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FORZA PARROCI! BONDI SCRIVE ALLE PARROCCHIE, MA UN PRETE RISPEDISCE IL PLICO AL MITTENTE
 da www.adistaonline.it

"È, questo, il nostro modo di impegnarci per testimoniare la nostra fede. La prego di voler accogliere questo piccolo pensiero, la nostra semplice brochure, come un modo per condividere l'impegno difficile per l'affermazione della Verità Cristiana nella nostra società e nel tempo che ci è dato di vivere. Con questi sentimenti e pensieri voglia ricevere i miei più affettuosi saluti. Con viva cordialità. Suo devotissimo. Sandro Bondi".
Così si conclude la lettera allegata all'opuscolo "I frutti e l'albero. Cinque anni di governo Berlusconi alla luce della dottrina sociale della Chiesa" inviato da Forza Italia ai 25 mila parroci italiani. Si tratta di una brochure dove sono elencati tutti i provvedimenti in favore della Chiesa promossi in questi anni dalla maggioranza di centrodestra, fra cui la legge per la regoralizzazione degli insegnanti di religione, la legge per gli oratori, l'abolizione dell'Ici per gli enti ecclesiastici e non profit, la battaglia per il riferimento alle radici cristiane dell'Europa e la difesa del crocifisso nelle scuole.

Particolare enfasi è riservata alla legge sulla procreazione assistita "approvata dal governo", scrive Bondi, "e che la sinistra ha cercato di abrogare per mezzo di un referendum. La famiglia, cuore dell'attuale e fecondo lavoro pastorale di Benedetto XVI, e costante premura dell'indimenticabile Giovanni Paolo II, ha guidato la nostra politica facendoci scoprire sentieri nuovi e oggi ancor più fecondi per la società italiana".

Rispetto all'appoggio dato alla guerra in Iraq, che finora ha provocato più di 30mila vittime civili, il coordinatore nazionale di Forza Italia scrive: "Non ci siamo, altresì, tirati indietro per costruire la pace nella verità, come recentemente ha affermato anche Benedetto XVI, impegnandoci, nel contempo, nella lotta alla povertà e alle malattie nel Terzo Mondo e in numerose missioni di pace nei Balcani, in Afganistan, in Iraq, dove i nostri soldati si sono distinti per preparazione e per umanità".

Don Aldo Antonelli ha rispedito al mittente l'opuscolo ed ha inviato a Sandro Bondi una lettera che di seguito riportiamo:





Signor Bondi,

sono abituato a dare alle parole il loro peso per cui a chiamarla "onorevole" dovrei coartare la mia coscienza.

Ho ricevuto l'inverecondo opuscolo che lei, immagino, ha inviato a tutte le parrocchie d'Italia.

Glielo restituisco senza nemmeno sfogliarlo e le ricordo che le parrocchie non sono discariche di rifiuti né postriboli nei quali si possa fare opera di meretricio.

Abbiamo una nostra dignità, noi sacerdoti, e non siamo usi a svendere per un piatto di fagioli il nostro patrimonio religioso, culturale, sociale ed umanistico che voi in cinque anni di malgoverno avete dilapidato.

Avete fatto razzia di tutto. Avete dissestato la finanza pubblica, avete ridotto alla fame gli enti locali da una parte e foraggiato, dall'altra, gli enti ecclesiastici cercando di comprarvi il nostro silenzio se non addirittura la nostra compiacenza.

Avete popolato il Parlamento di manigoldi, ladri e truffatori. Di 23 parlamentari condannati in via definitiva più della metà (13 per la precisione) fanno parte del vostro gruppo. Avete fornicato con il razzismo della Lega e con il fascismo di Rauti. Con voi i ricchi sono diventati più ricchi ed i poveri più poveri. Il vostro "Capo" in cinque anni ha quadruplicato il suo patrimonio, mentre le aziende del Paese andavano in crisi. Solo l'elettromeccanica, nell'ultimo quadrimestre del 2005, ha perso il 7,1% del suo fatturato.

I nostri pensionati, da qualche anno in qua, non solo non riescono più ad accantonare un soldo, ma hanno incominciato a rosicchiare il loro già risicati risparmi.

Avete speso energie e sedute-fiume in Parlamento per difendere a denti stretti le "vostre" libertà mentre il Paese rotolava al 41° posto quanto a libertà di stampa e pluralismo di informazione, dopo l'Angola.

Avete mercificato i lavoratori e ipostatizzato le merci.

Si tenga pure, signor Bondi, la sua presunzione di coerenza con la "dottrina sociale della Chiesa". Noi preti vogliamo tenerci cara la libertà di lotta e di contestazione contro la deriva liberista e populista della vostra coalizione.

Aldo Antonelli

(parroco)

Antrosano, 1 marzo 2006

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LA STORIA DEL CONCILIO DI ALBERIGO E MELLONI, UNA "RILETTURA IDEOLOGICA".

LA CELEBRAZIONE DEL VATICANO II DEL VESCOVO DI IMOLA

 

Adista notizie n° 89

 

In Emilia Romagna il 40.mo anniversario dalla conclusione del Concilio Vaticano II è passato praticamente sotto silenzio. Le autorità episcopali della regione, infatti, hanno evitato di promuovere iniziative commemorative, confermando così l'attuale orientamento delle gerarchie ecclesiastiche di ridimensionare la portata storica dell'ultima assise conciliare. Tuttavia a Imola, il 7 dicembre, su iniziativa dell'Azione cattolica cittadina, è stata celebrata una veglia solenne a memoria del Concilio. Hanno presieduto la funzione mons. Tommaso Ghirelli, vescovo di Imola e mons. Santo Bartolomeo Quadri, arcivescovo emerito di Modena e già Padre conciliare. A proposito della celebrazione di questa ricorrenza, il giorno precedente, sulle pagine del "Corriere di Imola", era apparso un articolo, firmato dallo stesso mons. Ghirelli, nel quale il vescovo, che intendeva ricordare il significato del Vaticano II nella vita della Chiesa, ha però utilizzato gran parte del suo intervento per sferrare un duro attacco alla produzione storiografica sul Concilio di Giuseppe Alberigo e Alberto Melloni: "È tuttora in atto in Italia - ha scritto Ghirelli - un tentativo di rilettura ideologica, a partire dalla biografia di Giovanni XXIII e in particolare dalla ricostruzione dell'impostazione da lui data al Concilio, sia nella fase preparatoria, sia nel corso della prima sessione. Si cerca di mettere in cattiva luce

la Gerarchia cattolica, mostrandola divisa in se stessa. La ricaduta politica di tale operazione è intuibile. Essa fa capo a studiosi di storia della Chiesa come Giuseppe Alberigo e ad opinionisti come Alberto Melloni. Non occorre dire che simili operazioni si condannano da sole, perché seguono il metodo della ‘storia a tesi'".

Melloni – che è ordinario di Storia contemporanea nell'Università di Modena-Reggio Emilia, e non solo semplice opinionista del Corriere della Sera come sembra intendere il vescovo – in una lettera di precisazione al direttore del giornale ha ricordato che i cinque corposi volumi della Storia del Vaticano II (edita in Italia da "Il Mulino") sono frutto del lavoro comune di 39 studiosi di diversi Paesi, tra i quali docenti in università cattoliche, e anche pontificie: "Il lavoro storico di questi studiosi - scrive Melloni - è fatto di ricerca faticosa, di punti di vista non coordinati e contigui, e trova critici (come mons. Ghirelli), ma anche estimatori: proprio in questi giorni il cardinale croato Josip Bozanic aveva invitato il prof. Alberigo a tenere la commemorazione del Concilio nella diocesi di Zagabria; e il card. Karl Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha elogiato il lavoro fatto dall'Istituto per le scienze religiose di Bologna, nel quale sia Alberigo che il sottoscritto prestiamo opera".
All'attacco sferrato dal vescovo di Imola contro gli autori della monumentale "Storia del Concilio Vaticano II", ha risposto anche il Coordinamento regionale dell'Emilia Romagna di "Noi Siamo Chiesa", con un comunicato stampa pubblicato dal "Corriere di Imola" l'8 dicembre. Parlare di "rilettura ideologica del Concilio Vaticano II" e di tentativo di "mettere in cattiva luce

la Gerarchia" appare, scrive il movimento ecclesiale, "ingeneroso e malizioso nei confronti di due storici d'alto livello, che hanno realizzato l'opera attingendo ad una sconfinata documentazione. Gli autori hanno messo così in luce l'effettiva dialettica conciliare fra la maggioranza dei Padri aperta al cambiamento ed una minoranza curiale già all'origine contraria alla celebrazione dell'assise e poi riottosa a qualsiasi forma di cambiamento paventata nella Basilica di San Pietro. Lo scontro interno alla compagine vescovile, lo dicono i documenti e le testimonianze dei Padri, c'è stato eccome. Negare tutto ciò significa sostenere l'operazione di buona parte dell'attuale Curia vaticana impegnata a rileggere in chiave conservatrice un Concilio, certamente frutto di numerosi compromessi, ma parimenti ricco di molteplici segnali di discontinuità rispetto alla Chiesa pre-conciliare". (giovanni panettiere)

 

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Martedì, 28 Febbraio 2006 11:18

EGITTO INQUIETO

EGITTO INQUIETO

 
di JEROME ANCIBERRO

 

NEL PAESE NORDAFRICANO, È DIFFICILE

LA CONVIVENZA DEI CRISTIANI COPTI CON

LA MAGGIORANZA MUSULMANA.
QUESTO ARTICOLO, FIRMATO DA JÉRÔME ANCIBERRO,

È STATO PUBBLICATO

SUL SETTIMANALE FRANCESE “TÉMOIGNAGE CHRÉTIEN”.

TITOLO ORIGINALE: “COPTES.

QUEL AVENIR

POUR

LES CHRÉTIENS D’EGYPTE?”

Quattro fedeli musulmani sono stati trucidati e una sessantina feriti il 21 ottobre ad Alessandria d’Egitto in occasione di scontri tra la polizia e manifestanti che protestavano contro la diffusione di un dvd giudicato ostile all’islam. La manifestazione si è formata dopo la preghiera musulmana del venerdì intorno alla chiesa di Saint Georges sulla quale sono stati sparati dei proiettili. È in questa chiesa che due anni fa è stata data l’unica rappresentazione di una pièce teatrale, riprodotta oggi sul suddetto dvd, che racconta la storia di un giovane convertito all’islam e incitato, da un correligionario, ad uccidere dei preti. Le autorità e alcuni responsabili musulmani negano di avere una responsabilità negli scontri. Le tensioni erano percepibili ad Alessandria già alcuni giorni prima di questi avvenimenti.



L’analisi

Alcuni trafiletti informano di fatti diversi più o meno violenti, di manifestazioni o di moti legati alle tensioni tra i cristiani d’Egitto e una parte della popolazione musulmana. Ci si può ricordare anche dei massacri del 1981 a Zawiya-al-Hamra, nella periferia del Cairo, perpetrati da gruppi di estremisti islamici, o dei moti di al-Kocheh nel gennaio 2000 durante i quali 25 persone, per lo più copte, avevano trovato la morte in vere battaglie combattute tra comunità. In modo più episodico, voci di rapimenti di donne cristiane convertite con la forza all’islam sono sufficientemente prese sul serio dai cristiani del popolo per dar luogo a tensioni talvolta violente. Nel dicembre 2004, il capo spirituale della Chiesa copta ortodossa, il papa Chenouda III, si era d’altronde ritirato in un monastero in segno di protesta contro l’arresto di diverse decine di manifestanti cristiani che si indignavano per la conversione “forzata” all’islam della moglie di un prelato cristiano… Si diffondono anche voci inverse (di rapimenti di giovani donne musulmane da parte di copti). I copti, - la parola significa “cristiano d’Egitto” e viene dal greco Aiguptios, “egiziano” – sarebbero attualmente tra i sei e i dieci milioni, su una popolazione totale di 72 milioni di egiziani. Nulla, se non la religione, li distingue dai loro compatrioti musulmani. La maggior parte di essi, circa il 90%, è legata alla Chiesa copta ortodossa, una Chiesa cristiana autocefala (indipendente) attualmente guidata dal papa Chenouda III, “patriarca di Alessandria”. La dottrina della Chiesa copta ortodossa è formalmente monofisita, cioè non riconosce che una sola natura (divina) nella persona di Cristo. Esiste anche una Chiesa copta cattolica legata a Roma, che raggruppa circa 200.000 fedeli, che ha anch’essa alla guida un “patriarca d’Alessandria” (Stephanos II Ghattas) così come una Chiesa copta protestante evangelica che rivendica circa 100.000 fedeli.

Riconosciuti dalle autorità e largamente integrati nel tessuto sociale ed economico del Paese, i copti restano sotto-rappresentati in politica, anche se alcune prestigiose personalità, come l’ex segretario generale dell’Onu, Boutros Boutros Ghali, provengono da questa comunità. Oggi sono soltanto tre dei 444 deputati del Parlamento egiziano. E nulla fa pensare che le prossime elezioni legislative faranno cambiare le cose (le elezioni si svolgono in tre turni dal 9 novembre al 7 dicembre, ndt). Di fronte alle discriminazioni di fatto, che rendono per esempio molto difficile l’accesso a certi impieghi o a posizioni di responsabilità, sottoposti alle stesse difficoltà economiche dei loro compatrioti musulmani, molti copti hanno scelto l’emigrazione.

Alcuni osservatori pensano che i recenti gesti simbolici del governo egiziano nei confronti dei copti (ritrasmissione televisiva delle messe di Natale e di Pasqua, creazione di un giorno festivo ufficiale per Natale), sarebbero dovuti a delle pressioni del governo statunitense, esso stesso influenzato dalla lobby copta della diaspora. Ma in un contesto nazionale segnato da tensioni economiche e politiche in cui l’affermazione intransigente dell’identità musulmana può talvolta fungere da valvola a tutte le frustrazioni, i copti, che vogliono coltivare una identità religiosa marcata, costituiscono un bersaglio visibile. Una questione di tutt’altra importanza rispetto alla semplice diffusione di un dvd…

 

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SANT'ANGELO A SCALA: PROVE DI PACE TRA IL NUOVO VESCOVO E

LA COMUNITÀ DI DON VITALIANO

 

Adista Notizie n° 67

 

Il passaggio alla diocesi di Avellino della parrocchia di Sant'Angelo a Scala, fino al maggio scorso sotto la giurisdizione dell'abbazia di Montevergine (v. Adista n. 45/05), sembra aver portato novità importanti per gli abitanti del paese dove, per 10 anni (fino alla fine del 2002), è stato parroco don Vitaliano della Sala.
Contro la rimozione di don Vitaliano e per il rifiuto dell'abate di Montevergine, mons. Giovanni Tarcisio Nazzaro, di ascoltare le loro ragioni, i santangiolini, avevano intrapreso, da ormai tre anni, una radicale (e originale) forma di protesta: contro il vescovo, ma anche per denunciare l'atteggiamento ostile tenuto dal parroco succeduto a don Vitaliano, don Luciano Porri, avevano smesso non solo di frequentare la parrocchia, ma addirittura di entrare in chiesa, preferendo recarsi a messa nelle parrocchie dei paesi vicini. Una forma di boicottaggio che aveva contrapposto la parrocchia di Sant'Angelo alla Curia diocesana in maniera che sembrava insanabile. Oggi, però, grazie alla mano tesa dal nuovo vescovo, il conflitto sembra sulla via della ricomposizione.

Un primo, importante segnale, in questo senso è arrivato il 23 settembre scorso: i cittadini di sant'Angelo sono tornati a sedersi in chiesa per assistere ad una celebrazione del vescovo di Avellino, don Francesco Marino, arrivato a Sant'Angelo per presentare alla comunità il successore di don Luciano Porri (che ha improvvisamente abbandonato la parrocchia e si trova ora in Svizzera), don Antonio De Feo, che è anche parroco in un paese vicino a Sant'Angelo, Capriglia Irpina.

Prima della messa, mons. Marino, insieme a don Antonio e a don Vitaliano, si è recato nella chiesa del Rosario, sede dell'associazione 'O Ruofolo, l'associazione fondata dai dei fedeli "ribelli" all'abate Nazzaro che in questi anni ha promosso e sostenuto le iniziative a favore del parroco rimosso. Per mons. Marino l'accoglienza è stata calorosissima: in onore del vescovo era stata infatti preparata una festa con tanto di banda musicale, striscioni di benvenuto e fuochi d'artificio. "Continuate ad avere fede in Dio - ha detto il Vescovo - e accogliete il nuovo amministratore parrocchiale. Cerchiamo l'unità di tutta la comunità con l'aiuto di Dio". Il vescovo ha quindi voluto sentire dagli abitanti di Sant'Angelo le ragioni del forte dissenso che in questi tre anni li aveva contrapposti all'abate di Montevergine, invitando poi tutti ad abbandonare i vecchi rancori per aprire una nuova fase nei rapporti con

la Curia. Mons. Marino si è poi spostato nella chiesa di San Giacomo dove ha celebrato messa insieme al nuovo parroco, don Antonio De Feo, ed al vecchio, don Vitaliano Della Sala. Insieme, tutti e tre sull'altare, a sigillare l'avvenuta riconciliazione.
"Abbiamo deciso di porgere la mano - ha detto Massimo Zaccaria dell'associazione 'O Ruofolo - soprattutto perché finalmente siamo stati ascoltati. Abbiamo avviato un dialogo con i vertici della Chiesa e questo lascia ben sperare per il futuro".

 

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Martedì, 25 Ottobre 2005 17:10

LA GLOBALIZZAZIONE DELLA SCHIAVITU'

LA GLOBALIZZAZIONE DELLA SCHIAVITU'
di Sandro Calvani, Serena Buccini, Adriana Ruiz Restrepo 

 

La schiavitù, piaga e malattia mentale dell'umanità, ha accompagnato il genere umano per secoli. Oggi nell'immaginario collettivo la schiavitù è qualcosa di esotico e comunque appartenente al passato.Le cronache moderne dicono invece che ben poco è cambiato.

La storia di un neonato venduto agli inizi di luglio 2005 a Napoli per 300 euro, dimostra che non sono cambiati neanche i prezzi di mercato e che fanno poca differenza anche le distanze geografiche e le diversità culturali. Infatti 300 euro è anche il prezzo di una bambina di dieci anni da avviare al giro della prostituzione in Myanmar e in Thailandia.

La data ufficia!e di abolizione della schiavitù, quella che si celebra tradizionalmente, è il 1848.

In realtà, la tratta di persone, intesa come possesso e commercializzazione di esseri umani, è cambiata molto lungo i secoli, ma in pratica non è mai finita.



[…]



I nuovi schiavi


Oggi è possibile identificare due modelli di tratta di persone. Il primo, il traffico a scopo di lucro, consiste nel contrabbando di migranti clandestini; ovvero nel facilitare l'ingresso illegale, a volte anche il soggiorno, di soggetti che decidono di emigrare, spesso accettando di pagare somme ingenti in cambio di un servizio di trasporto in condizioni quasi sempre disumane e degradanti.

L'altro tipo di traffico di persone, propriamente detto, riguarda lavoratori spesso ignari, soprattutto donne e minori, a fini di sfruttamento sessuale o di altra indole. Questa forma di traffico implica generalmente la presenza di un'organizzazione capillare che attraverso l'uso di mezzi illeciti (come la violenza, la truffa, la minaccia), riduce le sue vittime in condizioni analoghe alla schiavitù e trae grossi profitti dal loro sfruttamento. La struttura criminale serve essenzialmente a organizzare il trasferimento delle vittime dal loro paese d'origine ad un altro, prevedendo dunque una fase di reclutamento, una di trasporto, e una finale di collocamento e di controllo delle attività delle persone ridotte in condizioni di schiavitù.

Le nuove schiavitù assumono forme distinte, adatte alle nuove domande del mercato. In pratica i nuovi schiavi sono impiegati nella mendicità organizzata, nel sesso a pagamento, nel matrimonio servile, nel lavoro forzato, nella servitù domestica, nell'adozione illegale e nel traffico di organi.



[…]



La distruzione della dignità


Gli esperti che hanno studiato le centinaia di espressioni locali del traffico di persone hanno identificato alcune forme di impatto diretto molto dannoso per lo sviluppo umano.

La violazione dei diritti umani fondamentali distrugge la dignità della persona e dimostra a chi vive in quell'ambiente che in realtà anche la persona umana può essere trattata come una merce.

Il traffico di persone distrugge il tessuto sociale di una comunità. Le vittime perdono la protezione delle reti sociali tradizionali, della famiglia e non sanno a chi rivolgersi per riprendere in mano il proprio futuro. li trauma che ne deriva può essere irreversibile e a vita.

La tratta priva i paesi in via di sviluppo di risorse umane qualificate, producendo effetti negativi sul mercato del lavoro. La produttività futura del paese subisce l'effetto negativo della tratta che lascia gli anziani senza assistenza e i bambini senza genitori che si occupino della loro crescita ed educazione. Insomma, quando una percentuale importante dei lavoratori sono vittime della tratta, lo sviluppo del loro paese subisce gravi ritardi.

Ci sono anche costi pesanti nel campo della salute pubblica. Oltre alle malattie sessualmente trasmissibili, soprattutto l'Aids, si sono osservate insonnia, depressione, ansietà, sindromi da stress post-traumatico, tossico dipendenze, etc... Le condizioni di vita in ambienti insalubri e sovraffollati favoriscono l'insorgere di malattie dovute a scarsa igiene, come scabbia, tubercolosi e malattie infettive.

I conflitti armati interni, le guerre, i disastri naturali possono offrire condizioni favorevoli per un'epidemia di traffici di persone. Ma possono anche essere l'effetto indiretto della perdita di governabilità in paesi dove la tratta di persone è cresciuta a livelli preoccupanti. Stati falliti e traffici di persone sono spesso alleati nel causare una pessima condizione di sicurezza umana.



[…]



Come fermare la schiavitù globale?


Dal 1948 al 2000, nonostante gli sforzi compiuti, il fenomeno, non solo non è diminuito, ma anzi è cresciuto, a causa del sempre maggiore coinvolgimento delle organizzazioni criminali, attratte dalla prospettiva di ingenti guadagni. li carattere internazionale, oggi davvero globale, del traffico di persone contribuisce ad ostacolare un'efficace repressione di questi reati.

Insoddisfatta dell'inefficacia dei trattati pre-esistenti, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite decise nel 1998 di incaricare un Comitato ad hoc che elaborasse una convenzione contro il crimine organizzato transnazionale e degli strumenti addizionali più efficaci e stringenti relativi al traffico di donne e bambini ed a quello di migranti.

Grazie ad una forte volontà politica internazionale la nuova Convenzione globale contro il crimine organizzato internazionale ha trovato un rapido consenso. Chiamata anche Convenzione di Palermo - dove è entrata in vigore il 25 dicembre 2003 - ha ottenuto 117 stati firmatari, di cui 85 l'hanno già ratificata. La ratifica italiana si trova attualmente in discussione presso il parlamento.

Il Protocollo contro il traffico di persone della Convenzione di Palermo (vedi box) afferma la necessità di un approccio ampio e internazionale nei paesi di origine, transito e destinazione che includa misure di prevenzione, di sanzione e soprattutto di protezione delle vittime con particolare attenzione ai diritti umani riconosciuti loro internazionalmente.

Il protocollo chiarisce cosa si intende per "tratta di persone" nel nuovo secolo: il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'ospitare o l'accogliere individui, ricorrendo alla minaccia o all'uso della forza o ad altre forme di costrizione, al sequestro, alla frode, all'inganno, all'abuso di potere o di una situazione di vulnerabilità o all'offerta di denaro per ottenere il consenso di una persona che abbia autorità su un'altra, con fini di sfruttamento.

Nello specifico, si proibiscono lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di speculazione sempre in campo sessuale, i lavori o servizi forzati, la schiavitù o le pratiche analoghe, l'asservimento e l'espianto di organi. Si specifica enfaticamente che il consenso prestato da una delle vittime per una delle attività menzionate non verrà considerato rilevante quando sia stato carpito con uno dei mezzi sopra indicati.

I minori di 18 anni coinvolti nel traffico saranno sempre considerati come vittime.

Nello specificare le forme essenziali di protezione delle vittime il protocollo dispone che siano loro offerte informazioni sui procedimenti legali pertinenti, assistenza mirata a consentire che le loro opinioni e preoccupazioni siano esaminate durante le varie tappe giudiziali.

Sono previste anche misure per il recupero fisico, psicologico e sociale, tra cui un alloggio adeguato, la consulenza legale sui propri diritti, l'assistenza medica, psicologica e materiale, opportunità d'impiego, educative e di formazione e la possibilità di ricevere un indennizzo per i danni subiti. Nella valutazione concernente le misure applicabili nel caso concreto, si deve tener conto dell’età, del sesso e delle necessità speciali delle vittime, con particolare attenzione ai minori.

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 “MA IL VENTO CONTINUA…”. LETTERA CIRCOLARE DI MONS. PEDRO CASALDALIGA

Adista documenti N°22 del 19 marzo 2005

 

SÃO FELIX DO ARAGUAIA Un "vecchio vescovo che continua a sognare": così si definisce dom Pedro Casaldáliga, nella lettera scritta a conclusione - felice - della vicenda della sua successione episcopale, per ringraziare della "valanga" di messaggi di solidarietà, ricevuti insieme a "molte domande e molti sfoghi" sui mali del mondo e della Chiesa. Mali che tuttavia non cancellano la speranza: cadono ripetutamente, è vero, i mulini a vento, ma non cade il vento. Di seguito la lettera, in una nostra traduzione dal portoghese.

Mi è arrivata un'autentica valanga di messaggi di solidarietà, preoccupati, alcuni anche indignati e, infine, molti esultanti. Mai come in questo caso dovrei rispondere personalmente a tutti, messaggio per messaggio, cuore a cuore. Sono anche arrivate, in questa vigilia di attesa, molte domande, molti sfoghi: su questo nostro mondo neolibe-rista, sulla nostra santa e problematica Chiesa. Giro doman-de e ansie allo Spirito di Colui che è la "nostra Pace". E credenti e agnostici, sereni e ribelli, donne e uomini, si considerino "risposti" con affetto immenso. Così, tanto facilmente, i vescovi pensionati sbrigano le faccende…!
Abbiamo ricevuto tanta solidarietà nei confronti della rivendicazione del popolo Xavante, bloccata nelle mani di una giustizia lentissima. L'altra occasione di solidarietà, verso la nostra piccola Chiesa di São Felix do Araguaia, è stata logicamente la successione episcopale. Non voglio entrare nei dettagli perché si è già scritto abbastanza su questo incidente ecclesiale. Vogliamo insistere sul fatto che il problema non riguardava un vescovo, una Chiesa. Il problema è di tutta

la Chiesa e per la nomina di tutti i vescovi, ed è una rivendicazione di maggiore corresponsabilità e collegialità. Per essere fedeli al Vangelo e per darne testimonianza al mondo. Per fortuna il nuovo vescovo di São Felix do Araguaia, frei Leonardo Ulrich Steiner, è un francescano vero, fraterno, dialogante, popolare. Ed il cammino continua. E anche io continuerò qui, sulla riva dell'Araguaia, accompagnando a distanza le lotte dei nostri popoli e lavorando, nella speranza pasquale, al tramonto della vita.
L'impero vuole "un mondo senza tirannia". Anche noi, soprattutto senza la tirannia dell'impero. L'impero vuole "la diffusione della libertà". Noi rispondiamo indignati che questa libertà è soprattutto per il mercato e per alcuni signori Paesi.

C'è tirannia, troppa, a tutti i livelli della vita sociale, economica, politica, culturale. Secondo il rapporto annuale dell'Onu, c'è ancora 1 miliardo e 100 milioni di persone che sopravvivono con meno di 1 dollaro al giorno. Continuano a morire di fame ogni giorno 30mila bambini poveri. Negli ultimi 40 anni il Pil mondiale è raddoppiato mentre si è triplicata la disuguaglianza economica. 900 milioni di persone - la settima parte della popolazione mondiale - soffrono di discriminazione etnica, sociale o religiosa. 170 milioni di persone vivono fluttuando nella migrazione. Il 44% della popolazione latino-americana vive in quartieri miserabili. L'Africa continua a sanguinare, nell'indifferenza e nello sfruttamento. E ci sono Paesi nel nostro mondo segnati nelle "liste di proscrizione", magari per una possibile guerra preventiva…
Però si "sta ben vincendo il male" nel nostro mondo ferito. Abbiamo celebrato di nuovo il Forum Sociale Mondiale; Via Campesina cresce e lotta; abbiamo smascherato e in parte fermato l'Alca; Israele e il popolo palestinese dialogano di passi concreti; la sinistra alza la testa in vari Paesi della nostra America e dell'Europa e cresce "il malessere (e la protesta) per la democrazia neoliberista". Se partiti e sindacati si demoralizzano sempre più, cresce però il movimento popolare con le sue manifestazioni su scala nazionale, continentale e mondiale. Ha preso avvio il Protocollo di Kyoto. E siamo sempre di più quelli che gridiamo, con Ignacio Ramonet, "sì alla solidarietà fra i 6 miliardi di abitanti del nostro pianeta; no al G-8 e al Consenso di Washington; no al dominio del 'poker del male' (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione per

la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, Organizzazione Mondiale del Commercio); no all'egemonia militare di un'unica superpotenza, no alle guerre di invasione e no al terrorismo…". E riassume Ramonet, e noi con lui, che "resistere è dire no, ed è anche dire sì ad un altro mondo possibile e sognarlo e contribuire a costruirlo".

Anche un'altra Chiesa è possibile e in molte parti e in molti modi la stiamo edificando: nelle comunità di preghiera, di fraternità, di impegno; nell'XI Incontro intraecclesiale delle Comunità ecclesiali di base (Ceb's) che si realizzerà in Brasile e nel rianimarsi delle Ceb's in Brasile, nel Continente, nel mondo; nel Forum mondiale di Teologia e di Liberazione celebrato insieme al Forum sociale mondiale; nella celebrazione del giubileo del martirio del nostro san Romero e della memoria militante di tutti i nostri martiri; nell'op-zione per i poveri e per le loro cause; nella denuncia profetica dei "genocidi sociali" e dell'iniquità dell'impero e delle sue oligarchie; in un ecumenismo reale e quotidiano; nel dialogo interreligioso; nel sostegno al processo conciliare come rivendicazione evangelica crescente e migliore commemorazione dei 40 anni dal Vaticano II; vivendo la nostra fede in modo adulto e corresponsabile per "la vita del mondo".

E qui ci va una confidenza ecclesiale, da vecchio vescovo che continua a sognare. Una volta, in occasione di un problema di salute di Giovanni Paolo II, si è parlato e scritto molto sul profilo del prossimo papa. Penso che si dovrebbe parlare molto di più - parlare e fare - del profilo del nuovo papato, di una ristrutturazione radicale di quello che chiamiamo

la Sede Apostolica, di un nuovo modo di vivere il ministero di Pietro: sensibile, come il cuore di Gesù, al clamore della povertà, della sofferenza, della deriva; senza Stato pontificio e con una curia leggera e di servizio; profeticamente spoglio di potere e di fasti; appassionato di ecumenismo e di dialogo interreligioso; deassolutizzato e collegiale; decentralizzatore e veramente "cattolico" nel pluralismo culturale e ministeriale; mediazione religiosa - in collaborazione con altre mediazioni, religiose e no - al servizio della pace, della giustizia, della vita.

Van Gogh, malgrado avesse visto cadere nella sua vita tanti mulini, reali o simbolici, scriveva a suo fratello Theo: "ma il vento continua". Dopo aver visto, anche noi, cadere tanti mulini, nella società e nella Chiesa, continuiamo a proclamare - nella speranza e nell'impegno - che "il vento continua"…

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L'ETERNO CONFLITTO TRA POLITICA E PROFEZIA. UN CONVEGNO A ROMA

 

 

Adista –notizie- n°89 del 25 dicembre 2004

 

 

ROMA. "Quello odierno non è un tempo di profeti. Nessuno sta in vedetta per scrutare segni dei tempi, ci si lascia distrarre da segnali di avvenimenti". In queste parole di Mario Tronti, filosofo della politica, l'invito a riflettere sulla profezia come bisogno, come dover essere della politica. Un convegno su "Politica e profezia", organizzato il 3 dicembre dalla Presidenza del Consiglio provinciale di Roma, ha voluto offrire, nelle parole del presidente Adriano Labbucci, un luogo di confronto e di dibattito "non-neutro" su questi temi, prendendo spunto dagli interrogativi posti da Massimo Cacciari nel suo libro "Della cosa ultima" (Adelphi 2004). Secondo Cacciari, il rapporto tra profezia e politica è ed è sempre stato agonico, conflittuale, perché la prima "denuncia come idolatrica ogni costruzione umana del futuro, ogni immagine offerta sulla terra della Gerusalemme celeste". Un contrasto che si sta però perdendo, a causa della crisi odierna dello spirito profetico, che lascia il 'politico' solo sulla scena del mondo ad amministrare e a rassicurare l'uomo. Si tratta, secondo Cacciari, di una crisi inevitabile, legata alla pienezza del mondo e della storia annunciate da Cristo: inevitabilmente esaurita, nelle sue parole, la riserva escatologica contenuta nel discorso profetico.
In parziale disaccordo Mario Tronti, per cui secolarizzazione e spoliticizzazione sono invece processi che procedono di pari passo, e che parallelamente devono essere pensati. Se si deve parlare di una 'fine' della storia, si tratta di una fine "provvisoria": il vero problema è leggere i segni per capire dove e in che modo essa ripartirà.
Da parte ecclesiale, si è invece sottolineata la vivacità e la necessità della profezia e dello spirito profetico nel mondo di oggi. Don Tonio Dell'Olio, coordinatore nazionale di Pax Christi, ha ricordato il carattere eminentemente "politico" dei profeti biblici e dei loro messaggi. "La profezia", ha aggiunto, "non è una dottrina quanto uno stile, un carattere" profetico che si esprime in alcuni atteggiamenti chiave: l'indignazione, la sobrietà della vita, la difesa dell'orfano, della vedova, dello straniero, l'amore della giustizia, la denuncia dell'ipocrisia, l'annuncio della pace. "I valori, la fede, la profezia sono quella luce che permette di distinguere in controluce le banconote vere da quelle false, nel corso della politica". Banconote false, ha ricordato Dell'Olio, come le parole dell'attuale ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, con la sua promessa, fatta più di un anno fa e mai concretizzata, di azioni legislative per assicurare agli immigrati il diritto di voto.
Rispondendo ad alcuni interrogativi posti da Tronti, padre Carlo Molari, teologo, ha affermato che la profezia tiene in guardia dal "rischio costante che la fede scada in una pratica, in una legge morale, in mera religione". Il ruolo profetico, oggi, non è più appannaggio di singoli, quanto di comunità, di realtà collettive. Le fedi, ha aggiunto, tutte le fedi, ciascuna nella sua specificità, creano "spazi profetici" importanti all'interno della politica, senza tuttavia poter offrire a questa "soluzioni miracolose".

 

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Lunedì, 14 Febbraio 2005 21:12

SESSUALITÀ ED EUCARISTIA

Seconda parte

SESSUALITÀ ED EUCARISTIA: IL DONO DEL CORPO
Adista –documenti- n°90 del 25 dicembre 2004

 

Castità è accogliere il principio di realtà
La castità non è innanzitutto la soppressione del desiderio, almeno secondo la tradizione di san Tommaso d'Aquino. Il desiderio e le passioni contengono verità profonde su chi siamo e su cosa abbiamo bisogno. Il semplice sopprimerli farà di noi esseri morti spiritualmente o persone che un giorno si autodistruggeranno. Dobbiamo educare i nostri desideri, aprire gli occhi su quello che veramente chiedono, liberarli dai piccoli piaceri. Abbiamo bisogno di desiderare più profondamente e con maggiore chiarezza.
San Tommaso ha scritto qualcosa che viene facilmente fraintesa. Diceva che la castità è vivere secondo l'ordine della ragione (II,II,151.1). Suona molto freddo e cerebrale, come se essere casto fosse una questione di potere mentale. Ma per Tommaso ratio significa vivere nel mondo reale, "in conformità con la verità delle cose reali" (Josef Pieper, The Four Cardinal Virtues, Notre Dame, 1966, p. 156). Cioè vivere nella realtà di quello che sono io e di quello che sono le persone che amo realmente. La passione e il desiderio possono portarci a vivere nella fantasia. La castità ci fa scendere dalle nuvole, facendoci vedere le cose come sono. Per i religiosi, o a volte per gli scapoli, ci può essere la tentazione di rifugiarsi nella fantasia perniciosa che siamo eteree figure angeliche, che non hanno nulla a che vedere col sesso. Questo può sembrare castità, ma è una perversione della stessa. Ciò mi ricorda uno dei miei fratelli che andò a dire messa in un convento. La sorella che gli aprì la porta lo guardò e disse: "Ah, è lei padre, stavo aspettando un uomo".
È difficile immaginare una celebrazione dell'amore più realista dell'Ultima Cena. Non ha niente di romantico. Gesù dice ai suoi discepoli semplicemente e liberamente che è arrivata la fine, che uno di loro lo ha tradito, che Pietro lo rinnegherà, che gli altri fuggiranno. Non è una scena da lume di candela in un ristorante, questo è realismo portato all'estremo. Un amore eucaristico ci fa scontrare in pieno con la complessità dell'amore, con i suoi successi e la sua vittoria finale.
Quali sono le fantasie nelle quali può farci cadere il desiderio? Due, direi. Una è la tentazione di pensare che l'altra persona sia tutto, tutto quello che cerchiamo, la soluzione a tutti i nostri aneliti. Questo è un capriccio passeggero. L'altra è non vedere l'umanità dell'altra persona, per farne semplicemente carne da consumo. Questo è lussuria. Queste due illusioni non sono fra loro tanto diverse come può sembrare a prima vista. L'una è il riflesso esatto dell'altra.
Suppongo che tutti noi abbiamo conosciuto momenti di totale incapricciamento, quando qualcuno diventa l'oggetto di tutti i nostri desideri e il simbolo di tutto quello cui abbiamo anelato, la risposta a tutte le nostre necessità. Se non arriviamo ad essere uno con questa persona, allora la nostra vita non ha senso, è vuota. La persona amata giunge ad essere per noi la risposta a quel grande e profondo bisogno che scopriamo dentro di noi. Pensiamo a questa persona tutto il giorno.
Come diceva tanto bene Shakespeare: "Di giorno le mie membra e di notte la mia mente non trovano pace né per me né per te". O, per essere un poco più attuali, la faccia dell'amato è come lo screensaver del nostro computer. Nel momento in cui uno si prepara a pensare ad un'altra cosa, ce l'ha lì. È come una prigione, una schiavitù, ma una schiavitù che non vogliamo lasciare. Divinizziamo la persona amata e la mettiamo al posto di Dio. Certamente quello che stiamo adorando è una nostra proiezione. Forse ogni vero amore passa per questa fase ossessiva. L'unica cura per questo è vivere giorno per giorno con la persona amata e vedere che non è Dio, ma solamente suo figlio o sua figlia. L'amore comincia quando siamo guariti da questa illusione e ci troviamo faccia a faccia con la persona reale e non con la proiezione dei nostri desideri. (...).


Benedetta intimità!
Cosa cerchiamo in tutto questo? Cosa ci spinge ad incapricciarci? Posso parlare solo per me. Direi che quello che c'è sempre stato dietro le mie turbolenze emozionali è stato il desiderio di intimità. È l'anelito ad essere totalmente uno, di dissolvere i limiti fra se stessi e l'altra persona per perdersi nell'altro, per cercare la comunione pura e totale. Più che passione sessuale, credo che sia l'intimità che la maggioranza degli esseri umani cerca. Se viviamo attraversando crisi di affettività, credo che allora dobbiamo accettare il nostro bisogno di intimità
La nostra società è costruita intorno al mito dell'unione sessuale come culmine dell'intimità. Questo momento di tenerezza e di unione fisica totale è quello che ci porta all'intimità totale e alla comunione assoluta. Molta gente non ha questa intimità perché non vive una situazione matrimoniale, o perché si tratta di coppie non felici, o perché sono religiosi o sacerdoti. E possiamo sentirci esclusi ingiustamente da quella che è la nostra necessità più profonda. Ci sembra ingiusto! Come può escluderci Dio da questo desiderio profondo?
Credo che ogni essere umano, sposato o single, religioso o laico, deve accettare le limitazioni all'intimità che può conoscere al momento. Il sogno di comunione piena è un mito che porta alcuni religiosi a desiderare di essere sposati e molti sposati a desiderare di stare con una persona diversa. L'intimità vera e felice è possibile solo se ne accettiamo i limiti. Possiamo proiettare nelle coppie di sposati un'intimità totale e meravigliosa, che è impossibile, ma che è la proiezione di nostri sogni. Il poeta Rilke capì che non si può avere vera intimità all'interno di una coppia fino a quando non ci si rende conto che in qualche modo si rimane soli. Ogni essere umano conserva solitudine, uno spazio intorno che non può essere eliminato: "Un buon matrimonio è quello in cui ognuno dei due nomina l'altro guardiano della propria solitudine, e gli mostra fiducia, la più grande possibile… Una volta che si accetta che anche fra gli esseri umani più vicini continua ad esistere una distanza infinita, può crescere una forma meravigliosa di vivere uno a fianco all'altro se si riesce ad amare quella distanza che permette ad ognuno di vedere nella totalità il profilo dell'altro stagliato contro un ampio cielo" (John Mood Rilke on Love Other Difficulties, translations and Considerations of Rainer Maria Rilke, New York 1933 27ff.. quoted by Hederman op. cit. p. 81). (...).
Per gli sposati è possibile una meravigliosa intimità se, come dice Rilke, si accetta che siamo guardiani della solitudine dell'altra persona. E quelli di noi che sono single o celibi, possono anche scoprire un'intimità con gli altri profondamente bella. Intimità viene dal latino intimare, che significa stare in contatto con la parte più interna di un'altra persona. In quanto religioso, il mio voto di castità mi rende possibile essere incredibilmente intimo con altre persone. Il fatto di non avere intenzioni recondite, e il mio amore non dovrebbe essere divoratore o possessivo, fa sì che io possa avvicinarmi moltissimo al fondo della vita della gente.
La trappola opposta all'incapricciamento non è fare dell'altra persona Dio, ma renderla un semplice oggetto, qualcosa con cui soddisfare le necessità sessuali. La lussuria ci chiude gli occhi alla persona dell'altro, alla sua fragilità e alla sua bontà. San Tommaso dice, scrivendo sulla castità, che il leone vede il cacciatore come cibo, e la lussuria ci rende cacciatori, predatori che vedono qualcosa da divorare. Vogliamo semplicemente un poco di carne, qualcosa da poter divorare. Una volta di più la castità è vivere nel mondo reale. La castità ci apre gli occhi per vedere che quello che abbiamo davanti è sì un bel corpo, ma quel corpo è qualcuno. (...). Quello che spesso sono state attentamente pianificate.


La lussuria ha a che fare con il potere, più che col sesso
Si può avere l'impressione che la lussuria sia passione sessuale fuori controllo, desiderio sessuale selvaggio. Però Sant'Agostino, che comprese il sesso molto bene, credeva che la lussuria avesse a che vedere con il desiderio di dominare altre persone piuttosto che con il piacere sessuale. La lussuria è parte della libido dominandi, l'impulso di aumentare il nostro potere di controllo e convertirci in Dio. La lussuria ha più a che vedere con il potere che con il sesso. (...).Il primo passo per superare la lussuria non è sopprimere il desiderio, ma restaurarlo, liberarlo, scoprire che il desiderio è per una persona e non per un oggetto. Molti dei tristi scandali di abusi sessuali sui minori sono venuti da sacerdoti o religiosi che erano incapaci di confrontarsi in relazioni adulte con uguali. Potevano cercare solo relazioni in cui loro detenevano il potere e il controllo. Volevano rimanere invulnerabili. Nell'Ultima Cena Gesù prende il pane e lo dà ai discepoli dicendo: "questo è il mio corpo offerto per voi". Egli consegna se stesso. Invece di prendere il controllo su di loro, si consegna ai discepoli perché facciano di lui quello che vogliono. E noi sappiamo quello che ne faranno. È l'immensa vulnerabilità dell'amore vero.
La lussuria e il capriccio passeggero possono sembrare due cose molto differenti e tuttavia sono l'una il riflesso dell'altra. Nel capriccio uno converte l'altra persona in Dio, e nella lussuria uno in persona si fa Dio. (...).
Così la castità è vivere nel mondo reale, guardando all'altro come lui, o lei, e a me come io sono. Non siamo né esseri divini né semplici pezzi di carne. Entrambi siamo figli di Dio. Abbiamo la nostra storia. Abbiamo fatto voti e promesse. L'altro è impegnato in una coppia o con un coniuge. Noi come sacerdoti o religiosi siamo consegnati ai nostri ordini o diocesi. È così come ci troviamo, impegnati e legati ad altri impegni, che possiamo imparare ad amare con il cuore e gli occhi aperti.
Questo è duro perché viviamo nel mondo di internet della World Wide Web. È il mondo della realtà virtuale, dove possiamo vivere in mondi di fantasia come se fossero reali. Viviamo in una cultura in cui risulta difficile distinguere tra fantasia e realtà. Tutto è possibile nel mondo cibernetico. Per questo la castità è difficile. È il dolore di scoprire la realtà. Come possiamo rimettere i piedi per terra?


Tre passi per amare
Suggerirei tre passi. Dobbiamo imparare ad aprire gli occhi e a vedere i volti di quelli che ci stanno davanti. Con quale frequenza apriamo realmente gli occhi per guardare il volto delle persone e vederle per come sono? Brian Pierce, un domenicano degli Stati Uniti, sta per pubblicare un libro che paragona il pensiero di Meister Eckhart, il mistico domenicano del XIV secolo, con quello di Thich Nhat Hanh, un buddista del XX secolo. Per entrambi l'inizio della vita contemplativa è stare nel momento presente, quello che il buddista chiama "coscienza". È reale solo il momento presente. Sono vivo in questo momento, e pertanto è in questo momento che posso incontrarmi con Dio. Devo imparare la serenità di smetterla di essere inquieto per il passato e per il futuro. Ora, il momento presente, è quando comincia l'eternità. Eckhart chiede, "Cosa è oggi?". E lui risponde "eternità".
Nell'Ultima Cena Gesù afferrò il momento presente. Invece di inquietarsi per quello che aveva fatto Giuda, o perché i soldati si stavano avvicinando, egli visse il momento presente, prese il pane e lo spezzò e lo offrì ai discepoli dicendo, "questo è il mio corpo, offerto per voi". Ogni eucarestia ci immerge in questo presente eterno. È in questo momento che possiamo farci presenti all'altra persona, silenziosi e quieti in sua presenza. Ora è il momento in cui posso aprire gli occhi e guardarla. È perché sono tanto occupato correndo da tutte le parti, pensando a quello che succederà dopo, che può capitare che non veda il volto che ho di fronte, la sua bellezza e le sue ferite, le sue gioie e le sue pene. La castità, insomma, implica aprire gli occhi!
In secondo luogo, posso apprendere l'arte di star solo. Non posso star bene con la gente a meno che non sia capace di starci bene solo alcune volte. Se la solitudine mi fa paura, allora accoglierò altra gente non perché mi diletti in essa, ma come soluzione al mio problema. Vedrò la gente semplicemente come un modo per riempire il mio vuoto, la mia spaventosa solitudine. Pertanto non sarò capace di rallegrarmi con loro per il loro stesso bene. Perciò è quando uno sta con un'altra persona, che è veramente presente, e quando sta solo che s'impara ad amare la solitudine. Se non è così, quando uno sta con un'altra persona, si attaccherà a lei e la soffocherà!
Infine, ogni società vive delle sue storie. La nostra società ha le sue storie tipiche. Spesso sono storie romantiche. Il ragazzo conosce la ragazza (o a volte il ragazzo conosce il ragazzo), si innamorano e vivono felici per sempre. È una bella storia che capita di frequente. Però se pensiamo che è l'unica storia possibile vivremo con possibilità molto ridotte. La nostra immaginazione ha bisogno di essere alimentata con altre storie che ci parlino di modi di vivere e amare. Abbiamo bisogno di aprire ai giovani l'enorme diversità di forme nelle quali possiamo trovare significato e amore. Per questo erano tanto importanti le vite dei santi. Ci mostravano che c'erano diversi modi di amare eroicamente. Come persone sposate o singole, come religiosi o laici. Mi sono commosso molto per la biografia di Nelson Mandela, The long road to freedom. È un uomo che ha dato tutta la sua vita per la causa della giustizia e dell'abbattimento dell'apartheid, e questo ha significato che non ha avuto la parte di vita matrimoniale che anelava, visto che ha passato anni in carcere.
Così il primo passo della castità è scendere dalle nuvole. Molto rapidamente menzionerò altri due passi. Il secondo passo, in breve, è aprirci all'amore, perché non restino piccoli mondi su cui ripiegarsi. L'amore di Gesù si mostra a noi quando prende il pane e lo spezza perché possa essere condiviso. Quando scopriamo l'amore non dobbiamo conservarlo in un piccolo armadio privato per il nostro diletto personale, come una segreta bottiglia di whisky, salvaguardata dagli sconosciuti per nostro uso esclusivo. Dobbiamo condividere i nostri amori con i nostri amici e con coloro che amiamo. In questo modo l'amore particolare si espande e va incontro all'universalità.
Soprattutto è possibile allargare lo spazio perché Dio abiti in ogni amore. In ogni storia d'amore concreta può vivere il mistero totale dell'amore, che è Dio. Quando amiamo profondamente qualcuno, Dio sta già lì. Più che vedere i nostri amori in competizione con Dio, questi ci offrono luoghi in cui possiamo montare la sua tenda. Come Bede Jarret diceva a Hubert van Séller, "Se ritieni che l'unica cosa che puoi fare è ritirarti nel tuo guscio, non vedrai mai quanto Dio sia amoroso…. Devi amare P. e cercare Dio in P. … Goditi la sua amicizia, paga il prezzo del dolore che porta con sé, ricordalo nella tua Messa e lascia che Egli sia la terza persona in questo amore". (...). Se separiamo il nostro amore verso Dio dal nostro amore per le persone concrete, entrambi diventeranno aspri e malaticci. Questo è quello che significa avere una doppia vita.
Il terzo passo, forse il più difficile, è che il nostro amore deve liberare le persone. Ogni amore, che sia tra persone sposate o singole, deve essere liberante. L'amore tra marito e moglie deve aprire grandi spazi di libertà. E questo è tanto più vero per noi che siamo sacerdoti o religiosi. Dobbiamo amare perché gli altri siano liberi di amare gli altri più di noi stessi. Sant'Agostino chiama il vescovo amico dello sposo, amicus sponsi. In inglese diciamo "the best man" nel matrimonio. Il "best man" non cerca di far innamorare di lui la sposa, e neppure le damigelle d'onore! Sta ad indicare altro.

 

(...). Dio è sempre quello che ama di più di quello che è amato. Può darsi che sia proprio questa la nostra vocazione. Auden ha detto: "Se l'amore non può essere paritario, che sia io quello che ama di più" (Collected Shorter Poems 1927-1957 London 1966 p. 282).
Questo implica rifiutarsi di lasciare che le persone diventino troppo dipendenti da qualcuno e non occupare il posto centrale delle loro vite. Uno deve sempre cercare altre forme di sostegno alla gente, altri pilastri, affinché noi possiamo smettere di essere tanto importanti. Così la domanda che uno deve sempre farsi è: il mio amore sta rendendo questa persona più forte, più indipendente, o la sta rendendo più debole e dipendente da me?
Bene, mi avvio alla conclusione dopo un'ultima riflessione. Imparare ad amare è un compito difficile. Non sappiamo dove ci porterà. La nostra vita ne sarà stravolta. Capiterà che ci faremo male. Sarebbe più facile avere cuori di pietra che cuori di carne, però allora saremmo morti! Se siamo morti non possiamo parlare del Dio della vita. Però come trovare il coraggio di vivere passando per questa morte e resurrezione?
In ogni eucarestia ricordiamo che Gesù ha sparso il suo sangue per il perdono dei peccati. Questo non significa che doveva placare un Dio furioso. Né significa solamente che se sbagliamo possiamo andare a confessare i nostri peccati ed essere perdonati. Significa molto di più. Significa che, in ogni nostra battaglia per essere persone che amano e sono vive, Dio è con noi. La grazia di Dio è con noi nei momenti di caduta e di confusione, per metterci di nuovo in piedi. Nello stesso modo in cui con la domenica di Pasqua Dio ha convertito il venerdì santo in un giorno di benedizione, possiamo stare sicuri che tutti i nostri tentativi di amare daranno frutto. E perciò non abbiamo nulla da temere! Possiamo addentrarci in questa avventura, con fiducia e coraggio.

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IL VIAGGIO DI MARCO POLITI TRA I CATTOLICI D'ITALIA: UN "MILIONE" DI BEI VOLTI E QUALCHE STRANA DIMENTICANZA

 

Adista –notizie- n°1 dell’ 8 gennaio 2005

 

 

ROMA. Foto di gruppo di una Chiesa,

la Chiesa italiana: forse così si potrebbe sintetizzare Il ritorno di Dio. Viaggio tra i cattolici d'Italia (Mondadori, Milano 2004, p. 456, euro 20), libro in cui Marco Politi, vaticanista de

la Repubblica, cerca appunto di descrivere - con una serie di interviste a personaggi noti e meno noti del mondo cattolico del nostro Paese - cosa fanno, come vivono, come valutano i problemi etico-sociali incombenti i fedeli italiani legati alla Chiesa cattolica romana. Inevitabilmente, nella foto di gruppo di una famiglia tanto numerosa, qualcuno riconoscerà benissimo l'Italia che conosce, qualche altro scoprirà personalità a lui sconosciute, e qualche altro invece noterà assenze problematiche che rendono meno completo il quadro.

 

"Dio sembrava uscito dal Novecento - scrive Politi aprendo il suo lavoro - e invece è tornato, imprevedibile e irruente. Nelle molteplici forme di una presenza religiosa che convive con l'erosione del sacro e il tramonto di millenarie certezze sul 'divino'. Il cattolicesimo rivela nella società italiana una vitalità prorompente di esperienze. Difficile è spesso coglierle perché lo slancio di fede scorre in tanti rivoli, germoglia in nicchie ignorate, assume facce inconsuete. Mentre l'appartenenza religiosa si è fatta variegata e ondivaga, in dissonanza con l'ossequio formale di cui spesso fa mostra il ceto politico. Questo libro non è un saggio. È nato dalla curiosità del viaggiatore, andando alla scoperta del cattolicesimo vissuto nell'Italia di oggi. Come tutti i cammini è pieno di sorprese, ma niente affatto esaustivo".

 

Da parte sua, il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari nella prefazione sottolinea in particolare: "Sapevo da tempo che l'universo femminile all'interno della Chiesa - non solo quella italiana ma dell'intera cattolicità - era il più ribollente e il più rinnovatore, tuttavia il resoconto che Politi ne fornisce, ponendo in primo piano le esperienze di alcuni personaggi femminili da lui incontrati e fatti parlare in presa diretta, è sconvolgente". E il cardinale Silvano Piovanelli, ex arcivescovo di Firenze, in analoga prefazione nota: "Mi auguro che questo libro aiuti molti a considerare con più attenzione il mistero del cristianesimo: 'Nessuna religione', diceva Pascal, 'corrisponde tanto alla vera natura dell'uomo come la religione di Cristo, sebbene nessuna sembri esserle così contraria'". Partendo dal contenuto del libro, varie considerazioni sul rapporto Italia-cattolicesimo erano state espresse anche dal senatore Giulio Andreotti, dal direttore di Repubblica Ezio Mauro, dalla scrittrice Susanna Tamaro e dal card. Achille Silvestrini alla presentazione del volume l'8 novembre scorso a Roma (v. Adista, n. 83/04).

 

Nel suo "viaggio", il giornalista ha incontrato, tra gli altri: mons. Baldassarre Cuomo, rettore del santuario di Pompei; Franco Garelli, sociologo; il sociologo salesiano Mario Pollo; suor Teresa Martignago, salesiana; don Gigi Pini, parroco di Villa di Chiavenna (Sondrio); don Pino Caimi, parroco di Lissone, in Brianza; don Battista Angelo Pansa, parroco della Trasfigurazione a Roma-Monteverde; Chiara Lubich e alcuni Focolarini, il movimento da lei fondato; mons. Giancarlo Maria Bregantini, vescovo di Locri; p. Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria; la teologa Adriana Zarri; la teologa Maria Caterina Jacobelli; Chiara Amirante, che lavora al Vicariato di Roma occupandosi di volontariato; suor Clarice Gengaroli, superiora generale delle Figlie di Maria missionarie; suor Teresa Ricci, delle Serve di Maria di Ravenna; il teologo mons. Bruno Forte; il prete e politologo don Gianni Baget Bozzo; Lorenzo Ornaghi, rettore magnifico dell'Università cattolica; mons. Gianfranco Ravasi, prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano; Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera dei deputati; Giuseppe De Rita, segretario generale del Censis; don Franco Monterubbianesi e don Vinicio Albanesi e volontari o ospiti della Comunità di Capodarco; Gianni Borsa, direttore de Il Resegone, settimanale cattolico di Lecco; don Leonardo Zega, già direttore di Famiglia cristiana; Emanuele Jannini, sessuologo, Università de L'Aquila; Pierpaolo Donati, sociologo, Università di Bologna; la famiglia di Bruno ed Enrica, dell'Associazione Comunità e Famiglia, ora stanziati in Piemonte; Alfredo

La Malfa, fondatore dei "Fratelli dell'Elpis", gruppo di gay cattolici di Catania; p. Giuseppe Gliozzo, parroco a Catania; don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele; p. Innocenzo Gargano, priore del monastero camaldolese di san Gregorio al Celio di Roma; Giacometta Limentani, della comunità ebraica di Roma, scrittrice; Brunetto Salvarani, impegnato nel dialogo inter-religioso; Paola Bignardi, presidente dell'Azione Cattolica; mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Conferenza episcopale italiana.

 

Con brevissime interviste o rapidi riferimenti, l'autore incrocia di passaggio anche vari altri personaggi, tra i quali il missionario comboniano p. Alex Zanotelli; il gesuita p. Giuseppe Brunetta, del Centro San Fedele di Milano; don Silvano Burgalassi, sociologo; mons. Sergio Lanza, dell'Università Lateranense;

la Comunità di Sant'Egidio; i neocatecumenali; i Cursillos; l'Opus Dei; il Rinnovamento dello Spirito; le Acli; Pasquale Quaranta, gay credente; Enzo Bianchi, della Comunità monastica di Bose; Paolo Naso, della rivista Confronti.

 

Le varie interviste sono intervallate da dati sulla Chiesa cattolica italiana (statistiche su parrocchie, preti, nuove vocazioni, associazioni, opere sociali di volontariato, stampa…), che aiutano ad avere un quadro più completo del panorama. Per quanto invece riguarda le risposte degli intervistati alla domande, ogni lettore/lettrice del libro potrà - naturalmente - consentire, interrogarsi o dissentire. Ancora più soggettiva diventa l'impressione complessiva sul "viaggio", certo impegnativo, tra i cattolici d'Italia: alcuni troveranno che, nell'insieme, il libro di Politi offre un'immagine fedele - per quanto sintetica - della Chiesa italiana, nella varietà delle sue "anime"; altri, invece, potranno notare che nella "foto di gruppo" mancano personaggi ed eventi indispensabili per capire la situazione attuale dell'Italia cattolica.

 

Forse, in tale prospettiva, si potrebbe valutare "debole" il riferimento al Vaticano II. Non che del Concilio nel libro non si parli (ne parlano spesso le persone intervistate); manca tuttavia un discorso esplicito, per spiegare in qualche modo che cosa sia cambiato da quello spartiacque e, soprattutto, come e perché. Un tale necessario quadro di riferimento si sarebbe potuto fare, ad esempio, intervistando qualche rappresentante della Fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna, stranamente assente. Un altro tema di fatto evaso - eppure fondamentale, quale che sia il giudizio che se ne dà, per "situare" la cattolicità italiana - è il rapporto Chiesa-Stato, e Dottrine ecclesiastiche-leggi civili, che nei referendum sulle leggi sul divorzio (1974) e sull'aborto (1981) videro un'insanabile lacerazione all'interno della Chiesa cattolica italiana, tra la base e i vertici, e tra gli stessi semplici fedeli. Contrapposizione che in realtà perdura su alcuni temi attualissimi e controversi (come il "patto civile di solidarietà" per le coppie gay o la fecondazione assistita).

 

E, infine, il volume ignora totalmente il rapporto Chiesa-potere e, dunque, non interroga nessuno che apra questo problema o, se vi accenna, lo fa senza notare la debolezza dei ragionamenti difensivi dei rappresentanti dell'istituzione ecclesiastica. Eppure - per fare un esempio - le contraddizioni del "nuovo" Concordato sono state sempre denunciate da alcuni gruppi di base: gruppi che saranno pure infima minoranza, ma che in realtà dicono ad alta voce ciò che anche moltissimi cattolici sentono profondamente, anche se in modo non così esplicito.

 

 

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Venerdì, 24 Dicembre 2004 00:31

Europa e Islam: due identità smarrite

Europa e Islam:
 due identità smarrite
di Sandro Magister
da www.chiesa.espressonline.it

(abstract)

È uscito da pochi giorni in Italia un libro su occidente e Islam che è una lettura d’obbligo anche per i diplomatici vaticani. È stampato da Vita & Pensiero, l’editrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ne è autore Roger Scruton, filosofo e saggista inglese, già professore al Birkbeck College di Londa e alla Boston University. Il titolo originale è "The West and the Rest". La versione italiana, "L’Occidente e gli altri", è apparsa nella collana di geopolitica dell’Alta Scuola di Economia e di Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica diretta da Vittorio E. Parsi, che è anche editorialista del quotidiano della conferenza episcopale italiana, "Avvenire", ed esperto di fiducia del cardinal Camillo Ruini.

Già le primissime righe del libro vanno contro i canoni del politicamente corretto: "La famosa tesi di Samuel Huntington secondo la quale alla guerra fredda sarebbe seguito uno scontro di civiltà ha più credibilità oggi di quanta ne avesse nel 1993, quando fu avanzata per la prima volta". Ma assai più ricco di sorprese è il seguito. Se la libertà di cui si fa vanto la civiltà occidentale comprende anche il rifiuto di sé — e Scruton riserva a questa pervasiva cultura del rifiuto uno dei suoi capitoli più fiammeggianti — allora "si tratta di una civiltà volta alla sua stessa distruzione". Viceversa l’Islam si definisce non in termini di libertà ma di sottomissione: e anche questa sottomissione è autodistruttiva. È prigioniera di un testo sacro, il Corano, che finché continua a essere letto al di fuori del tempo e della storia fa di ogni musulmano uno sradicato. Nella prefazione all’edizione italiana del volume, Khaled Fouad Allam — acuto intellettuale della diaspora musulmana, algerino con cittadinanza italiana — convalida in pieno questa condizione di smarrimento di sé dell’Islam nella modernità.
 
E non è tutto. A giudizio di Scruton, ciò che rende ancora più esplosivo lo scontro tra le due civiltà è l’avanzata della globalizzazione. Essa diffonde nelle nazioni musulmane immagini, prodotti e figure delle democrazie occidentali secolarizzate, sia in quanto hanno di attrattivo e vincente, per ricchezza e potere tecnologico, sia in quanto hanno di vacillante e morente sul terreno della cultura e dell’identità collettiva. Scrive Scruton: "Lo spettacolo della libertà e della ricchezza occidentali, che si accompagna al declino dell’occidente e allo sgretolarsi delle sue fedi, provoca necessariamente, in chi invidia il primo e disprezza i secondi, un cocente desiderio di punire". Altri passaggi folgoranti del suo libro sono quelli che criticano la tendenza a dar vita a legislazioni transnazionali, a corti penali internazionali, alla stessa Unione Europea come superstato, in realtà "nuova mano invisibile dell’imperialismo" ed "espressione politica della cultura del rifiuto". A giudizio di Scruton solo la giurisdizione territoriale e le fedeltà nazionali possono fondare una cittadinanza condivisa e ospitale, anche per il musulmano. In occidente sono gli Stati Uniti a tener ferma questa consapevolezza: "Il trionfo dell’America è stato di persuadere ondate di immigrati a rinunziare a tutti i legami conflittuali e a identificarsi con quel paese, quella terra, quel grande esperimento di insediamento, e a partecipare alla sua difesa comune".
 
Il cristianesimo è indicato da Scruton come elemento essenziale di questa cittadinanza capace di dare identità all’occidente e di accomunarlo agli altri, sia pure nella diversità delle fedi. Esso "dice al cristiano di guardare l’altro non come una minaccia ma come un invito all’accoglienza". Ma, allo stesso tempo, il cristianesimo impone di difendere chi è aggredito. Perché la predicazione di Gesù è predicazione di pace, non però pacifista: "L’idea di perdono, simboleggiata dalla croce, distingue l’eredità cristiana da quella musulmana. Cristo ci ordina persino, quando siamo aggrediti, di porgere l’altra guancia, allora incarno la virtù cristiana della mansuetudine. Ma se mi è stato dato in custodia un bambino che viene aggredito, e porgo l’altra guancia del bambino, divengo complice della violenza. Questo è il modo in cui il cristiano dovrebbe comprendere il diritto alla difesa, ed è come esso è inteso nelle teorie medievali della guerra giusta. Il diritto alla difesa nasce dalle obbligazioni nei confronti degli altri. Sei obbligato a proteggere coloro il cui destino è sotto la tua custodia. Un leader politico che porge non la sua guancia ma la nostra, si rende partecipe della successiva aggressione. Perseguendo l’aggressore, anche in maniera violenta, il politico serve la causa della pace e anche quella del perdono, del quale la giustizia è lo strumento" (*). Pagina dopo pagina, Scruton mette a nudo grandezze e miserie dell’occidente di oggi, a tu per tu con la sfida islamica. Con argomentazioni spesso controcorrente.

(*) — N.d.r: il precetto evangelico di porgere l’altra guancia è stato troppo spesso guardato come un messaggio assurdo e impraticabile; troppe altre volte sono stati fatti tentativi penosi o maldestri di adattarlo ai propri interessi o alle proprie idee. Che cosa vuole dire Gesù con questa espressione? Per comprenderla in pieno dobbiamo rileggere la frase che Gesù dice al sommo sacerdote quando questo, durante l’interrogatorio notturno in casa sua, lo schiaffeggia: "Se ho parlato male, dimostrami dove è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti ?" (Gv 18,23). Dunque Gesù reagisce non porgendo l’altra guancia, ma facendo una domanda; quale è dunque il significato della sua frase a un tempo famosa e controversa? È, a nostro avviso: non opporti al nemico lasciandoti trascinare sul piano del malvagio. Reagisci, come cristiano saggio, vivo e creativo, così da creare una situazione nuova che faccia riflettere il nemico. Il cristiano dunque ricorrerà alla violenza per difendere i deboli o per mettere il nemico nella impossibilità di nuocere unicamente e soltanto se nessun altro modo o nessun’altra strada sono stati efficaci...


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