Non ho la pretesa di essere esauriente né di dire l’ultima parola, ma di mettere in risalto gli aspetti più importanti e urgenti oggi. Sono le conclusioni a cui si è giunti in seguito al lungo processo postconciliare e che sono state ripetutamente sottolineate nel congresso di Roma. Sono otto tratti che a mio parere costituiscono l’essere o il non essere del religioso del secolo XXI. (1)
1. Bisogna passare da una visione puramente umana a una visione di fede. Una vita religiosa che non parta dalla fede e non si basi e realizzi nella fede non ha significato né consistenza. La vita consacrata è essenzialmente sequela di Cristo, pere cui non basta la motivazione sociologica o culturale oppure pedagogica o antropologica… Ciò che tutti debbono poter vedere nel religioso, senza bisogno di tante spiegazioni, è un “testimone del Vangelo”.
2. Perciò, fin dall’inizio, il religioso/a deve immergersi in una vita di preghiera trasformante personale, abituale, prolungata, fatta con il cuore puro. È l’esperienza fondante che costituisce il cuore della nostra vita spirituale. Preghiera in un tempo stabilito, ma che deve permeare tutta la giornata vivendo come “contemplativi in azione”.
3. Una vita di comunità e non semplicemente “in comune”. Il nuovo stile di vita comunitaria – non ancora assimilato da molte famiglie religiose – dovrà essere centrato non nell’osservanza regolare e nemmeno nelle preghiere, ma nelle “relazioni personali di amicizia nel Signore” e orientato alla missione. Quello che si cerca non è una semplice convivenza rispettosa, ma di giungere a vivere il comandamento del Signore di “amarci veramente gli uni gli altri” in modo da fare esclamare a coloro che ci vedono “guardate come si amano”.
4. Un apostolato di testimonianza e di impegno. Nella storia della vita religiosa, per 15 secoli è prevalsa la vita contemplativa, e persino il contemplativismo, nel senso che fu represso ogni germe delle vocazioni apostoliche. Solo nel 1900 furono accolti ufficialmente gli istituti dediti all’apostolato, col nome di congregazioni religiose. Queste hanno fatto e continuano a fare un bene immenso. Ma attualmente forse siamo caduti nell’attivismo. Perciò si sente la necessità di unire contemplazione e azione, di essere “contemplativi in azione”.
5. Una nuova immagine di vita religiosa. Il settore più visibile di vita religiosa – che spesso presenta un’immagine di potere, di grandi opere, di efficienza – deve lasciare il passo a una vita più semplice e di testimonianza, di maggiore vicinanza al popolo, in atteggiamento di servizio. E allo stesso tempo, una vita di povertà-austerità e di povertà-solidarietà. La società consumista in cui siamo immersi e i mezzi apostolici di cui alcuni si servono hanno inflitto numerose ferite alla nostra povertà evangelica. Nel congresso di Roma hanno fatto sentire il loro dissenso soprattutto i religiosi/e dell’Africa, Asia e America latina.
6. Una formazione profonda e incarnata. Ci sono ancora molti istituti che danno una formazione superficiale e affrettata. Alcuni hanno come criterio principale di coprire i posti di lavoro o le urgenze apostoliche immediate con i giovani e le giovani, una volta terminato il noviziato, e non curano dovutamente la formazione delle persone. A questo proposito, le parole chiave sono continuità e serietà.
7. Coerenza tra teoria e pratica. Sono stati scritti un’infinità di libri e di articoli su come deve essere la vita religiosa, sono state accuratamente rielaborate le costituzioni di ciascun istituto dopo il concilio. Dappertutto si formulano belle dichiarazioni di principio, ma nella pratica molti vivono in una lamentevole mediocrità. Ma oggi l’unica cosa che convince, specialmente i giovani, è la testimonianza di vita personale e comunitaria.
8. Un’integrazione vitale. Infine, i tre elementi fondamentali della vita religiosa – esperienza di Dio, vita comunitaria e missione – che devono integrarsi vitalmente in modo da dare a ciascuna cosa il suo valore e il suo tempo. Questa integrazione deve avvenire a livello personale: mente, cuore e mani, come pure a livello comunitario – una struttura minima – e a livello di provincia e istituto. L’inflazione o l’assolutizzazione di un aspetto a scapito degli altri produce un “mostro spirituale” che rovina la vita. La vita religiosa del secolo XXI deve reggersi su valori evangelici incarnati e resi visibili in coloro che vogliono seguire Cristo “dovunque egli vada”.
DUE CARDINI: FEDE E SEQUELA DI CRISTO
Nella vita consacrata è molto facile distinguere coloro che in fondo si muovono secondo criteri di fede e di amore e coloro che non riescono a uscire dal livello della prudenza umana. Ciò appare soprattutto quando siamo immersi nelle nostre attività e scopriamo quali sono le vere intenzioni che ci muovono e la nostra reazione quando sopravvengono contrarietà inattese. Questi casi ci obbligano ad andare in profondità e mostrano la scala di valori e gli schemi mentali che orientano la nostra vita. Quando si ha la pretesa di ridurre la vita religiosa all’efficacia apostolica o alla competenza professionale o alla onorabilità impeccabile… si impoverisce molto il significato di una vita consacrata che è essenzialmente sequela e identificazione con Cristo. «La norma ultima della vita consacrata è la sequela di Cristo” (PC 2).
Nel congresso di Roma abbiamo potuto parlare di un grido universale, il più forte e ripetuto in tutti i documenti, interventi, relazioni, gruppi di studio… che chiedeva la centralità di Cristo nella nostra vita consacrata. È tale la valanga di testi da sembrare un’ossessione, un vento impetuoso dello Spirito. Lo stesso titolo Passione per Cristo, passione per l’umanità vuole dire che Cristo deve occupare il primo posto non solo nelle nostre costituzioni e nei nostri documenti, ma nel nostro cuore e nella nostra vita concreta, che l’amore alla persona di Cristo deve essere ardente e appassionato come quello degli innamorati che si esprimono l’amore nato nel profondo del loro essere.
Il presidente della USG H. Álvaro Rodriguez, fsc, nel discorso finale intitolato “L’incanto della vita consacrata” nomina come primo elemento «la freschezza della centralità di Gesù», e afferma che «l’elemento fondante della vita consacrata è stato e continua a essere la persona di Cristo e il suo messaggio… Uno dei fenomeni attuali più rilevanti è la sete di Dio che il mondo manifesta… Ogni essere umano deve essere appassionato dell’acqua viva, dell’incontro con Gesù».
E nei documenti della Chiesa «Non si deve anteporre nulla all’amore personale per Cristo e i poveri nei quali egli vive»; «La vera profezia nasce da Dio, dall’amicizia con lui» (Vita consecrata); «Senza una vita interiore che attrae a sé il Verbo, il Padre, lo Spirito non ci può essere uno sguardo di fede; di conseguenza la stessa vita perde poco alla volta di significato» (CdC, 25).
IL SOGGETTO DELLA FEDE: LA TOTALITÀ DELLA PERSONA
Si è usato spesso una nozione di fede molto parziale e restrittiva come se questa consistesse solamente nel “credere delle verità”. La fede è piuttosto un atto totalizzante che abbraccia tutta la persona. Nella fede entra non solo l’intelligenza, ma anche la volontà libera che agiscono in un solo atto sotto l’influsso della grazia. Anche Joseph Ratzinger insiste sulla totalità: «La religione esiste esattamente per integrare l’uomo nella totalità del suo essere, per unire tra loro il sentimento, l’intelletto e la volontà; affinché queste facoltà comunichino le une con le altre e dare una risposta alla sfida posta dal tutto…». San Paolo la dice sinteticamente: “è una donazione di tutto il proprio essere all’amore divino che supera tutta la legge” (cf. Rm 4-5 e 7-8 e Gal 3). Ciò che inoltre viene accentuato è la donazione libera e totale della persona a Cristo, mossa dall’amore. A partire da questo momento la persona diviene proprietà totale di Cristo. Non vive più per se stessa, ma per Cristo e il suo Regno.
Nella rivelazione la fede è presentata come l’accettazione libera, da parte dell’uomo, della volontà salvifica di Dio in Cristo: in questo senso la fede appare come “dialogo personale” in cui la Trinità chiama per amore l’uomo alla salvezza soprannaturale e l’uomo risponde liberamente: quando Dio rivela bisogna prestargli “l’obbedienza della fede” (cf. Rm 16,26; Rm 1,5; 2Cor 10,5-6) con cui l’uomo si consegna in maniera libera e totale a Dio, dando a Dio che rivela l’omaggio dell’intelletto e della volontà e consentendo volontariamente alla rivelazione che egli ha fatto (DV 5). La fede è una decisione personale libera per Cristo. Di fronte a Gesù bisogna prendere una posizione, fare una scelta fondamentale. La fede implica un triplice aspetto: aprirsi a Cristo-Dio per conoscere la verità della sua persona; accettazione e adesione totale per amore; consegna incondizionata di sé a lui in un impegno definitivo.
L’OGGETTO DELLA FEDE: LA PERSONA DI CRISTO
Nella fede il centro è occupato dalla persona di Cristo e ciò non può essere supplito né soppiantato da nient’altro, nemmeno dai valori evangelici né dal “significato”. «Per la fede cristiana Dio è molto di più di un significato: è una Persona libera che entra in relazione con me, relazione a partire dalla quale scaturisce la vita vera». Dalla relazione con Cristo vivo si riconosce se si vive una serie di valori e si scopre un profondo significato che penetra tutto. All’interno della sequela di Cristo entrano evidentemente il significato dell’esistenza e i valori evangelici: la giustizia, la fraternità, il perdono, l’accoglienza dei peccatori e degli emarginati, il servizio disinteressato.
Ma né il significato né i valori sono la fonte, la motivazione ultima, l’oggetto dell’evangelizzazione. Come afferma Schillebeeckx in bella maniera: «Tutto ebbe inizio con un incontro. Alcuni uomini giudei entrarono in contatto con Gesù di Nazaret e rimasero con lui. Quell’incontro e tutto ciò che successe nella vita e nella morte di Gesù fece sì che la loro vita acquistasse un senso nuovo e un nuovo significato». È la persona di Gesù risorto, vivo, presente, Salvatore e Signore, il Cristo Figlio di Dio vivo, il Cristo che ci ha affascinato fin dal primo incontro, colui che conquistò il nostro cuore e prese possesso della nostra vita, dal quale non abbiamo mai potuto prescindere. Questo Cristo che abbiamo conosciuto in maniera vitale nella contemplazione tranquilla di ogni giorno e che si è impossessato della nostra affettività profonda fino a condurci alla consegna incondizionata e per sempre.
Bonhoeffer lo esprimeva in modo magistrale già nel 1937: «Un’idea su Cristo, un sistema di dottrina, una conoscenza religiosa generale della grazia o del perdono dei peccati non rendono necessaria la sequela. Mettendoci in contatto con un’idea ci poniamo in una relazione di conoscenza, di entusiasmo, forse di realizzazione, ma mai di sequela personale. Un cristianesimo senza Gesù Cristo è un cristianesimo senza sequela; e un cristianesimo senza sequela è sempre un cristianesimo senza Gesù Cristo; è un’idea, un mito».
Ci sono religiosi e religiose i quali sembrano non essersi mai innamorati di Cristo. Sono tanto restii, tanto freddi… così che, come diceva santa Teresa alle sue monache, l’amore non è in grado di far superare i loro ragionamenti.
E una vita consacrata che è solo lotta per la giustizia, educazione dei poveri e degli ignoranti, attenzione agli infermi o ai migranti o ai bambini della strada… ma non ha come fonte e motivazione ultima ed esplicita l’amore e la sequela di Cristo non è vita religiosa cristiana. Può essere un’attività molto meritoria, ma non esattamente la realizzazione apostolica propria della vita religiosa. «Lo scopo dell’azione evangelizzatrice della Chiesa non può essere altro che la confessione di Gesù Cristo come Signore. Non c’è per l’essere umano vera “nascita” come cristiano se non ha avuto l’esperienza originale dell’incontro con Cristo come il Signore».
Negli esercizi ignaziani che per quattro secoli e mezzo hanno cooperato tanto al rinnovamento della Chiesa, tutto è incentrato sulla persona di Cristo. Cristo è presentato come affascinante, capace di suscitare l’entusiasmo e la generosità dell’eserciziante e a portarlo a una consegna incondizionata, a seguirlo gioiosamente in tutto, nei momenti di trasfigurazione, in quelli della missione e anche nella persecuzione e nel martirio, se è sua volontà.
QUALE IMMAGINE PRESENTIAMO AL MONDO?
Da tutto ciò che si è detto se ne ricava che fin dal primo incontro con il religioso e la religiosa dovrebbe emergere che ci troviamo di fronte a “un uomo o una donna di Dio”, a una persona che vive “la passione per Cristo e la passione per l’umanità”, che unisce “la mistica e la profezia”. È molto consolante incontrare persone consacrate – e sono molte – che vivono la passione per Dio e per il fratello. Quando si incontrano si crea una sintonia affettiva e si parla lo stesso linguaggio, anche se la lingua è diversa, si forma una corrente magnetica che rivela la presenza dello Spirito. Ma nella pratica vi sono molti che presentano un’altra immagine.
I professionisti onorati e i religiosi esecutivi
In certi casi, per esempio, tra coloro che sono dediti all’educazione, alla salute, alle opere sociali, ai mezzi di comunicazione, ecc. il lavoro professionale è talmente assorbente da far passare in secondo piano l’elemento religioso. E dopo un certo tempo avremo un professore e un’infermiera eccellenti, ma un religioso o una religiosa mediocri.
Si è configurato uno stile di vita consacrata preoccupato di rispondere al mondo d’oggi in cui la competenza professionale assorbe quasi tutte le energie. Si è riusciti ad avere il miglior collegio della città o una clinica con l’apparato più moderno. E si sono moltiplicate le opere “apostoliche” così che questa è l’immagine più comune e frequente che presentiamo all’esterno. Appartengono alla classe dei migliori “esecutivi” e il fatto di essere religiosi o religiose offre alla gente una garanzia di qualità rassicurante.
Alcuni potrebbero essere definiti “impresari apostolici”. Gestiscono un’organizzazione impeccabile, un’amministrazione di successo.
Durante gli studi – che sono necessari – sono tali le esigenze dei professori che non resta un minuto per respirare né per una vita di preghiera tranquilla e la convivenza fraterna. E quando infine termina il percorso, abbiamo una persona tanto occupata nel collegio o nell’ospedale o nell’azienda o nell’amministrazione che non le resta il tempo per essere religioso o religiosa. Domando: il problema è di mancanza di tempo oppure manca una scala di valori? In che modo molte congregazioni riescono a integrare lavoro e vita consacrata?
M. Dolores Alexandre, rscj, afferma: «Per questa missione è meglio che si ritirino le “individualità realizzate professionalmente e occupate in impegni spiritualmente inoffensivi». E il padre Libânio, si, avverte: «Non confondere vocazione con professione. Professione significa competenza, efficienza, produttività, riconoscimento sociale. Questa esige e si preoccupa della preparazione per poter operare. La vocazione, al contrario, porta nel mondo la gratuità. La motivazione viene dal di dentro. Ha un carattere di perennità, proprio della consegna di sé a Dio.
Coloro che mettono l’impegno maggiore nel conseguire titoli accademici dovrebbero rivedere la loro scala di valori. Non è raro incontrare alcuni i quali sembrano che la principale aspirazione della loro vita consista nell’essere professionisti, professori o psicologi. E nel caso l’accettazione del regime delle preghiere, della convivenza e dei voti diventa il mezzo necessario per realizzarlo. La vita religiosa, prima di qualsiasi altra cosa, è sequela di Cristo, una sequela speciale che ha le sue radici nella consacrazione battesimale e che deve essere vissuta in pienezza.
Gli studi assorbenti
Fin dal principio della formazione avere molto chiari gli obiettivi e mettere in questo tutto l’impegno: seguire Cristo per amore. Tutto il resto deve essere subordinato all’essenziale. Fare in modo che al termine della formazione si possa dire che sono “uomini e donne di Dio”, ben preparati nei diversi campi in cui vanno a lavorare e capaci di annunciare che “il regno di Dio è vicino” (Mc 1,15).
Nella vita religiosa nel postulantato e nel noviziato si è data molta importanza al contatto con Dio, ma iniziando gli studi cominciano le interferenze con la vita di
preghiera e la vita di comunità. Alcuni istituti mettono molto impegno nel salvare l‘essenziale. Ma sono molti i giovani che sono così assorbiti dallo studio da lasciare in secondo piano tutto il resto. Col passare del tempo comincia il raffreddamento spirituale, scende il livello della fede e dell’amore. Quasi tutti attraversano la loro crisi. Alcuni la superano e si fortificano nella loro vocazione. Altri abbandonano il cammino o si adagiano in un’ “aurea mediocrità” per tutta le vita. E si è soliti giustificare l’abbandono della contemplazione con una serie di slogan come questi: «lo studio è preghiera»; «non dobbiamo ripetere il noviziato»; «l’importante è la rettitudine di intenzione»; «finiti gli studi metterò ordine nella mia vita»…Forse bisognerà prendere come massima quella di san Giovanni della Croce: «religioso e studente, ma prima religioso».
È molto importante includere negli studi la teologia e le scienze religiose, meglio prima di ogni altra materia. In questo modo avremo una religiosa psicologa e non una psicologa religiosa.
La vita religiosa è vita e pertanto è crescita. E il tempo della crescita deve essere ben nutrito. Se si diminuisce o si interrompe il nutrimento facilmente si cade in un’“anemia spirituale” da cui è difficile riprendersi.
Fra tutte le pratiche, gli atti di pietà, le forme di preghiera, le preghiere liturgiche… ve n’è una che è insostituibile e decisiva: la preghiera personale contemplativa. “Stare a lungo con il Signore”. Dall’inizio del cristianesimo fino ai nostri giorni questo è stato il cuore della vita consacrata, come anche nelle altre religioni. È ciò che porta alla conoscenza della persona, del messaggio e della missione di Cristo e fa crescere la fede e l’amore. Tra gli alimenti vi sono quelli che contengono molte vitamine e sono insostituibili, e altri che forse si presentano meglio, ma sono meno sostanziosi.
Le opere sociali
Molti religiosi e religiose dedicano i loro talenti e il loro tempo a opere sociali, specialmente a favore dei poveri, degli emigrati, dei malati di Aids, degli agricoltori, dei disoccupati. È una gloria per la Chiesa che manifesta sensibilità e amore per il fratello bisognoso e oppresso. Le situazioni sono molto diverse e l’azione sociale dovrà avere espressioni multiformi, ma tutte sono realizzazioni della vocazione apostolica della persona consacrata che dovrà saper integrare la proclamazione della fede con la promozione della giustizia, la fede e le opere. Né fede senza le opere né solo le opere senza la fede. Fede e giustizia costituiscono due aspetti essenziali dell’evangelizzazione.
Il servizio della fede consiste nell’annunciare che Dio è nostro Padre e che tutti siamo fratelli e sorelle e che in Cristo sta la salvezza. Ma questo annuncio implica intrinsecamente la promozione umana nei suoi aspetti di sviluppo, di promozione della giustizia e della liberazione.
Pertanto credo che certe opere e attività sociali di molti religiosi e religiose non esprimano la fede né annunciano Cristo, anche se questo sta alla base delle loro intenzioni. Le loro opere sociali non si distinguono molto da quelle governative o di un partito politico. Una persona consacrata che vive un “amore appassionato per Cristo” può dedicare la propria vita ai fratelli senza annunciare Cristo, senza evangelizzare? (Non mi riferisco ai casi in cui per una ragione o per l’altra ciò non è ritenuto opportuno farlo in maniera esplicita).
Non si tratta di fare proselitismo o di comperare la “fede” in cambio di benefici sociali, come fanno alcune sette. Questo è immorale. Bisogna piuttosto che l’opera sociale appaia come un’esigenza della fede. In alcuni religiosi/e c’è tanta competenza tecnica e tanta assennatezza e tanta freddezza religiosa da non sentire la necessità di annunciare il vangelo. “Guai a me se non annunciassi il Vangelo” (1Cor 9,16).
I “peones” apostolici
Un altro capitolo è quello di coloro che sono inviati al lavoro apostolico subito dopo il noviziato assieme a persone più anziane che “si prenderanno cura” di loro, senza compagni con cui fare amicizia, senza accompagnamento spirituale, a volte senza Eucaristia. L’unica cosa importante è coprire i posti di lavoro affinché vadano avanti le opere iniziate. Per la formazione delle persone poi si vedrà. In questi casi Cristo finisce col perdere la centralità affettiva e i giovani sono condannati a una solitudine molto pericolosa.
Nel formazione bisogna lavorare su molti fronti, ma non è facile riuscirvi, ma a volte il guaio maggiore è di non avere idee chiare su ciò che è fondamentale e come attuarlo. Si mette molto impegno nella formazione della personalità, negli studi, nelle preghiere vocali, nella liturgia, nelle esperienze apostoliche, nella conoscenza delle costituzioni, nella storia dell’istituto…, ma non sempre si si mette al primo posto l’“esperienza fondante” che deve dare significato a tutto il resto. È l’esperienza di fede e di amore a Cristo come “il grande Amore della mia vita”. Ciò richiede tempo, continuità, impegno, una vita profonda e purezza di cuore.
E questo non si supplisce con nessun’altra cosa e non è negoziabile con nient’altro. La fede e l’amore a Cristo è la roccia su cui poggia tutto l’edificio della vita consacrata. Sono le radici che danno vita al tronco e i rami all’albero. “Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (1Cor 3,11). D’altra parte non si può chiedere che ogni fondatore e fondatrice indovini i contenuti e i metodi migliori per la formazione dei suoi giovani. Forse sono stati i migliori per il loro tempo e la loro cultura, ma oggi bisogna rivederli seriamente e tradurli. Sarebbe ingenuo pensare che tutto ciò che essi hanno fatto sia dovuto un’ispirazione dello Spirito Santo.
È notevole il numero delle vocazioni che si perdono per non aver dato la priorità alla formazione, non aver dedicato ad essa le persone più valide e non aver consacrato a questo il tempo e i mezzi necessari.
Lo spiritualismo
Ma è inaccettabile anche andare all’altro estremo: fomentare la passione per Cristo ed escludere quella per l’umanità, pretendere una mistica senza profetismo, una fede senza giustizia. Non mancano nella Chiesa movimenti “fondamentalisti” che non sottolineano a sufficienza la dimensione sociale dell’evangelizzazione, l’impegno per la giustizia e la liberazione. E ci sono religiosi e religiose molto pii i quali lasciano allegramente che il mondo vada in rovina perché il contrario vorrebbe dire fare “politica”.
FEDE E CONSACRAZIONE BATTESIMALE E RELIGIOSA
La vita religiosa prima di ogni altra cosa è sequela di Cristo, una sequela particolare che ha le sue radici nella consacrazione battesimale e che si vuole vivere in pienezza. «I membri di qualsiasi istituto ricordino anzitutto di aver risposto alla divina chiamata con la professione dei consigli evangelici, in modo che essi non solo morti al peccato (cf. Rm 6,11), ma rinunziando anche al mondo, vivano per Dio solo. Tutta la loro vita, infatti, è stata posta al suo servizio, ciò costituisce una speciale consacrazione che ha le sue profonde radici nella consacrazione battesimale e l’esprime con maggior pienezza». (PC 5).
Nella vita religiosa, con la consacrazione mediante i voti si vuole donarsi totalmente al Signore, ratificando la consacrazione fatta al battesimo e impegnandosi a viverla in pienezza. Perciò è necessario scoprire la relazione tra battesimo e consacrazione.
Fede e battesimo
Nei sinottici, fede e battesimo uniti appaiono come l’atto salvifico decisivo da cui dipende la vita presente e futura: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15-16). È un dono universale (Mt 28,19) che conduce dinamicamente all’identificazione con Cristo» (Rm 10,9-10).
Risposta personale di fede
Il battesimo mette in risalto l’offerta divina della salvezza; la fede mette l’accento nell’atteggiamento soggettivo di accettazione e di impegno. Da questa risposta dipende l’effetto del battesimo in maggior o minor grado e l’autenticità della nostra vita. Il battesimo non si riceve una volta per sempre; deve essere assunto giorno per giorno. Il “fate discepoli” richiede una risposta di adesione vitale alla persona e alla parola del Maestro e una ricerca di identificazione con lui e con la sua missione.
C’è una serie di paragoni che sottolineano la vitalità e il dinamismo della fede. Fra tutti quelli del seme. Giovanni dice che il battezzato è uno generato da Dio, “nato dal seme divino” (cf. 1Gv 4,7) e questo ci dà il diritto di chiamare Dio papà.
Identificazione con Cristo
La fede e l’amore a Cristo hanno un dinamismo interiore che conduce all’identificazione con lui. Si tratta di una identificazione interiore che non consiste nell’imitare le parole e i gesti esteriori, ma nell’assimilare i suoi criteri, gli atteggiamenti, i modi di pensare e i suoi sentimenti più intimi, la sua vita intera. Vuol dire accettare la sua Parola e soprattutto consacrarsi al Signore Gesù, «rivestirsi dell’uomo nuovo … che si rinnova, a immagine del suo Creatore. Rivestitevi dunque, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza» (Col 3,10-12). Identificazione dinamica e vitale “che si rinnova” nella morte al peccato, all’uomo vecchio, alle pratiche della carne (Rm 6,1-14; Col 3,5-15), alla menzogna: nella risurrezione, sentendosi figli di Dio, vivendo con “parresia”, sicurezza, fiducia in Dio, nostro Padre (Ef 3,14-17; Eb 3,6), libertà di spirito (Rm 8,21). Con spirito di semplicità come bambini appena nati (1Pt 2,1-2), con gioia cristiana (1Cor 15,20) e sotto la guida dello Spirito.
Testimoni del Regno futuro e del presente
Il religioso e la religiosa vogliono vivere in pienezza le caratteristiche del battezzato. Ciò equivale a dire voler affrettare la venuta del Regno. Il Regno futuro è l’aspetto escatologico conosciuto mediante la fede. Non si contrapp0ne al Regno già presente, ma lo completa. La consacrazione religiosa manifesta che la vita raggiunge il suo significato solo se si orienta verso il fine della storia che è Cristo risorto. Questa fede ha delle espressioni vistose e sconcertanti.
La vita religiosa può esprimersi solo appoggiandosi sulla fede e in proporzione della fede. E questa fede è tanto intensa che conduce il religioso/a a liberarsi da una serie di vantaggi molto apprezzabili, come il matrimonio, i beni materiali, l’uso non ristretto della libertà, e lo porta a testimoniare il primato dei valori evangelici. Denuncia la caducità e l’uso disordinato dei beni terreni e annuncia il primato di Dio e dei valori evangelici (cf. VC 84-85). Denuncia il grande peccato della nostra società, la povertà ingiusta e istituzionalizzata di gran parte dell’umanità. E offre un modello diverso di convivenza fraterna in cui si condividono i beni materiali, dove tutti hanno gli stessi diritti e doveri, mediante una vita di austerità personale e comunitaria, e l’impegno e la solidarietà con i poveri. Denuncia il liberalismo economico come una fabbrica di poveri, gli eccessi sessuali che abbrutiscono l’uomo e la donna, il libertinaggio dell’anarchia che li rendono schiavi del loro egoismo.
E di fronte a un mondo infranto e sanguinante, a causa dei confronti e delle guerre, offriamo una vita fraterna in cui vogliamo amarci veramente gli uni gli altri, come amici sinceri in cammino verso il medesimo ideale…
Tutto questo suppone la rinuncia in molte circostanze a cose molto desiderate e apprezzabili. Sarebbe una follia se non ci fosse una motivazione che la trasforma in una cosa facile e gioiosa. È l’amore a Cristo, conosciuto e amato nella fede. È necessario un alto grado di fede e di amore affinché ciò che risulta molto duro alla carne e al sangue diventi una fonte di gioia e di felicità. La rinuncia a una serie di beni umani non è la cosa più importante. Non è che un cenno che invita a innalzare la sguardo verso il termine del cammino che è il Signore Gesù. È lui che affascina e attrae in maniera irresistibile e fa sentire il bisogno di consegnarsi totalmente all’Amato, sorretto da un dinamismo esuberante che supera ogni resistenza.
La fede e l’amore vanno sempre insieme. La crescita nella fede implica una crescita nell’amore. E la crescita nell’amore non avviene senza una crescita nella fede, come le dita di una mano.
La conseguenza è che vivere la consacrazione religiosa con gioia richiede un alto grado di fede e di amore, ma che diventa difficile e a volte insopportabile se si cade nella tiepidezza o nella mediocrità. Questa è la causa – a mio parere – della differenza tra le persone consacrate che vivono felici, enormemente felici e realizzate, e quelle che vivono schiave di tutte le piccole contrarietà della vita e sono fragili nella loro affettività e instabili nella loro vocazione.
Naturalmente ci possono essere ragioni di ordine psicologico, ferite affettive dell’infanzia, l’influsso di un ambiente pagano, mancanza di un fondamento cristiano… ma credo che la maggior parte delle defezioni in America latina siano dovute alla mancanza di selezione dei candidati e la mancanza di una buona formazione.
Questa identificazione con Cristo a cui è invitato ogni battezzato, per il religioso/a si concretizza nel prendere Cristo come l’assoluto della sua vita, mettendo tutte le sue qualità personali, le sue energie, il suo tempo, la sua vita intera nella mani di Cristo e della sua opera salvifica. E nel consegnarsi a lui in una sequela “speciale”. Il religioso/a attua la consegna di tutta la propria persona a Cristo attraverso alcuni mezzi particolari che lo aiutano a vivere la carità, vale a dire la filiazione e la fraternità. Lasciando lo stile di vita della maggior parte dei cristiani (che si sposano, vivono in famiglia, hanno la proprietà dei beni materiali, fanno i loro affari…) il religioso/a vuole dedicarsi in maniera incondizionata e per tutta la vita “alle cose del Padre”.
SEQUELA SPECIALE DI CRISTO
Ciò ha alcune espressioni concrete.
Celibato. Come Gesù, il religioso/a apprezza molto la dignità del matrimonio, ma come lui vuole consegnarsi nel corpo e nell’anima al servizio di Dio e dei fratelli e vuole vivere la comunione affettiva immediata con lo stesso Dio e donarsi nell’amore fraterno a ogni persona. È anche un annuncio di amore disinteressato o ablativo e una denuncia contro gli abusi del sesso e lo sfruttamento della donna.
Comunità. Come Gesù che si staccò dalla vita di famiglia che aveva vissuto per 30 anni, per iniziare un nuovo stile di convivenza apostolica, anche la comunità religiosa vuole vivere la fraternità e dedicarsi alla missione evangelizzatrice. In questo modo annuncia la comunità universale e denuncia l’abuso di potere, la disunione, il partitismo.
Preghiera. Per Gesù, la comunicazione con il Padre nella preghiera costituiva la sua gioia più profonda. Ogni cristiano deve attribuire alla preghiera un posto privilegiato, ma il religioso, la religiosa devono vivere in un dialogo ininterrotto di amore con Dio, senza mediazioni corporali, nell’intimo della persona.
Povertà-austerità e povertà-solidarietà. Il religioso/a rinuncia alla proprietà privata e si impegna a condividere tutto e a mettersi dalla parte dei poveri. Così annuncia che Dio è l’unico tesoro in cui vale la pena riporre il proprio cuore e denuncia gli abusi del capitalismo liberale e del comunismo inumano.
Obbedienza. Il religioso/a come Gesù vuole fare della volontà di Dio l’asse della sua vita. Rinuncia a fare la propria volontà per amore di Dio e denuncia l’abuso delle dittature e dell’anarchia.
Missione. Il religioso/a – libero da qualsiasi altro impegno – si dedica alla missione evangelizzatrice a tempo pieno e con la totalità del cuore. In questa sequela speciale di Cristo non desidera altra cosa che vivere in pienezza la consacrazione battesimale, propria di ogni cristiano. Ciò può essere compiuto con gioia solo da chi vive un alto grado di fede e di amore.
(da Testimoni, 30 settembre 2006, n. 16)
(1) L’articolo riprende in forma un po’ abbreviata la riflessione di p. Carlo Palmès, dal titolo Ser o non ser: la vida religiosa del siglo XXI. Vivencia de fe e seguimiento de Cristo, apparsa nel n. 3 (giugno-settembre 2006) della rivista CLAR, organo della Confederazione latinoamericana dei religiosi.