Mondo Oggi

Domenica, 11 Dicembre 2011 23:03

Se i mercati non meritano tanta fiducia

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Non è allora tempo che i governi tolgano ai mercati e ai loro protagonisti quella fiducia che ingiustamente hanno loro accordato e che li sta ora scardinando?

 

L'attuale crisi del capitalismo finanziario sembra aver finalmente dato ragione alla teoria di Friedrich Nietzsche, il quale nella "Genealogia della morale" faceva discendere i concetti etici dai rapporti giuridici contrattuali, con la conclusione che la colpa e la cattiva coscienza derivavano dalla posizione giuridica del debitore. È così che, assillati dal debito pubblico, i cittadini dei vari Paesi occidentali si sentono in uno stato diffuso di colpa, alla quale si accompagna timore, incertezza, e paura del futuro.

Ed è così che, anche chi non ha nessuna responsabilità per l'aumento del debito pubblico, anzi, ne subisce oggi le terribili conseguenze, si sente in colpa e quasi vittima di una cattiva coscienza. Questa operazione, apparentemente filosofica, è stata provocata dai mercati finanziari, i quali hanno tolto la fiducia agli Stati, declassandoli, sicché sembra oggi scopo principale della politica restituire la fiducia ai mercati e ai loro protagonisti. Non è un caso che i presidenti Obama e Sarkozy pensino di poter contare sulla riconferma elettorale solo se riusciranno a conservare la tripla A dalle agenzie di rating. E non è neppure un caso se il programma del nuovo Governo italiano sembri diretto soprattutto a raggiungere con rigore la parità di bilancio, piuttosto che affrontare direttamente politiche di crescita, e ad evitare le sempre più odiose disuguaglianze, combattendo radicalmente corruzione ed evasione fiscale, disoccupazione e miseria.

Non è allora tempo che, invece di cercare la fiducia dei mercati, i governi, come stanno facendo i cittadini in varie parti del mondo, tolgano ai mercati e ai loro protagonisti quella fiducia che ingiustamente hanno loro accordato e che li sta ora scardinando?

Non sto con questo demonizzando i mercati, i quali anzi, quando regolamentati e non solo figli della speculazione, hanno una funzione importante per lo sviluppo economico.
Ma i mercati finanziari abbandonati a se stessi, dove quelli regolamentati sono persino inferiori a quelli opachi e fuori di ogni controllo, altro non han fatto che deprimere le nostre economie e debilitare le nostre vite. Per sovente connivenza tra organismi di controllo e controllati, questa odiosa situazione è presente anche dove operano i mercati regolamentati. Ne è prova la recente ordinanza del 28 novembre 2011 del giudice Jed S. Rakoff della District Court di New York.

L'ordinanza del Giudice rigetta l'accordo tra la Sec e Citigroup, col quale quest'ultima era pronta a pagare ben 285 milioni di dollari per far cadere l'accusa di illecite operazioni sui mercati finanziari. Il caso riguardava la creazione da parte di Citigroup di un fondo di un milione di dollari nel quale erano stati conferiti titoli "spazzatura", che la Banca aveva in portafoglio e che aveva falsamente dichiarato ai disinformati risparmiatori trattarsi di investimenti molto attraenti, perché rigorosamente scelti da una società indipendente di consulenza finanziaria.

Secondo la Sec il profitto netto per Citigroup fu di circa 160 milioni di dollari, mentre la perdita globale per gli investitori fu più di 700 milioni di dollari. L'ammontare richiesto dalla Sec era composto oltre che dai 160 milioni di profitti, da 30 milioni di interessi, nonché da una multa di 95 milioni di dollari. Citigroup nel procedimento si era dichiarata né colpevole né innocente. La Corte ha rigettato l'accordo perché, sulla base delle allegazioni fornite da entrambe le parti, non era in grado di dichiarare se l'accordo fosse equo, adeguato e ragionevole nel pubblico interesse.

Di fronte alla dichiarazione della Sec di essere l'unica a poter individuare nei mercati finanziari qual fosse il pubblico interesse, il giudice ha scritto «that is not the law», «questo non è il diritto», pur riconoscendo la dovuta deferenza alla autorità di controllo. Ha scritto ancora il giudice che «se le allegazioni delle parti fossero vere, questo sarebbe un grosso affare per Citigroup, e anche se non fossero vere, sarebbe comunque un lieve e modesto costo per fare affari». Ha aggiunto inoltre che poiché la Sec non ha nessun obbligo di restituire i 285 milioni di dollari agli investitori defraudati, questi non sarebbero nemmeno riusciti ad ottenere un risarcimento neppure in sede civile, poiché l'accusa a Citigroup era non per frode ma soltanto per negligenza.

La conclusione è stata che «nella gran parte del mondo, regna la propaganda e la verità è confinata a segreti e impauriti bisbigli». Si tratta di un intervento del potere giudiziario che ha condannato pe-santemente gli istituti dei mercati finanziari, nonché anche i loro accreditati controllori in favore della verità. L'Economist ha appena commentato la decisione del giudice Rakoff come un insieme di sentimenti dai quali nascono le rivoluzioni, ma aggiungo io, forse di un risveglio del sistema democratico americano.

Ma ad evitare le rivoluzioni il legislatore nazionale, il legislatore europeo, financo quello globale dovrebbero, invece che cercare di sedurre i mercati con politiche di austerità, disciplinare prima rigorosamente lo scomposto e caotico mondo dell'opaca finanza, dominato dall'oligopolio delle agenzie di rating, per poter veramente proporre scelte politiche adeguate ad eliminare le diseguaglianze.

L'abbandono della fede ingiustificata nell'efficienza del mercato e nelle tecniche e negli strumenti dell'odierna finanza, la fine dei sistemi di "shadow banking", la rottura e una maggiore disciplina dell'oligopolio delle imperanti agenzie di rating, la spaccatura delle istituzioni di sistema "too big to fail", sono solo alcuni dei principi che secondo voci isolate, ma autorevoli, come quelle di Krugman, Stieglitz, e Volker vanno declinando, in contrasto con le comuni pompose propagande, per iniziare la vera rivoluzione del nuovo millennio.

http://www.ilsole24ore.com 04 dicembre 2011

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