«La chiesa esiste per comunicare: è essa stessa tradizione vivente… trasmissione di una cultura fatta di atteggiamenti, comportamenti, costumi di vita, idee, conoscenze, espressioni artistiche, religiose e politiche e di un patrimonio spirituale all'interno del quale crescono e si formano le persone nel volgere delle generazioni». In queste parole degli Orientamenti pastorali per il nuovo decennio troviamo definito nel modo più pieno ed efficace lo specifico compito educativo della chiesa che, al di là ogni possibile riduzione alla sfera privata e spirituale, investe tutta la persona e la sua esistenza. Alla parrocchia, riconosciuta come «la comunità educante più completa», è affidato in particolare questo compito, che può svolgere più facilmente rispetto ad altre aggregazioni ecclesiali grazie alla sua capillare presenza nel territorio e in forza della sua vicinanza «al vissuto delle persone e agli ambienti di vita».
Dentro gli ambiti dell'esistenza umana
Il vissuto quotidiano è indicato dal documento della Cei come uno dei presupposti imprescindibili della responsabilità educativa della parrocchia sul territorio. Esso tuttavia rimane sullo sfondo, come se fosse ormai assodata la svolta pastorale di Verona che declinava la testimonianza cristiana attraverso i cinque ambiti dell'esistenza umana; viene dato invece particolare risalto alla classica tripartizione dell'impegno pastorale della chiesa, centrata sui tre compiti fondamentali (catechesi, liturgia, carità), indicando nell'iniziazione cristiana la via maestra dell'educazione.
L'esigenza che si avverte oggi è invece quella di dare continuità alle intuizioni pastorali del 4° convegno ecclesiale e di rivedere il progetto educativo cristiano alla luce della scelta antropologica che rappresenta la "chiave preziosa" per "convertire" la pastorale in senso missionario. L'impegno kerigmatico, liturgico e caritativo della comunità ecclesiale dovrà essere ripensato a partire dalla centralità della persona, per tarare sulla sua situazione esistenziale la proposta educativa.
Di fronte ad una società disorientata e smarrita, che attraversa una crisi morale di così vaste proporzioni e che tradisce i segni di una crescente disaffezione alla vita ecclesiale, non si può programmare la pastorale del decennio senza partire dall'ascolto della realtà, senza interrogarsi sul proprio operato, senza mettere in discussione le strade finora percorse e senza analizzare le cause degli evidenti insuccessi di una chiesa ancora troppo "maestra" e ricurva su se stessa.
Il coraggio della "verifica" nella pastorale
È necessario innanzitutto aprire un dialogo vero con gli uomini del nostro tempo, porsi in ascolto delle loro domande, capire le cause del loro allontanamento e riconoscere anche le proprie responsabilità. Sarebbe quanto mai utile e urgente una "verifica" coraggiosa dei metodi educativi finora adottati oltre che degli itinerari di catechesi finora sperimentati, per capire cosa non ha funzionato e quali sono stati i punti di debolezza che non hanno consentito di raccogliere i frutti desiderati e attesi. Se la proposta educativa cristiana non è stata spesso in grado di formare cittadini onesti, coerenti, umanamente adulti e affettivamente equilibrati, nonostante i tanti anni passati nelle aule di catechismo e la frequentazione delle assemblee liturgiche, evidentemente il problema non è da imputarsi alla valenza educativa del vangelo, né solo all'influenza negativa e, in certi casi, devastante dei media, ma innanzitutto alla scarsa testimonianza della comunità cristiana, all'inadeguatezza dei suoi metodi pastorali e alla distanza abissale tra i contenuti annunciati e la vita quotidiana.
Chi si accosta alle parrocchie - e gli adolescenti e i giovani ce lo rivelano con la loro spontaneità e schiettezza - non recepisce spesso l'essenziale: e cioè l'amore infinito che Dio ha per l'uomo e che si rivela attraverso il volto dei suoi discepoli. Tanto che, paradossalmente, la stessa catechesi, così come la liturgia e la carità, che dovrebbero nutrire la vita della parrocchia e renderla missionaria lungo le strade del suo territorio rischiano di essere percepite dall'uomo contemporaneo come "parole" teoriche e retoriche, che non raggiungono la persona nella sua integralità, non toccano il suo cuore e non lasciano traccia nella sua esistenza. Anzi, la spingono il più delle volte alla ricerca di una possibile via di fuga e di non ritorno.
La formazione cristiana, infatti, non può riguardare solo l'aspetto dottrinale né può tendere solo a suscitare la fede, ma deve investire la persona intera, coinvolgendo tutti gli aspetti della sua umanità: deve formare la coscienza, educare alle relazioni interpersonali, alla promozione sociale, al servizio, al dialogo con tutti, alla responsabilità civile e politica, all'inculturazione della fede e all'incarnazione nella storia personale e sociale del messaggio evangelico.
La "dicotomia" tra la sfera morale e la sfera politica, esibita con disinvoltura da talune personalità del mondo istituzionale, pur accreditandosi dell'aggettivo"cattolico", denota un'immaturità e un infantilismo della fede che affonda le sue radici in una formazione "a scompartimenti stagni" che induce a negare, e perfino a giustificare, ogni incoerenza.
L'interrogativo da cui ogni comunità cristiana dovrebbe partire per programmare la pastorale del nuovo decennio in chiave educativa è il seguente: come i cinque ambiti del convegno ecclesiale di Verona (vita affettiva, fragilità, lavoro e tempo libero, cittadinanza, tradizione) stanno gradualmente permeando la pastorale parrocchiale, trasformando radicalmente il modo di vivere la catechesi, la liturgia e la carità, rinnovandone metodi, linguaggi, gestualità e contenuti, in relazione alla vita quotidiana dell'uomo contemporaneo?
Entriamo nello specifico, analizzando, per motivi di spazio, solo la questione relativa agli itinerari di iniziazione cristiana e alla catechesi permanente.
Catechesi e scelta antropologica
La catechesi - sottolinea opportunamente il documento della Cei -«accompagna la crescita del cristiano dall'infanzia all'età adulta ed ha come sua specifica finalità "non solo di trasmettere i contenuti della fede, ma di educare la mentalità di fede, di iniziare alla vita ecclesiale, di integrare fede e vita"». Perché ciò accada realmente, sarebbe quanto mai necessario rivedere gli itinerari di catechesi in ordine soprattutto ai destinatari, ai contenuti e ai metodi.
I destinatari. La catechesi - affermano i nostri vescovi -«sostiene in modo continuativo la vita dei cristiani e in particolare degli adulti, perché educatori e testimoni per le nuove generazioni». In realtà, la formazione dell'adulto nella maggior parte dei casi è discontinua ed episodica, con lunghe fasi di interruzione, e motivata spesso da emergenze occasionali che solo alcune volte inducono a veri e propri rientri nella comunità di origine. Là dove sono attivi corsi di formazione per gli adulti, spesso questi non scaturiscono dall'azione missionaria della parrocchia e sono pertanto frequentati da sparuti gruppi di cristiani già praticanti.
Rilanciare la catechesi in chiave antropologica e missionaria consentirebbe invece di raggiungere le persone là dove vivono, con il bagaglio del loro vissuto e tenendo conto della loro situazione sociale, familiare e lavorativa. È un percorso, questo, che non si può improvvisare e che va avviato già a partire dalla catechesi dell'età infantile. Il bambino, il ragazzo, l'adolescente, il giovane e l'adulto accolgono la proposta di un percorso formativo se si sentono "conquistati" dall'attenzione della comunità, se percepiscono il rispetto e la considerazione nei confronti della loro persona, dei loro bisogni affettivi, della loro ricerca di calore umano e di pienezza di vita. Una catechesi che mortifica l'umanità, la gioia dello stare insieme, la sete di relazioni autentiche comprometterà anche per il futuro ogni dialogo e ogni autentica familiarità con la comunità ecclesiale.
I contenuti. Se è davvero la persona al centro dell'itinerario catechistico, è la sua vita che deve essere raggiunta dall'annuncio cristiano. «L'adulto oggi si lascia coinvolgere in un processo di formazione e in un cambiamento di vita soltanto dove si sente accolto e ascoltato negli interrogativi che toccano le strutture portanti della sua esistenza: gli affetti, il lavoro, il riposo».
Il vangelo, pertanto, non può risuonare astrattamente, ma deve investire la realtà umana in tutte le sue espressioni. Come Gesù, lungo le strade della Palestina, era intimamente coinvolto nelle reali situazioni esistenziali della gente, ne percepiva il dolore e la fatica, ne condivideva gli affetti e le difficoltà, ne conosceva le fragilità e le risorse, così la comunità cristiana deve divenire per ogni persona che le si accosta l'ambito nel quale poter essere raggiunta da un Dio che continua a farsi carne e a condividere la nostra storia.
Ecco perché nella progettazione degli itinerari formativi dovranno trovare necessariamente spazio i temi nei quali si declina l'esistenza umana: la vita familiare come quella lavorativa, la vita sociale come quella politica, la situazione culturale ed etica, le questioni economiche e ambientali, i problemi urbani come quelli della globalizzazione.
I metodi. Non si diventa "soggetti" se non si partecipa. La catechesi permanente deve tendere alla formazione di persone adulte nella fede, che siano soggetti attivi della loro storia di salvezza. Essa dunque deve rendere protagonista la persona, scongiurando il rischio della lezione "cattedratica", che relega l'altro in un atteggiamento di ascolto passivo che non lo farà mai crescere e maturare.
I luoghi della catechesi si sono spesso identificati con i luoghi dell'istruzione, assumendo perfino l'arredo delle aule scolastiche, e con esso la registrazione delle assenze, i compiti a casa, le punizioni. Occorre riconoscere queste deformazioni per cedere il posto al gusto per la vita comunitaria, che suscita il desiderio dell'incontro con l'altro, e che fa riscoprire la chiesa come il luogo della condivisione dei doni e delle responsabilità.
di Aurora Sarcià
Settimana n. 4 anno 2011