Etty Hillesum,la ragazza che prese Dio per mano
di Bruno Di Porto
(...) Etty era donna di moltissime letture e svariati autori. L'autore preferito e congeniale, che molto l'ha nutrita, soprattutto sul piano religioso, è Rainer Maria Rilke. Come lui e con la sua guida, Etty trova il raggio divino, oltre che in sé e negli altri, nei fiori, negli alberi, nelle cose inanimate che si vengono ad animare in un'ottica poetica panpsichistica. Come Rilke, Etty non chiede a Dio miracoli, fuori del continuo prodigio della vita, quando gli uomini non la guastano. Rilke non attende da Dio un'asserzione di esistenza e tanto meno di onnipotenza: «Non attender che Dio su te discenda e che ti dica Sono. Senso alcuno non ha quel Dio che afferma l'onnipotenza sua. Sentilo tu, nel soffio ond'ei ti ha colmo da che respiri e sei. Quando, non sai perché, ti avvampa il cuore, è Lui che in te si esprime». Rilke arriva a sentire Dio come proprio figlio, invece che come proprio padre, ed è significativo che un tale strano pensiero non sia ripreso da Etty, la quale respinge la maternità. Da Rilke son venute a Etty immagini claustrali di religiosità cristiana, come la cella del monaco. Più diretto e vissuto atteggiamento cristiano, di cui non conosco in Etty l'origine, è il suo bisogno di inginocchiarsi nella preghiera. L'inginocchiamento o la prosternazione era largamente d'uso nell'antico ebraismo, che probabilmente lo ha dismesso per differenziarsi dal cristianesimo e dall'Islam. Non so se Etty lo sapesse. Ella scrive nel diario che questo gesto agli ebrei non è stato tramandato di generazione in generazione e che ha dovuto impararlo a fatica. Per lei era significativo. Lo praticava assorta, nella fisicità della devozione, come faceva il suo maestro ed amico correligionario Julius Spier, che univa alla cura dell'anima la ginnastica del corpo, praticando con lei la lotta. Altra pratica, diciamo ascetica, di Etty era il bagno freddo.
Rilke è il modello della riluttanza pacifistica alla guerra e allo schieramento di parte, in nome della scelta universale a favore dell'umanità complessiva. Soldato praghese nell'eser-cito austroungarico, dichiara, in una lettera del 1915, la motivazione ideale che accompagna la sua indole imbelle: «Soffro e non so fare altro. Io non saprei combattere che per tutti contro nessuno. Oh, un Dio non avrà mai abbastanza dolcezza per guarire l'immensa piaga che è divenuta l'Europa». Etty, in sintonia, rifiuta di avere nemici umani, neppure quando il nazismo in quanto ebrea, la scheda, la colpisce, la umilia in ogni modo, considerandola nemica per eccellenza. Lei, toccando il fondo del paradosso, in una ingenuità incredibile e provocatoria, risponde che i tedeschi sono i cosiddetti nemici, i presunti nemici di chi, uomo, presume di avere per nemici degli uomini. Ma i nazisti le avrebbero facilmente risposto che gli ebrei non sono uomini. E la storia si ripete: donne bosniache testimoniano di aver provato a commuovere la soldataglia serba col ricordare che anche loro avevano delle mamme e dei figli e che quelli si arrabbiavano di più, offesi dal paragone tra loro e quel ciarpame bosniaco, semmai nobilitato dal loro stupro. Etty non poté nemmeno esperire il tentativo di parlare a un tedesco. Quando sorrise, le fu spento il sorriso da un ordine tassativo, cui non potè che obbedire: un sottouomo, una sottodonna non poteva sorridere. Un'altra volta, un poliziotto la redarguì con urla e lei, con nobile semplicità, lo definì un infelice ragazzo della Gestapo. Tra gli aguzzini e le vittime c'era una cortina di incomunicabilità, con la sola mediazione degli organi costituiti dai nazisti tra gli stessi ebrei per l'esecuzio-ne dei loro ordini. Ma Etty non rendeva la pariglia e continuava a considerare uomini i feroci persecutori. Pronunciandosi contro l'impotente odio dei correligionari per i nazisti, ripeteva che ogni grammo di odio contribuisce a rendere irrespirabile l'atmosfera del pianeta. Comprensibilmente, dopo un ennesimo giro di vite sul cerchio che si chiudeva, un correligionario che l'aveva sentita candidamente parlare, le mandò a chiedere se continuava a pensare a quel modo. Ella continuava. Affermava che l'esistenza di un solo tedesco innocente doveva fare evitare l'odio collettivo contro i tedeschi e valorizzava al massimo il reperimento, non suo diretto, di un tedesco casher, cioè bravo, come si deve.
Etty ha ragione nel deprecare l'odio indifferenziato verso un popolo ed è, sotto questo profilo, l'apostola e profetessa della conciliazione ebraico-tedesca, tanto più autentica, tanto più credibile, perché è martire e perché ci dice che lei stessa ha dovuto vincere in sé la naturale avversione e perché confessa, in una pagina, l'impressione di ottusa disumanità prodotta dalla vista delle facce in una colonna di poliziotti. Etty scrive, a questo proposito, di non essere un'anima bella, nel senso di un certo vagheggiamento romantico di eterea purezza. Ma finanche al nazismo, come sistema di sterminio, Etty non contrappone non dico una volontà, ma un sogno di combattimento, in nome di una nonviolenza assoluta, che rifiuta la carica di violenza perfino allo stato puro di impulso inattuato ed inespresso nella vittima che soggiace. Ecco la sua lotta per l'estinzione dell'odio che l'amico Klaas chiamava cristianesimo e che forse si avvicina all'estinzione buddista delle passioni umane, con la differenza che Etty non rinuncia alle altre passioni, non rinuncia al desiderio, nella sua disinvolta ed innocente libertà sessuale e vitale. L'eros in lei alimenta, come nello Zohar e come in altri mistici, la stessa fede. Che dire dell'assoluta nonviolenza di Etty a cospetto del nazismo? Dico che, non espressa con la sua lucida insistenza, la ritroviamo silenziosamente in tanti martiri ebrei, mentre in altri troviamo figure di combattenti soprattutto al servizio delle rispettive patrie. La ritroviamo nel milione e mezzo di bambini ebrei in fila per entrare nelle camere a gas con l'innocenza nel volto. La ritroviamo nella celebre fotografia del gracile fanciullo con le mani alzate di fronte al mitra spianato. La ritroviamo nel volto dei pii rabbini che affrontarono il ludibrio prima del martirio. La ritroviamo negli ebrei increduli di essere eretti a nemici dai nazisti e che per questo non si nascosero e finirono ad Auschwitz: mi è impresso nella memoria uno di loro alla vigilia della grande retata romana del 16 ottobre, quando mio padre lo esortava a nascondersi. La ritroviamo nelle donne denudate, offerte allo sguardo degli aguzzini. La ritroviamo negli uomini ebrei dell'oriente europeo, increduli di quel che loro accadeva, trascinati e vilipesi, mentre si tagliava o strappava loro la barba per la fotografia-ricordo di chi li avviava al macello. La ritroviamo in quel leader della corrente ebraica ortodossa Agudat Israel, Alexander Zysie Fridman che, in una riunione di capi ebrei a Varsavia, nel luglio 1942, si oppose alla rivolta, dicendo che ci si doveva affidare unicamente a Dio e che Dio non avrebbe fatto perire il suo popolo. La rivolta del ghetto di Varsavia poi scoppiò, perché non tutti la pensavano a suo modo e si riempì di splendido eroismo, confluendo nella storia del contributo ebraico alla Resistenza europea. Graziella Merlatti ricorda le azioni di autodifesa degli ebrei nella stessa Olanda, di cui vi è un riscontro nel diario di Goebbels, quando dice di aver dato ordine di impiccare per primi gli ebrei in catture di partigiani olandesi. Fu una reazione morale opposta a quella di Etty, ma di pari alto valore. Riflettiamo sul fatto che se le armi alleate e la resistenza europea, inclusi i resistenti tedeschi, non avessero vinto il nazifascismo, gli scritti di Etty non sarebbero venuti alla luce e lei sarebbe morta senza lasciare la sua impronta, che innalza il significato della vittoria. Ecco come l'etica della giusta lotta e l'etica della nonviolenza possono venire ad intrecciarsi.
Ma Etty non si doleva soltanto del risentimento verso gli oppressori, bensì anche per l'egoismo del si salvi chi può, consueto ed umanissimo in ogni situazione di emergenza, e per le magagne, le viltà, gli attriti che scoppiavano nel campo delle vittime per esempio tra ebrei olandesi ed ebrei tedeschi, ricordando loro che erano tutti ebrei e tutti esseri umani. Etty ha sublimato la sofferenza, anche qui all'unisono con Rilke, che, sulle orme a sua volta di Nietzsche, distingueva (e chiedo per inciso se si è d'accordo a distinguerle) la piccola morte e la grande morte, valutando l'umanità da come sa morire, passo difficilissimo, ultimo esame, da cui tendiamo ad allontanare il pensiero, mentre Rilke ed Etty, come l'antico Seneca, si prepararono a morire degnamente. Si è preparata a morire degnamente, è salita sorridendo e cantando sul treno di Auschwitz, questa ragazza piena di vita, che non denota la fede nella resurrezione o in un'altra vita. È stata assolutamente consapevole, come noi in Italia non eravamo, della condanna a morte del popolo ebraico, l'ha voluta condividere, evitando di cercare di nascondersi. L'ha sublimata nello spirito della grande morte, deponendo, con il suoi eroico contegno, a favore dell'uso, molto controverso, della parola Olocausto, alla quale gli ebrei hanno sostituito, con verità, la tragica desolazione del termine Shoah (rovina, catastrofe). Etty, riunendo i termini scissi nella forza luminosa del suo sacrificio, ci insegna che la catastrofe può essere riguardata come olocausto, se questo inaudito varco della storia vale a trasformarci. Etty insegna al resto di Israele, scampato alla Shoah, di impegnarsi per essere migliore, per meritare di essere sopravvissuto, per continuare ad essere se stesso al miglior livello possibile. Io, scampato fanciullo, diversamente da Etty, alla presa dell'orrore, sento come lei questa vocazione ad un ebraico ed umano dover essere che dia un senso all'essermi salvato. Ai non ebrei la figura e la vicenda di Etty fa meglio capire il tragico torto di millenni verso il suo popolo. A tutti insegna che si deve fermare la diabolica potenza dell'odio. (...).
Io non ho trovato da protestare, come alcuni miei correligionari, per la canonizzazione di Edith Stein, la carmelitana ebrea, che considero un'altra grande figura di donna nell'Olocausto, e lo dissi pubblicamente (...); ma al di là delle rispettabili frontiere confessionali e dei procedimenti di canonizzazione, penso che si possa ravvisare in Etty Hillesum una santa laica dell'umanità, una laica di profondo sentire religioso, una personalità che definisco messianica, nel senso dato al messianesimo da Emmanuele Levinas, quando, sciogliendo l'attesa, attribuisce ad ogni essere umano il compito messianico di contribuire ad aprire la via a Dio per la redenzione del mondo. È quello che testimonia di sé Etty quando leggiamo questa pagina, già richiamata: «Quanto sono grandi le necessità delle tue creature terrestri, mio Dio. Ti ringrazio perché lasci che tante persone vengano a me con le loro pene. Parlano tranquille e senza sospetti, e d'un tratto viene fuori tutta la loro pena, e si scopre una povera creatura disperata che non sa come vivere. E a quel punto cominciano i miei problemi. Non basta predicarti, mio Dio, non basta disseppellirti dai cuori altrui. Bisogna aprirti la vita, mio Dio, e per far questo bisogna essere un gran conoscitore dell'animo umano, un esperto psicologo: rapporti con padre e madre, ricordi giovanili, sogni, sensi di colpa, complessi d'inferiorità, insomma tutto quanto. In ogni persona che viene da me io mi metto a esplorare, con cautela. I miei strumenti per aprirti la strada negli altri sono ancora ben limitati. Ma esistono già, in qualche misura: li migliorerò pian piano e con molta pazienza. E ti ringrazio per questo dono di poter leggere negli altri. A volta le persone sono per me come case con la porta aperta. Io entro e giro per corridoi e stanze, ogni casa è arredata in modo un po' diverso, ma in fondo è uguale alle altre. Di ognuna si dovrebbe fare una dimora consacrata a te, mio Dio. Ti prometto, ti prometto che cercherò sempre di trovarti una casa e un ricovero. In fondo è una buffa immagine: io mi metto in cammino e cerco un tetto per te. Ci sono così tante case vuote, te le offro come all'ospite più importante. Perdonami questa metafora non troppo sottile».
Questa pagina di missione psicologica e psicagogica nel segno di Dio, così conversevole nella tensione salvifica, come tutta la figura di Etty, è fatta per unire cristiani ed ebrei, ma anche persone di altre religioni e laici. I cristiani possono vedere in lei un'imitazione di Cristo, gli ebrei l'anticipazione dell'ideale carisma messianico, sempre proiettato nel futuro. (...).
(da Adista, 2002)