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Domenica, 28 Agosto 2011 15:48

C'è tiranno e tiranno

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di Mostafa El Ayoubi
da Nigrizia 05/2011

L’Occidente fa la guerra a Gheddafi e, contestualmente, difende il dittatore che governa il Bahrein. A chi giova?

Mentre il mondo intero è concentrato sulla complessa situazione in Libia, in Bahrein, un altro paese arabo contagiato dalle rivoluzioni popolari, si sta consumando una tragedia umana a danno della popolazione civile. Dal 14 febbraio i bahreini chiedono libertà e democrazia. In cambio, hanno subito una forte repressione da parte del regime. Ma i grandi media continuano a trascurare ciò che accade in questo piccolo paese del Golfo Persico, governato da una monarchia assoluta sunnita e la cui popolazione è per il 70% sciita. Una negligenza? Niente affatto!

Approfittando di questo momento storico di destabilizzazione dei regimi arabi, gli Usa - e con essi Francia, Gran Bretagna, ecc. - si sono attivati per fare la guerra al dittatore Gheddafi e impadronirsi della Libia, cercando di convincere l'opinione pubblica internazionale che si tratta di un intervento umanitario in soccorso dei rivoltosi. Nei confronti del regime in Bahrein, messo in discussione da una rivolta pacifica, il governo americano ha invece adottato la strategia opposta: andare in soccorso del sultano AI-Khalifa, autorizzando la repressione e il soffocamento della rivolta.

Due pesi e due misure: da un Iato, difendere - per così dire - la popolazione in rivolta dal dittatore in Libia; dall'altro, reprimere un popolo in ribellione contro il tiranno in Bahrein.

Di quale intervento"umanitario"si sta, quindi, parlando?

In realtà, la democratizzazione del mondo arabo non collima con i molteplici interessi degli Usa e dei suoi alleati, i quali, dopo aver perso i loro luogotenenti, Ben Ali e Mubarak, sono riusciti a riprendere in mano la situazione e mettere in atto una controrivoluzione. In questa machiavellica operazione hanno scelto un regime arabo islamico per svolgere il lavoro sporco: il governo saudita. La famiglia AI-Saud, in effetti, ha tutto l'interesse a che le rivoluzioni siano represse, per non perdere il proprio potere.

E’ stata l'Arabia Saudita, attraverso il Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg - composto da sei paesi arabi), a chiedere, il 7 marzo scorso, di intervenire in Libia e, poi, a convincere la Lega araba (che controlla totalmente, dopo la caduta di Mubarak) a presentare la stessa richiesta all'Onu, il 10 marzo. Dei 22 paesi arabi di questo organismo, solo due sono stati contrari: l'Algeria, perché non vuole una guerra alle porte di casa, e la Siria, il cui regime è noto per la netta opposizione alla politica Usa in Medio Oriente. Per intervenire militarmente, gli Usa hanno voluto che a presentare formalmente la richiesta fossero gli arabi. E chi meglio dell'alleato saudita lo poteva fare? Il 17 marzo il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha autorizzato l'azione militare contro Gheddafi; il 19 sono iniziate le operazioni, alle quali hanno partecipato anche alcuni paesi arabi del Ccg.

Ma mentre i sauditi erano impegnati a promuovere l'opzione militare per "soccorrere" i civili libici, il 14 marzo i loro militari, con i poliziotti dell'emirato, sono entrati nel Bahrein per salvare la famiglia AI-Khalifa dalla rivoluzione. Una rivolta era stata iniziata un. mese prima da centinaia di migliaia di giovani, che si erano insediati al centro della capitale Manama, chiedendo pacificamente democrazia e transizione verso una monarchia costituzionale. Come risposta, il regime aveva mandato i suoi soldati a sparare sui manifestanti. Di qui, la rottura con il popolo, che ormai grida la famosa parola araba: Irhal ("vattene).

Per salvare la monarchia di AI-Khalifa ed evitare che la febbre della rivolta colpisse le discusse monarchie petrolifere, è prevalsa l'opzione militare su quella diplomatica. Infatti, il giorno precedente l'invasione del Bahrein da parte dei sauditi, il segretario di stato alla difesa americano - e non un diplomatico - si era recato in visita a Riyad e a Manama. Per quale motivo? Per discutere di democrazia e di diritti umani?

Ma ora che l'esercito saudita, di estrazione sunnita, sta reprimendo i manifestanti bahreini i sciiti, distruggendo persino i loro luoghi. di culto, quale sarà la reazione dell'Iran, che si considera difensore di tutti gli sciiti del mondo?

La questione confessionale è estremamente sensibile in Medio Oriente e nel Golfo Persico. Oltre a costituire la maggioranza della popolazione del Bahrein, gli sciiti sono presenti anche in Arabia Saudita, in Iraq e nello Yemen (un'altra incognita da decifrare), e la repressione della rivolta del Bahrein sta provocando forti tensioni tra sciiti e sunniti. In Iraq, Iran e Libano sono sempre di più le manifestazioni a sostegno dei loro correligionari in Bahrein, repressi dal potere sunnita. Inoltre, le manifestazioni in Siria possono trasformarsi in uno scontro tra la maggioranza sunnita e il clan degli alauiti di Bashar AI-Assad. Tutto ciò rischia di trasformare la primavera di democrazia nei mondo islamico in una guerra di religione tra musulmani. Un perfetto piano B, se la controrivoluzione messa in atto dagli Usa dovesse fallire.

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