Pavel Nica, giornalista e scrittore moldavo, ci ha messo ventisei anni per pubblicare «La tragedia del XX secolo»: arrivato come inviato speciale di un settimanale moldavo sulla scena di Chernobyl, nell’autunno del 1987, a poco più di un anno da quella notte tra il 25 e il 26 aprile del 1986, quando esplose il reattore 4 della centrale atomica, tutto quello che lui ha scritto da quella data in poi, tutte le sue inchieste sono state regolarmente censurate, dalla Moldavia sovietica, prima, e dalla Moldavia “democratica” uscita dal crollo dell’ex Unione Sovietica, dopo; e solo nel 2003 Pavel Nica è riuscito finalmente a raccontare quello che ha visto, che ha vissuto e quello che ha scoperto sulla tragedia atomica più grave mai successa da quando esistono le centrali nucleari. Ventisei anni di silenzio, di censura, di bugie. Silenzio e censura sulle conseguenze della catastrofe, bugie sulle cause dell’incidente.
E se c’è un filo conduttore solido che attraversa tutte le pagine di Nica è proprio quello della poca trasparenza, della cancellazione della verità e della gestione autoritaria che accompagna, sin dalle prime ore, i fatti di Chernobyl. È un’intuizione importante quella di Nica, perché in una certa misura vale anche per le democrazie occidentali, per i francesi, i tedeschi, per noi, che stiamo per costruire quattro nuove centrali nucleari; anche sul «nostro nucleare» è difficile fare informazione, perché il nucleare, dovunque nasce, costruisce attorno a sé un muro di difesa che centellina le informazioni, nasconde i fatti fin quando può e se deve rispondere lo fa sempre con forte reticenza: pensate a tutte le vicende legate ai depositi delle scorie radioattive in Europa, dal deposito di Sellafield in Inghilterra che alla fine è stato chiuso perché pericoloso per la salute pubblica, alla situazione francese e tedesca, quest’ultima particolarmente drammatica, visto che i fusti radioattivi contenuti nel deposito Asse II sono stati infiltrati dall’acqua e non si sa più come fare per spostarli da lì, ebbene su tutti questi fatti si è saputo qualcosa solo grazie a feroci battaglie volute dai cittadini e dalle loroassociazioni. C’è quindi una natura intrinsecamente “autoritaria” del nucleare, quasi come fosse una sua caratteristica genetica, che esce forte dalle pagine di Pavel, perché quello che succede attorno alle centrali nucleari è sempre e dappertutto “questione strategica”, “questione di Stato” e in nome dello Stato, si sa, tutto passa in secondo piano: anche la vita dei quarantamila soldati, tutti di leva, tutti ragazzini gettati, nei giorni seguenti l’esplosione, nell’inferno di Chernobyl a raccogliere a mani nude quel che restava del reattore nucleare. E qui, in questo libro, troverete un elenco lungo delle vittime, dirette e indirette, un elenco lungo milioni di persone!
E sappiamo, purtroppo, che si tratta ancoradi un bilancio provvisorio, perché gli effetti di quell’esplosione di venticinque anni fa continuano a produrre malati, a mietere vittime. Come sono ancora enormi e irrisolte le questioni che Chernobyl lascia a queste e alle future generazioni: a cominciare dagli enormi depositi dove sono stati sotterrati decine di migliaia di metri cubi di materiale radioattivo, praticamente tutto quello che c’era nel raggio di trenta chilometri dalla centrale: dai trattori dei contadini, ai mobili delle case, ai carri armati e agli elicotteri dell’esercito arrivati sul posto, tutto preso e infilato sottoterra. Hanno seppellito persino un’intera foresta, perché gli alberi erano ormai morti ma talmente radioattivi che se fosse scoppiato un incendio si sarebbe formata un’altra immensa nuvola radioattiva, come quella della notte del 26 aprile del 1986. Che cosa bisogna fareadesso di questi enormi cimiteri radioattivi che sono ormai da trent’anni seppelliti nella terra nuda? E che cosa è successo in tutti questi anni, quanto in profondità sono arrivati gli agenti inquinanti radioattivi, quante falde d’acqua e quanti fiumi hanno nel frattempo irrimediabilmente inquinato?
Insomma, quanto avanti sta andando la malattia, quanto sta distruggendo boschi, laghi, fiumi, l’aria e quanto lontano, sfruttando i venti e la catena alimentare, ancora adesso si sta propagando? E sono tutte risposte che delineano uno scenario che si muove su una scala planetaria. Poi c’è la grande questione del “sarcofago”, l’enorme cassa di cemento armato che ha messo in sicurezza il reattore 4 saltato in aria, letteralmente coprendolo e impedendo che il 95% del materiale nucleare che contiene continuasse ad inquinare l’ambiente circostante: su questo Pavel Nic? ci regala delle pagine bellissime, perché lui l’ha visto crescere e costruire, al prezzo di sforzi sovrumani e di migliaia di vittime. Avrebbe dovuto durare millenni di anni, ma già oggi sulle sue mura spesse decine di metri sono evidenti moltissime crepe, anche di grandi dimensioni e nessuno sa veramente quello che sta succedendo lì dentro: se si produrrà una nuova reazione a catena resisterà il sarcofago a un’altra possibile esplosione? Pavel Nic?, questo coraggioso giornalista, per rispondere a queste domande si è messo in gioco interamente, pagando il prezzo più alto possibile, quello della vita. Le parole che ci lascia, in questo senso, sono veramente definitive. Esse non fanno parte dell’ultima cronaca di un fatto del passato, che possiamo derubricare come una parte chiusa della nostra storia, ma sono tutte, come abbiamo visto, proiettate nel nostro futuro, quello a breve e quello a lungo termine. Ed è per questo che sono preziose.
[Pavel Nica, giornalista e scrittore, ha lavorato presso la Televisione Statale Moldava e nelle redazioni delle più importanti testate del suo Paese. Intellettuale scomodo e anticonformista, e perciò osteggiato dal regime, è stato inviato speciale a Chernobyl nel 1987. I suoi articoli sono stati censurati dal governo sovietico. Questo articolo di Riccardo Iacona è la prefazione di «Chernobyl. La tragedia del XX secolo», ed. Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri; 96 pagine; 12 euro]