna desiderare una vita monastica nuova, in un nuovo cielo e in una terra nuova, dove un uomo e una donna nuova possano nascere di nuovo. Bisogna scegliere ciò che è più impossibile, più difficile, più utopistico. Bisogna saper dire: «si, ma non ancora». Bisogna diventare generatori e generatrici di speranza, testimoniando che la lupa allatterà degli agnellini, che la guerra sarà soltanto un termine da cercare in dizionari sorpassati, che le armi saranno pezzi da museo, che la parola data sarà più valida di mille documenti di fronte a notaio pubblico, che tutti abbandoneranno il potere per cominciare a servire, che i sordi comporranno sinfonie, che tutte le città saranno pavimentate da verdi giardini, che i deserti saranno popolati della presenza divina e che i monaci e le monache saranno fermento di comunione là dove ci sono ancora vestigi di discordia.

Osiamo pensare, sempre nel clima dell’utopia, che una vita monastica così rinnovata potrebbe risultare attraente per i giovani di oggi che, come quelli di ieri, cercano Dio. E, con maggiore sicurezza, possiamo affermare che questa vita monastica sarà un mezzo favorevole per comunicare il carisma dei nostri Padri alle nuove generazioni.

Ad ogni modo, anche se non succederà nulla di quanto abbiamo detto, se nonostante i nostri desideri resteremo soli e di fronte alla morte, possiamo credere che tutti ci ricorderanno con gratitudine e nessuno dimenticherà che siamo stati, in questa vita, dei pellegrini della speranza, che abbiamo saputo cantare al cielo mentre costruivamo la comunità monastica terrestre.

Il nostro pellegrinare monastico si alimenta della «preghiera del desiderio», che ci permette di perseverare nel deserto e nella notte. Questa semplice vita orante è un grido di speranza in un mondo che cerca di dare un senso alla sua esistenza. Voglia Dio che tutti noi possiamo elevare lo sguardo ed unire le nostre voci cantando:

«O vero meriggio, pienezza di calore e di luce, dimora del sole, sterminio delle ombre, che prosciughi le lagune ed espelli le impurità! O solstizio perenne, quando il giorno mai più tramonterà! O luce meridiana, o temperatura primaverile, o bellezza estiva, o abbondanza autunnale, riposo e festa dell’inverno!» (San Bernardo, SC 33,6).

1) Conferenza ai Capitoli Generali, ottobre 2005.
Letto 2560 volte Ultima modifica il Sabato, 01 Settembre 2007 09:48
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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