Mondo Oggi

Giovedì, 02 Giugno 2011 11:01

I cattolici e gli scandali del premier

Vota questo articolo
(1 Vota)

di Domenico Rosati
da Rivista Settimana n. 8 anno 2011

Il giudizio sulla condotta del premier può causare un certo spostamento elettorale; ma può servire a rimodulare nella comunità cristiana il rapporto tra coerenza privata ed etica pubblica.

 

 

Quale effetto hanno prodotto tra i cattolici praticanti gli scandali di cui è protagonista il presidente del consiglio? Per rispondere l'Associazione dei Cristiano-Sociali ha commissionato un'apposita indagine all'Istituto SWG, che ha interpellato il proprio "campione" tra il 27 e il 30 gennaio 2011. I risultati, resi pubblici il 16 febbraio, sono stati di notevole interesse sia politico che ecclesiale su quattro fasce di questioni: il bilancio del governo, il giudizio sulle "imprese" presidenziali, gli interventi dell'autorità ecclesiastica, il consenso politico.

Sul governo la domanda era: "Ritiene molto, poco o per niente efficace l'operato del governo guidato dal presidente Berlusconi"? E la risposta è che, tra quanti dichiarano di frequentare la messa una volta la settimana, si registra una rilevante flessione di consenso, che passa, in due mesi, dal 42 al 32%. Giusto considerare che nella formazione del giudizio pesa il deficit complessivo dell'azione politica che, secondo il sondaggio, non raggiunge una media di sufficienza. Ma non v'è dubbio che, come ha commentato il presidente dei Cristiano-Sociali, Mimmo Lucà, «a produrre una più rapida erosione del consenso nei confronti di Berlusconi in questi ultimi mesi sono state le note vicende giudiziarie», l'emergere, cioè, a monte di un malaccorto tentativo di concussione, di un «sistema costruito attorno alle residenze del presidente del consiglio, delle giovanissime ospiti e delle loro famiglie, degli accompagnatori, delle promozioni e delle carriere politiche assicurate, dei compensi elargiti, dei ricatti e delle pressioni esercitate».

Un complotto, oppure c'è altro?

Un riscontro di tale valutazione si ha con le risposte al quesito di merito: "Il presidente Berlusconi ritiene che sia solo un complotto a suo danno. Lei personalmente crede che…". Qui la versione della magistratura appare più convincente di quella di Berlusconi: 45 contro 21%, ma con una zona grigia (34%) di senza opinione. Più preciso il responso sul piano etico-politico: si va da una maggioranza per "vergogna e disgusto" (58%) ad una minoranza indignata o per l'uso politico della giustizia o per l'invasione della privacy del premier (26%). Da notare che i "disgustati" si trovano anche nell'area di chi vota centrodestra.

Ma qui ci si imbatte in un serio ostacolo. Trattandosi di cattolici praticanti, si dovrebbe presumere nel "campione" un'accentuata sensibilità sui temi della connessione tra etica pubblica ed etica privata. Emerge viceversa che, accanto ad un 59% che nella figura del premier non accetta distinzione tra pubblico e privato, c'è un 33% che lo nega: «è una questione che non riguarda l'opinione pubblica»; e ciò anche se il 58% dei consultati crede che lo stile di vita presidenziale sia di cattivo esempio per i giovani. Pare davvero che la materia sia da approfondire non tanto in relazione alle opzioni elettorali quanto in rapporto alla "tenuta" etica della comunità cristiana. Se, infatti, è giusto segnalare il peggioramento delle opinioni relative al premier, l'area del consenso residuo appare ancora elevata e, soprattutto, sfuggente ai richiami della gerarchia. C'è un problema di comunicazione e di linguaggio; o c'è dall'altro? La pratica dei "praticanti" resta complessa anche sotto questo profilo.

Quel generico richiamo…

Ma come sono state intese le parole della chiesa? Se si dovesse applicare la massima del quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur, tradotto in: ciascuno capisce quel che riesce a capire, si dovrebbe quantomeno procedere ad un ripasso. Il segnale di degrado del costume è diffusamente avvertito (67%) e messo in connessione con «il diffondersi sella propensione dei giovani per un guadagno facile, senza remore etiche e l'utilizzo del proprio corpo per raggiungere determinati obiettivi». Ma delle prese di posizione del card. Bagnasco appena il 47% degli intervistati "ha sentito parlare", il 31% "solo vagamente" e il 22% niente affatto. E in più, tra gli informati, il 62% vi ha colto unicamente "un richiamo generico alla moralità politica", solo il 25% una critica al comportamento di Berlusconi e un 4% addirittura una critica alla magistratura. La constatazione si presta ad una riflessione sulla comunicazione nella chiesa che va oltre la portata dell'episodio. Andrebbe soprattutto analizzata l'interazione tra messaggio interno (dalla stampa cattolica all'omelia domenicale) e le grandi fonti dell'informazione cartacea e televisiva: quanto i messaggi si deformano lungo il tragitto e si conformano alle istanze dei poteri in campo?

Eppure stavolta, a differenza di altre, le parole giuste erano state dette e contestualizzate. Il presidente della Cei, in particolare, ha parlato di comportamenti contrari al pubblico decoro, di disagio morale della collettività, di disastro antropologico, e, infine, ha chiesto che «si faccia chiarezza nelle sedi appropriate», che sono quelle previste dall'ordinamento giudiziario. Ed ha ampliato il discorso sull'esigenza di un ripensamento di valori e di modelli di comportamento, soprattutto di quelli proposti alle giovani generazioni, nonché sui drammi della disoccupazione giovanile, delle ragioni della rivolta dei giovani rispetto ai temi della scuola e dell'università, degli effetti drammatici della crisi economica sulla vita delle famiglie. Non lo ha fatto però - e forse è questo il fotogramma da ingrandire - con l'enfasi necessaria a far comprendere che, come ha notato Lucà, «nel degrado dell'etica pubblica è in gioco un insieme di valori non meno negoziabili di quelli tante volte evocati nel dibattito sulle questioni eticamente sensibili, come la legalità, la moralità, la dignità della persona umana e della donna in particolare, la giustizia, il decoro e l'onore delle funzioni pubbliche». Se non è bastato, se ne può trarre l'auspicio di una maggiore intensità dei pronunciamenti, magari, come si è espresso Luigi Accattoli, chiedendo alla gerarchia non di parlare di più, che sarebbe un prendere partito, ma di parlare più precisamente: meno diplomazia, più profezia.

Ri-educare al giudizio politico

Il tema da svolgere, in chiaro, si può allora enunciare così: l'aver da anni posto l'accento soltanto su alcuni valori può aver abituato molti credenti a ritenere che su altri vi fosse un'aspettativa meno esigente. Se poi il tutto si immerge nel brodo di coltura di una comunicazione "ufficiale" sempre più funzionale, si può trovare qui la spiegazione della minor reattività della comunità dei fedeli e/o del suo relativo smarrimento etico-politico. Esistono, viceversa, le risorse culturali per riportare all'attenzione critica quel concetto di "omologazione dei baricentri", con il quale a suo tempo il card. Martini volle indicare il sostanziale allineamento di ogni dimensione della società su un registro valoriale individualisticamente banale, dall'economia alla politica, passando per la sessualità e le relazioni affettive. È un'impresa ardua perché comporta un lavoro di ri-educazione al giudizio politico come attitudine personale del cittadino cristiano impegnato a impastare con la realtà delle cose l'energia che trae da una fede che si fa motivazione (ispirazione) e dialogo su ciò che giova ad umanizzare la vita.

Quanto ai riflessi sui soggetti politici in campo (l'ultima scheda del sondaggio), il dato più rilevante è che quanti hanno votato Berlusconi nel 2008 gli confermerebbero oggi la fiducia, sicuramente o probabilmente, per il 78%, lasciando al libero mercato una quota di poco superiore al 20%. Non è moltissimo, ma neanche poco, se c'è iniziativa convincente.

Sfide nuove per i poli

Per ora il centrodestra, fiaccato dalle sottrazioni ma non domo, mantiene la linea di sempre: quella di mostrarsi "compiacente" verso le istanze ecclesiastiche. Lo ha fatto anche in occasione dell'incontro per l'anniversario del Concordato, mettendo il card. Bagnasco nella condizione di dover precisare che si era trattato di un incontro "istituzionale e di prassi". Tutto lascia prevedere la continuazione del "corteggiamento" sul duplice registro della salvaguardia di alcune prerogative materiali e, soprattutto, della tutela legislativa dei valori non negoziabili, materia sulla quale il centrodestra ostenta, indebitamente ma tenacemente, una sorta di mandato a procedere di parte cattolica. C'è però da chiedersi se ciò basti per garantire la continuità dell'apprezzamento dei credenti malgrado il turbamento degli scandali. Tanto più che una diversificazione di linea sembra manifestarsi nell'iniziativa del fin qui campione degli "atei devoti", Giuliano Ferrara, con la presa in carico indiscriminata di tutte le "licenze" del premier, in nome di un'affermazione totale di una privacy senza limiti o remore, fino all'esposizione delle mutande.

Quanto al centrosinistra, andrà fatta una tara sulle aspettative che si coltivano in vista dell'aprirsi di una faglia mobile tra i cattolici. Volendo essere clericali, si potrebbe sostenere che su questo versante dell'etica c'è maggior sintonia tra il sentire del centrosinistra con quello delle Cei. Ma sarebbe un errore. Come quello di chi vagheggia un'ipotesi di surrogazione per così dire alla pari, dove il centrosinistra subentra nel rapporto con i cattolici alle medesime condizioni del centrodestra uscente: compiacenza pratica e assunzione plenaria, ostentata e senza mediazione, di tutte le istanze gerarchiche. Nel campo del centrosinistra (e per connessione storica e ideale anche nella tradizione centrista) militano soggetti in cui il tema della laicità non è un optional. Si pensi alla vicenda dei cattolici democratici, progressisti e moderati, che presentano, come è naturale, punti di contatto e di… approdo necessariamente diversi. La ricerca di un rapporto positivo comporterebbe perciò anche una differente modulazione degli atteggiamenti tra gli interlocutori e, in ogni caso, non potrebbe saltare il passaggio dell'autonomia della politica nelle determinazioni operative immediate.

Non è dunque alle viste una gioiosa vendemmia, ma piuttosto l'esplorazione di vie nuove per costruire relazioni da sperimentare sul campo. Dopo un ventennio di "guerra di posizione" una fase di "movimento" diventa una condizione vitale. Forse il terreno più promettente è quello di una ripresa del confronto su una visione umanistica dell'impresa politica, a partire dalla dignità irripetibile di ogni persona in ogni luogo e momento dell'esistenza. Ma questo è già un "dopo" che non è ancora cominciato.

Letto 1991 volte Ultima modifica il Venerdì, 03 Giugno 2011 11:05

Search