ma i primi a violarle sono stati loro. Il che prova che alla fine, tra Stati, contano solo i rapporti di forza e non le belle parole
(02 febbraio 2012)
Parlamento europeo a Bruxelles Parlamento europeo a BruxellesSi parla sempre più spesso di regole di bilancio per evitare il ripetersi di crisi fiscali quali quelle che stiamo vivendo oggi. Per esempio nelle ultime settimane di agonia il governo Berlusconi lanciò in extremis l'idea di un vincolo di bilancio in pareggio nella Costituzione. Chiaramente era una mossa disperata per salvare un governo in disfacimento, ma il problema rimane. Servono regole di bilancio? E se sì, chi le può far rispettare?
Cominciamo dalla prima domanda. Le regola più semplice è appunto un vincolo di bilancio in pareggio: semplice da applicare e verificare, ma inadeguata. Infatti, durante le recessioni è perfettamente naturale e corretto avere dei deficit di bilancio, da compensare poi nei periodi di crescita sostenuta. Un vincolo di bilancio in pareggio impedisce questo naturale aggiustamento ciclico del bilancio pubblico. Si potrebbe allora concepire un vincolo di bilancio in pareggio corretto per il ciclo. Ottima regola, ma come mettersi d'accordo su come fare la correzione ciclica? Ne sentiremmo di tutti i colori! Il momento di accumulare surplus per compensare i deficit non arriverebbe mai. Lo abbiamo visto quando i paesi europei negli anni precedenti alla crisi accumularono deficit anche quando l'economia andava relativamente bene presentandosi poi già indeboliti fiscalmente quando la crisi finanziaria è esplosa. Un'altra proposta è di richiedere un bilancio in pareggio escludendo spese per investimenti pubblici. Un'idea che a me non piace per due motivi. Primo, la mancanza d'infrastrutture non è il principale dei problemi europei, anzi. Secondo, con questa scappatoia molte spese verrebbero in qualche modo riclassificate come "investimenti". Anche in questo caso ne sentiremmo delle belle!
Insomma regole semplici (bilancio sempre in pareggio) sono relativamente facili da applicare, ma inefficienti. Regole più flessibili si prestano a distorsioni e raggiri dettati dalle esigenze politiche.
Ammesso che ci si metta d accordo su di una regola, rimane poi il problema di chi debba farla rispettare. L'Unione europea ha cercato in passato con il patto di stabilità di imporre regole fiscali ai governi nazionali. Non c'è riuscita e non credo che ci riuscirà mai. I due paesi che per primi hanno violato il patto di stabilità furono Germania e Francia, l'Unione europea non mosse un dito. I governi nazionali soprattutto dei paesi più forti, non saranno mai disposti a delegare il loro controllo di bilancio. L'alternativa proposta dai tedeschi è di introdurre regole di bilancio nelle legislazioni nazionali, ma qui si ripresenta il problema di cui sopra. Quali regole? E chi le farebbe rispettare a un governo sovrano? Quanta contabilità creativa ci si inventerebbe? C'è invece un caso in cui regole di bilancio potrebbero essere molto utili: quelle applicate a governi locali, come regioni e comuni. In questo caso con appropriati meccanismi di controllo e di "punizioni" il governo centrale può far rispettare le regole. Inoltre problemi di ciclicità del bilancio sono irrilevanti dato che gli ammortizzatori sociali non sono gestiti dagli enti locali quindi una semplice regola di bilancio in pareggio facilmente verificabile non crea problemi. Gli Stati americani (tutti tranne il Vermont) hanno regole di bilancio in pareggio (più o meno flessibili) e sono servite così come hanno funzionato le regole di bilancio per i nostri Comuni.
la conclusione sembra esser questa: regole di bilancio in pareggio per enti locali funzionano. A livello di governi nazionali è difficile imporre regole se non c'è la volontà politica di mantenere il rigore fiscale. Regole nazionali possono essere utili a governi che abbiano la volontà di essere rigorosi, per resistere agli "attacchi alla diligenza", ma difficilmente riusciranno a contenere governi irresponsabili. L'Unione europea deve smettere di pensare di poter dettare per legge il rigore fiscale. E' una pericolosa illusione.
di Alberto Alesina
l'Espresso