Un divario del 15% con i tedeschi, del 13% con gli inglesi e dell'11% rispetto ai francesi. Sono i dati diffusi dall'Istat sull'andamento delle retribuzioni orarie in Italia, da cui emerge una realtà che molti già conoscono: nel nostro paese, le buste-paga sono molto più leggere di quelle delle altre maggiori nazioni industrializzate.
Nel 2010, per ogni ora di lavoro, in Italia si guadagnava 14,5 euro: una cifra leggermente superiore alla media Ue (14 euro) ma ben inferiore a quella di Eurolandia (15,2 euro). Va detto che i dati dell'Istat si riferiscono alle retribuzioni nominali e non tengono conto delle differenze nel potere di acquisto esistenti tra i diversi paesi. Resta certo, comunque, che gli stipendi italiani sono tutt'altro che invidiabili in Europa.
Per rendersene conto, basta analizzare i dati pubblicati da Eurostat (l'Istituto Europeo di Statistica) sulle retribuzioni lorde annue divise per settore. Nell'industria, per esempio, a sud delle Alpi si guadagna in media poco meno di 23mila euro lordi annui a testa, quasi la metà rispetto alla cifra che si registra in Germania (41.800 euro) e molto meno rispetto a quella di Francia e Gran Bretagna (34-35mila euro). La situazione non cambia per gli stipendi di un addetto del terziario, che sono mediamente pari a 24.800 euro all'anno nel nostro paese, contro i 38.800 euro di quelli tedeschi e i 31-33mila euro degli inglesi e dei francesi.
Peccato, però, che il costo del lavoro italiano non sia affatto inferiore a quello di altre nazioni dove invece le buste paga sono più pesanti. La prova arriva da un'analisi realizzata nel 2011 da Assolombarda (l'associazione degli industriali della Lombardia), che ha misurato gli effetti del cuneo fiscale , cioè il peso delle tasse e dei contributi sui salari, che fanno lievitare il costo del lavoro a carico delle aziende. Per 100 euro di retribuzione lorda, infatti, un dipendente italiano paga 9,5 euro di contributi a suo carico e una media di 21,3 euro di tasse sul reddito. Al netto di tutti i prelievi, dunque, gli restano in tasca 69,2 euro. Tuttavia, all'azienda che lo ha assunto, lo stesso lavoratore costa quasi il doppio: alla retribuzione lorda di 100 euro, bisogna infatti aggiungere altri 32,1 euro di contributi sociali e pensionistici a carico dell'impresa, per un totale di 132,1 euro.
Come vanno le cose all'estero?. In Gran Bretagna, su 100 euro di retribuzione, il lavoratore paga 9,4 euro di contributi a suo carico e 15,6 euro di imposte. Sulla busta paga-netta, vengono liquidati 74,9 euro euro, cioè l'8% in più che in Italia. Il dato più significativo è però quello sul costo del lavoro: sempre su 100 euro di retribuzione lorda, nel Regno Unito vanno aggiunti soltanto 11 euro di contributi in più a carico dell'azienda, per un totale di 111 euro, contro i 132 italiani.
La musica non cambia moltissimo nemmeno Francia, dove il peso fiscale è un più elevato che in Gran Bretagna. Su 100 euro di salario lordo, un dipendente transalpino paga 14 euro di imposte e circa 13 euro di contributi. Nella busta paga netta gli arrivano dunque 72 euro (più che in Italia), anche se va riconosciuta comunque una cosa: in Francia, è molto elevata (come nel nostro paese) l'incidenza dei contributi a carico dell'azienda. Nel caso esaminato, dunque, le imprese pagano una contribuzione lorda di 42,2 euro su 100 euro di stipendio e il costo del lavoro totale è di 142 euro.
Infine, c'è il caso della Germania. Anche qui, il peso delle tasse è abbastanza elevato: su 100 euro di retribuzione lorda, a carico del dipendente ci sono infatti 19 euro di imposte sui redditi e 20,8 euro di contributi. Il netto in busta paga (a parità di salario lordo) è dunque più basso che in Italia: 60,2 euro contro i nostri 69,2. Peccato, però, che nella Repubblica Federale Tedesca i contributi a carico delle aziende siano invece ben più bassi rispetto alla Penisola: l'aliquota è infatti del 19% circa, contro il 32% dell'Italia. Dunque, a parità di salario lordo, anche le imprese della Germania pagano meno delle nostre in termini di costo del lavoro: poco più di 119 euro contro i 132 euro dovuti dai datori di lavoro italiani. E così, dovendo sostenere un peso contributivo inferiore, le aziende tedesche possono permettersi di dare ai propri dipendenti dei salari un ben più alti dei nostri.
PANORAMA.it
4/3/2013