Vita nello Spirito

Mercoledì, 09 Dicembre 2009 23:00

Pensare il futuro (Mario Neva)

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Pensare il futuro è inevitabile. Ciò che è inevitabile è necessario. Avvinto da questa chiara percezione interiore, che è impossibile non condividere, un pensatore profondo e complicato come Kant, ha tratto delle conseguenze, per certi aspetti esagerate. Il filosofo di Kònigsberg, sebbene non confondibile con la folla, è lì per testimoniare che il tempo è pensato da tutti, ma non da tutti allo stesso modo.

Pensare il futuro di Mario Neva

Sulla scia di Kant, Martin Heidegger ha dettato una metafora destinata ad avere fortuna tra le tormentate vicende del pensiero nel XX secolo: essere e tempo, per l'appunto. Stabilire come il tempo deve essere pensato e vissuto, qui ed ora, dallo scrivente e dal lettore, è un aspetto non secondario nella ricerca della verità. L'educazione stessa, intesa come educare ed educarsi, richiede una concezione della vita, una visione dell'esperienza umana immersa nella temporalità: un tempo per crescere, per educare, per evitare errori, per superare problemi e difficoltà, per realizzare al meglio possibile la propria personalità, un tempo per programmare, un tempo per verificare, un tempo di rischio, un tempo di attesa... ecc.

Ma non si tratta di illudersi, o di mettere in gioco suggestioni di parole: la fatica di vivere e la morte vanificano i fuochi d'artificio del pensiero. Ci sono pensieri inevitabili e necessari che i pessimisti vivono come una spada di Damocle sospesa sul collo, mentre gli ottimisti trasformano le spade in aratri e le lance in falci e in tal modo aprono strade. L'essere umano posto tra nascere e morire e costantemente necessitato a scegliere e ad agire; può sviluppare l'attitudine alla novità e alla attesa, oppure dedicarsi ai registri archeologici della paura e dell'angoscia.

Fatalismo e magia.

Data l'importanza della questione e il valore della posta in gioco, è opportuno difendersi dal sentito dire e dal pettegolezzo sul futuro, che vantano, per tradizione secolare e planetaria, una vasta gamma di proposte: la più accessibile e diffusa è quella dell'oroscopo; al limite estremo del fenomeno troviamo il commercio delle prestazioni: il palmo della mano affidato al giudizio di una chiromante, oppure la sfera, il gioco delle carte, le viscere di animale squartato, il volo degli uccelli, lo sputo della strega, i patti con il diavolo, e infine i grandi libri che godono della massima considerazione nella biblioteche dei... don Ferrante.

Posto il principio che da qualche parte il futuro è predisposto e addirittura previsto, bisogna guardarsi dalle contraffazioni e in modo particolare dal fatalismo che tende a negare il valore della libertà divina e umana. La magia è la figlia primogenita del fatalismo e appare in sintesi come il tentativo di possedere il tempo e di volgere il corso degli eventi a proprio favore. La magia e la chiaroveggenza sono combattute strenuamente nella cultura biblica e radicalmente osteggiate dagli Apostoli nel Nuovo Testamento; vengono considerate opere della notte ed espressioni di stupidità, di paura e dunque di assurdo orgoglio; a questa riprovazione e a questo divieto, che provengono dall'alto suscitando talvolta una curiosità morbosa, si è aggiunta da almeno tre secoli la polemica degli illuministi contro ogni forma di superstizione; il credo illuminista tende a colpire in modo indiscriminato tutto ciò che esce dal criterio dell'oggettività, compreso l'autentica esperienza religiosa.

Le decisive conquiste dell'illuminismo comportano per ciò stesso delle perdite significative: la tecnologia, fondata sulla scienza oggettiva, si presta ad essere usata anche come strumento di magia e di distruzione. Non si vuole negare che il progresso dell'umanità passa anche attraverso la scienza e la tecnica. La tentazione di considerare il mondo che cambia come illusione, vanità delle vanità, negazione di significati profondi, falso mondo da fuggire, mondo ingiusto da combattere, è un atteggiamento diffuso nelle culture umane, nelle filosofie e nelle religioni della terra. Il problema della fuga dal mondo, caratteristico in oriente, è apparso più volte anche nel cristianesimo ed è la radice profonda dei fondamentalismi; l'Islam, oggi come ieri, ne è fortemente minacciato. La fuga dal mondo tende a vanificare il significato della realtà in cui viviamo, inquina la corporeità, la sessualità, il lavoro, i beni della terra. Ma forse il male peggiore è l'asservimento al mondo e alla mentalità del tempo. In questo appiattimento si determina la radice e l'essenza stessa del consumismo, inteso quale sacralizzazione del modo presente di vivere, come l'unico accessibile e l'unico realisticamente possibile.

Apocalittici e integrati.

Nel mitico sessantotto Umberto Eco pubblicava Apocalittici e integrati testo nel quale proponeva l'affermazione storica dello spirito critico (fortemente disatteso dallo stesso autore in libri successivi come Il nome della rosa) che prende le debite distanze sia dagli apocalittici, che sono coloro che negano valore al mondo e lo fuggono o ne ipotizzano addirittura la distruzione sia dagli integrati, che sono coloro che al contrario abbracciano totalmente lo spirito del mondo, celebrandone quotidianamente la liturgia e obbedendo alle sue tendenze più palesi, anche e soprattutto quando esse appaiono trasgressive. Se accettiamo la comoda distinzione echista, nella prima categoria possiamo annoverare i brigatisti, gli anarchici, i militanti della destra estrema, i terroristi, gli iperspiritualisti, i fondamentalisti... Nella seconda i governanti dell'ultima ora seguiti da masse teleguidate.

Il giusto equilibrio tra tempo futuro e realtà presente non può dipendere dalle alchimie degli intellettuali critici che rassomigliano sempre più ai farisei del Vangelo i quali hanno in mano le chiavi per aprire le porte della scienza: loro non vi entrano e impediscono agli altri di farlo. Al di là di Eco, la nuova generazione troverà la forza di ripristinare il suono originario, ovvero la capacità di cogliere da sé e in modo non ideologico o anti ideologico la consistenza, cioè l'essere, delle cose.

La percezione dell'essere, del fatto che le cose così come sono hanno sempre una precisa identità che le oppone al nulla, rende l'esperienza del continuo cambiamento cui esse sono soggette un fatto struggente. Vedo nascere un essere umano e penso che prima non c’era: questo mi sorprende! Vedo morire una persona che conosco per assiduità di frequentazione: provo dolore lancinante! Sperimento un amore vero, di relazione intensa e gratuita: questo mi realizza.Vedo uomini che si uccidono e combattono: provo sdegno! Abbiamo in tal modo richiamato casi estremi, ma ciò era per affermare che è la normalità stessa ad essere straordinaria e ricca di presenze e di significati assoluti.

La vita di chi pensa e di chi riflette è una vita che deve amministrare forti impressioni: una costante e assidua sorpresa è in agguato, come la tigre nella giungla. All'interno di questa costante e vibrante esperienza mi avvedo che il tempo, prima ancora che essere una misurazione, è il modo di essere del mondo e della coscienza che lo esplora.

Streben.

Approfondiamo ulteriormente: affermare la consistenza del mondo in divenire significa cogliere in me stesso e di riflesso in ogni cosa, per quanto da me conoscibile, una natura, una tendenza, uno spessore, un modo caratteristico di opporsi all'insignificanza, alla incertezza e alla aleatorietà.

Niente di ciò che ci appare è teoricamente necessario, ma di fatto lo è nella misura in cui è effettivamente entrato nel campo dell'esistenza. Ciò che caratterizza ogni natura guardata da vicino, sia questa un essere umano, una pianta, una pietra, l'acqua che scorre, il suono che si diffonde, è la sua tendenza intima a realizzare ciò che è, a dispiegare nel tempo la propria natura. Essere consistenti, nel tempo, vuol dire tendere alla piena realizzazione di sé. Gli idealisti tedeschi focalizzarono questo tema con termini struggenti parlando di streben, inteso come il tendere continuo dell'uomo ad una libertà che va oltre il limite e che si realizza nella relazione con l'Assoluto.

Il Faust, scritto da Goehte nell'arco di sessanta anni, traccia la parabola compiuta dello streben. Nella sua visione tragico-ottimistica il tendere pienamente umano è insidiato continuamente dalle regole prevedibili dell'esistenza mediocre e dalla presenza diabolica nel mondo, che ha alla sua radice la permissione divina del male. Bisogna riflettere ancora e di nuovo sull'essenza del male che, in questa prospettiva, si rivela non solo come una semplice negazione e assenza di bene, ma come il modo distruttivo di organizzare le energie dei viventi distendendo questa distruzione nella realtà temporale.

A causa di una somma di fraintendimenti, di pigrizie e di luoghi comuni, il pensare metafisico, qui fugacemente espresso, sembra essersi congedato dalla storia e dalla cultura che sempre di più accondiscende alle mode e alla mentalità del tempo; in realtà, così inteso, nella sua assoluta semplicità, il pensiero metafisico è come il respiro dell'intelligenza, la sua casa abituale, talvolta negata, ma di cui c'è necessità per ritornare a vivere. Lo scoutismo è un ottimo presupposto. Abbiamo comunque raggiunto un primo guadagno: ricordare il passato, portarselo dentro comunque, essere contemporaneamente aperti alla possibilità, al futuro, è il nostro modo pienamente umano di stare nel presente che fugge; per quanto esplorata la natura del tempo, inteso come misura delle cose che continuamente cambiano, rimane misteriosa. A sostegno di questo assunto di partenza si è soliti richiamare le suggestive parole di sant'Agostino: "allora che cosa è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più". Bastava ricordarlo, ma ora quello che ci occorre è una luce superiore.

Escatologia.

Il termine escatologia deriva dal greco eskata che significa cose ultime. Nel linguaggio latino è in uso da secoli il termine novissimi con un significato equivalente. Il trattato classico dell'escatologia e dei novissimi, pur essendo soggetto al rischio di annullare la vitalità del messaggio della fede, è un trattato teologicamente fondamentale; esso riguarda la Morte, il Giudizio, l'Inferno, il Paradiso, concedendo uno spazio, oggi fortemente problematizzato al Purgatorio (luogo di chi non è ancora pienamente salvato) e uno spazio, oggi sostanzialmente negato, al Limbo (luogo di chi non può essere dannato). Piuttosto che addentrarci nella descrizione o illustrazione di questa prospettiva sulle ultime cose, è opportuno mettere in risalto che la nostra conoscenza del futuro, grazie al dono della fede, è veramente esigua, laconica, ma allo stesso tempo singolarmente forte e resistente al punto da suscitare in noi, per il dono dello Spirito, la virtù della speranza. La speranza è espressione di una fede che si misura con il tempo, pervasa dalla certezza che Dio manterrà le sue promesse. In questo senso, dice l'Apostolo, la speranza non delude.

La Resurrezione di Gesù.

meglio ancora, Gesù risorto, principio e fine di ogni cosa, è il punto focale di ogni autentica riflessione escatologica. Dalla chiarezza della nostra fede e dal coinvolgimento personale nella vicenda di Gesù dipende la qualità con cui si vive nel tempo. In Cristo Gesù si costituisce la Chiesa, luogo del già e del non ancora. La forza e la convinzione del già, che nasce dall'incontro con Gesù, apre l'orizzonte sempre più ampio e imprevedibile del non ancora della propria vita e della vita dell'umanità. Il non ancora è la salvezza del mondo, la ricapitolazione di ogni cosa in Cristo Gesù, la resurrezione nostra, in un mondo totalmente rinnovato.

La qualità della vita umana è legata alla relazione, poiché comunicare è vivere... in questa prospettiva la salvezza è in Cristo la definitiva comunicazione con Dio e con i fratelli, per sempre.

Alla luce di queste considerazioni, che nascono dalla rigenerazione della mente operata dalla fede, si illumina la realtà dell'utopia; l'utopia è di sua natura qualcosa di irrealizzabile a cui bisogna comunque riconoscere il pregio di muoverti ad agire, di rimetterti in pista, di migliorare un mondo che diventerà in Cristo un mondo rinnovato. In una bottega del consumo equo era appeso un cartello che recitava: le carovane non raggiungono mai i miraggi, i miraggi muovono le carovane.

In un certo senso l'utopia esprime la non rassegnazione ad essere appiattiti sul tempo presente, schiacciati dal peso del passato, del destino, dell'ingiustizia e della morte. Una condizione fondamentale da opporre all'utopia è che essa non peggiori e non danneggi ulteriormente il mondo, che non comporti l'uso della violenza come è avvenuto tragicamente nelle grandi rivoluzioni dell'umanità; la violenza ha decretato il fallimento dell'uguaglianza comunista e delle recenti manifestazioni di alcuni no-global.

Così come è vero che l'utopia esprime una esigenza profonda degli esseri umani, è ancor più vero il fatto che la speranza offre la giusta prospettiva di questo desiderio. L'utopia esige inconsapevolmente che si possa parlare di speranza perché solo la speranza rende realizzabile l'utopia; solo nella speranza noi possiamo amare questo mondo, la sua realtà e la sua consistenza e allo stesso tempo tendere alla sua piena e completa realizzazione; solo nella speranza possiamo contemporaneamente dire venga il tuo regno e... liberaci dal male! Quello che noi ci aspettiamo dalla speranza proviene dalla promessa divina e le promesse di Dio superano di gran lunga le nostre attese.

Il tema della fine delle cose è fortemente rappresentato nella Scrittura dal cosiddetto genere apocalittico (apocalisse in greco vuol dire rivelazione).Tale modo di pensare e di parlare pervade il messaggio dei profeti. Il genere apocalittico si legge al termine dei Vangeli sulla bocca stessa di Cristo che annuncia la fine del mondo e la fine di Gerusalemme, nelle parole esaltanti del Magnificat pronunciate da Maria; ma il senso della fine imminente è un modo comune di sentire della prima Chiesa, come si legge nelle Lettere degli Apostoli e negli scritti di san Paolo; un significato del tutto singolare riveste l'Apocalisse attribuita a Giovanni il cui Amen suggella tutto il messaggio biblico.

Kronos e Kairos.

Chi legge il Nuovo Testamento trova due termini per indicare il tempo: kronos e kairos. Il primo termine, kronos, indica la misura del tempo come ripetizione di fatti cosmici, solari o lunari. Kronos è dunque il tempo della cronologia, dell'abitudine, il tempo necessario per compiere un dato lavoro, per raggiungere un determinato luogo, il tempo della noia e dello sbadiglio. Kronos può anche essere il tempo del dominio della natura sull'uomo, dell'uomo sul mondo, del dominio dell'uomo sull'uomo, un tempo per ogni cosa, come dice il Qoelet! E’ il tempo dei greci, è infine il tempo di Anassimandro se è vero che ha detto...

principio delle cose che sono è l'infinito...
da dove le cose hanno origine,
ivi si dissolvono secondo la necessità.
Infatti esse pagano l'una all'altra la pena
e l'espiazione dell'ingiustizia commessa
secondo l'ordine del tempo.

Kairos, pur riguardando la medesima realtà, esiste infatti un unico mondo per tutti, è il tempo dell'evento, della sorpresa, del cambiamento, della scelta: tempo di grazia e di gioia, tempo compiuto, tempo del Vangelo! Tempo nel quale "il principe di questo mondo viene gettato fuori,... il tempo di svegliarci dal sonno". I nostri discorsi sul mondo, sulla vita passata, presente e futura, attingono dall'evento Gesù tutta la loro forza e la loro coerenza. Gesù coinvolge tutta l'umanità nel progetto divino, egli ha dettato la perfetta profezia sulla storia annunciandone l'infallibile compimento. Ma le prospettive che si aprono con la rivelazione di Cristo sono di natura cosmica, "la creazione stessa infatti soffre e geme per le doglie del parto, ... essa pure attende con impazienza la rive­lazione dei figli di Dio". Vedremo e vivremo dunque cose qui solo accennate.

(da Servire, rivista scout per educatori)

Letto 2201 volte Ultima modifica il Giovedì, 13 Gennaio 2011 11:07
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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