Il 9 luglio il Senato ha approvato il disegno di legge n.1176, che prevede l’istituzione per il 4 ottobre del Giorno del Dono. La ricorrenza è simbolicamente rilevante, essendo la Festa di San Francesco, il poverello di Assisi che, mandato dal padre a Roma per vendere una partita di merce, distribuì l’intero ricavato ai poveri e scambiò le sue vesti con un mendicante come segno di dedizione alla volontà divina e desiderio umano di fratellanza e giustizia.
L’iniziativa come spesso accade per le misure proposte dal governo Renzi è un misto di sacro e profano. Sacro è il riferimento al Santo Patrono di Italia (insieme a Santa Caterina da Siena), profano è l’intento di promuovere la mobilitazione di risorse gratuite in forma principale di donazione per contribuire alle cause sociali. C’è qualcosa di male in questo connubio tra idealità e materialità? Di principio no. Il bene comune, il welfare e la lotta alla diseguaglianza non possono essere solo un affare amministrativo e contabile dello Stato. Così peraltro non è mai stato perché il primo moderno welfare pubblico europeo, istituito nella Gran Bretagna del dopoguerra nel 1945, si basava su un accordo popolare tra generazioni e ceti sociali uniti nello sforzo di ricostruire una società dilaniata dal conflitto bellico in nome di un patriottismo che univa tutti verso un comune destino di solidarietà.
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