I tecnici del governo hanno inserito un emendamento alla legge di Stabilità per dare una forma definitiva alla tassa sulle transazioni finanziarie. Rispetto all'ultima versione, che prevedeva un'aliquota fissa dello 0,05% su ogni scambio di azioni e derivati,
la nuova tassa è più complessa e, almeno nelle intenzioni di chi l'ha elaborata, più efficace nel contrastare la speculazione.
L' imposta scatta a marzo sulle azioni e a luglio sui derivati. Le aliquote per le azioni saranno due: una allo 0,1 e una allo 0,2% (per il primo anno però saranno allo 0,12 e allo 0,22%) e si applicheranno non su ogni scambio ma sul "valore della transazione", cioè sul saldo netto che l'investitore avrà a fine giornata. Le aliquote sono due perché quella più bassa si applicherà ai titoli scambiati sui mercati regolamentati, quelli in cui l'autorità può vedere con trasparenza ogni singola operazione, mentre quella più alta servirà a scoraggiare le operazioni concluse fuori dai mercati tradizionali, i cosiddetti "over the counter" (letteralmente scambiati "sul banco") che muovono cifre enormi senza il controllo delle autorità di supervisione.
La tassa ha alcune eccezioni: non dovranno pagarla gli intermediari "market maker" e gli istituti di previdenza obbligatoria. Saranno escluse dalla tassa le operazioni frutto di successione o donazione, quelle sui titoli emessi da società medie o piccole (sotto i 500 milioni di fatturato) quelle su derivati usati per limitare i rischi sui movimenti dei cambi e sulla volatilità delle
materie prime. Per i derivati la tassa non è in percentuale, ma ha valori fissi che crescono col salire del valore del titolo su cui si basa il derivato (il "sottostante" deve ovviamente essere italiano). Nelle tabelle diffuse dal governo precisa la imposizione specifica per diversi gruppi di derivati: su quelli meno speculativi si va da un minimo di 2,5 centesimi a un massimo di 20 euro per operazione, su quelli più speculativi il minimo è di 12,5 centesimi e il massimo è di 100 euro.
Particolarmente colpito il "trading ad alta frequenza", quello che guadagna sulle variazioni in tempi brevissimi. La nuova Tobin Tax prevede infatti una tassa dello 0,02% sul valore degli ordini annullati o modificati se questi superano una certa quota di ordini (che non dovrà essere superiore al 60%).
L’obiettivo del governo è raccogliere 1,088 miliardi di euro all'anno. «Una cifra che non è assolutamente realistica» avverte Antonio Tognoli, vice presidente dell'Aiaf, l'associazione degli analisti finanziari. Secondo Tognoli
La Tobin tax avrà effetti negativi: «O la tassa è coordinata con il resto d'Europa o non ha senso, Fatta cosi serve solo a raggranellare un po' di soldi,
ma farà fuggire gli investimenti all'estero e il gettito complessivo sarà anche inferiore a quello attuale». Alessandro Capuano, direttore per l'Italia della società di investimenti Ig, è più duro ancora: «Citano tanto il modello francese, ma là i derivati non li tassano. L’Italia sarà il primo Paese al mondo a tassarli, con conseguenze pericolose.
Una banca francese che vendesse a una banca filippina un derivato con sottostante italiano sarebbe tenuta a pagarla, e quindi dovrebbe avere in ufficio persone capaci di studiare la legge italiana. Ci saranno solo effetti negativi e si spingerà ancora di più l'investitore straniero a mettere i suoi
soldi altrove». Ma c'è anche chi contesta la legge perché l'avrebbe voluta più dura.
Come Francesco Boccia, il deputato che si è occupato della tassa per il Pd:
«Serve una buona norma per fare in modo che la Tobin tax sia una tassa bassa ma pagata da tutti. Se non si riuscirà a fare questo, allora è meglio considerare
l'ipotesi di rinviare la sua introduzione al prossimo giugno».
C'è però anche qualche soddisfatto. Come Raffaele Bonanni della Cisl che parla di tassa «certamente positiva».
Da Milano Pietro Saccò
“Avvenire” del 14/12/2012