Non posso non ricordare che oggi è il l° maggio, festa dei lavoratori cioè di tutti, come afferma la Costituzione nel suo primo articolo. E non posso non ricordare che oggi il popolo dei credenti festeggia la beatificazione di Karol Wojtyla che fu vicario di Cristo per 27 anni. Il suo pontificato segnò una discontinuità rilevante nella storia moderna della Chiesa cattolica. Una discontinuità variamente interpretata e discussa con aspetti contraddittori, legati tuttavia da una altrettanto rilevante continuità: la denuncia dell’ingiustizia e delle ineguaglianze.
Quella denuncia è stata una costante del suo pontificato e spiega la popolarità che il suo messaggio ha avuto in tutto il pianeta, soprattutto tra gli umili e i poveri dell’America Latina, dell’Africa, dell’Oceania, dell’Est europeo. Non affrontò il tema della modernità, non risolse i problemi interni della Chiesa, anzi se ne tenne lontano. Ma il problema dell’ingiustizia fu il suo costante rovello e su di esso costruì un rapporto indissolubile con tutti i derelitti del mondo. È certamente un caso che la sua beatificazione coincida con la festa dei lavoratori, ma si tratta d’una coincidenza che ci induce a riflettere. L’ingiustizia è il solo e vero peccato del mondo e tutti ne siamo in qualche modo coinvolti sia come vittime sia come peccatori. La lotta contro quel peccato evoca due principi valoriali: la libertà e l’eguaglianza, in assenza dei quali l’ingiustizia regna sovrana.
Karol Wojtyla va ricordato per questo suo insegnamento che al di là d’ogni steccato rappresenta la sostanza nobile dell’umanità. Anche la politica dovrebbe aver presenti quei valori. Spesso li dimentica o addirittura li calpesta perdendo autorevolezza e credibilità. Noi siamo ora ad uno di questi tornanti, forse il più grave della nostra storia repubblicana. Sembra smarrito il senso profondo dell’interesse generale, dello Stato, del futuro, della giustizia. Prevale l’egoismo che divide, la rissa di tutti contro tutti. In queste condizioni un soprassalto di fierezza e di dignità è l’obiettivo urgente da realizzare. Il 3 e 4 maggio il Parlamento è chiamato ad esprimersi sul caso Libia. Il 15 e il 16 dello stesso mese 12 milioni di elettori saranno chiamati alle urne per rinnovare gli organi di governo di molti Comuni e Province. Sono due appuntamenti importanti e forse decisivi per uscire dal pantano in cui il Paese si trova da molti mesi.
Comincio da una constatazione. La Lega, per la prima volta da quando esiste, si trova in un vicolo cieco. Non condivide la politica di Berlusconi ed è tentata di staccare la spina e mandare a casa il governo di cui fa parte, ma non può. Se questo governo cadesse anche la Lega sarebbe a mal partito, chiusa nel suo egoismo territoriale. Perciò ha le mani legate e annaspa alla ricerca della “quadra”. Ma anche il governo ha le mani legate. Se Bossi decidesse di punirlo Berlusconi vedrebbe finire il suo regno, ma non è in condizione di tirarsi indietro dalle decisioni che ha preso dopo un lungo e insostenibile tergiversare con la Nato di cui facciamo parte. Perciò anche il governo è incartato come la Lega. L’uomo della mediazione potrebbe essere Tremonti? È incartato anche lui.
Il ministro dell’Economia è di fatto padrone del governo perché ha in mano la chiave della cassaforte ed è lui a decidere come spartire le poche risorse disponibili. Non gode di alcuna popolarità nel suo partito, è invece benvoluto dalla Lega. Potrebbe essere il momento giusto per lui di vibrare il colpo, ma non può. E’ lucidamente consapevole che la caduta di Berlusconi farebbe venir meno il cemento che tiene unita la coalizione di centro-destra. Perciò Tremonti non si muove. Ciascuno di questi tre soggetti politici, Bossi Berlusconi Tremonti, ha obiettivi che confliggono tra loro; l’uno ricatta gli altri e ne è ricattato. Il risultato è la paralisi del governo nel momento in cui c’è uno scontro militare in atto, un problema di immigrazione da gestire e una crisi economica che sembra avviarsi verso un nuovo culmine di speculazioni e di difficoltà. Si profila la necessità d’una manovra finanziaria da 40 miliardi. Sta emergendo una nuova e imponente bolla speculativa di titoli tossici nei portafogli delle banche americane ed europee. La Banca centrale europea è in allarme.
Di fronte a questo quadro la maggioranza è a pezzi e il governo è paralizzato. Si può continuare a lungo così? Il 3 e4 maggio, per volontà della Lega, il Parlamento dovrà pronunciarsi sui bombardamenti che alcuni aerei italiani stanno effettuando su obiettivi militari di Gheddafi nell’ambito delle operazioni decise dalla Nato in ottemperanza della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. La nostra adesione a quelle operazioni è già stata votata dal Parlamento nello scorso marzo con larga maggioranza, Lega compresa. Ma è intervenuta una novità: fino alla settimana scorsa l’Italia si limitava a fornire alcune basi militari e un contingente di aerei da ricognizione.La Nato ha ritenuto che il contributo italiano dovesse essere rafforzato e che anche i nostri aerei dovessero partecipare ai bombardamenti. Il presidente Obama ha chiamato il capo del nostro governo, Sarkozy e Cameron hanno fatto altrettanto. Il governo italiano non poteva che accettare le loro indicazioni. Ma Bossi ha messo il veto, offeso per non essere stato informato prima che la decisione venisse presa e debitamente attuata. Non vuole far cadere il governo ma lo vuole condizionare e chiede: che venga fissata una data che ponga fine alla nostra partecipazione al conflitto; che le nuove “regole d’ingaggio” dei nostri aerei non abbiano alcun riflesso tributario; che uno schieramento di navi militari impedisca l’arrivo di migranti dalle coste africane; che gli immigrati siano “spalmati” su tutti i Paesi dell’Unione europea; che non vi sia alcun intervento di truppe italiane in terra libica (ma questo è anche previsto dalla risoluzione dell’Onu). Infine la Lega chiede poltrone nel governo, nella Rai e soprattutto a Milano dove rivendica un vicesindaco forte a fianco d’una Moratti alquanto sghemba (se vincerà).
La mozione leghista è già stata presentata in Parlamento ed ora è all’esame della presidenza della Camera che vigila sull’ammissibilità dei vari documenti presentati. Alcune delle richieste leghiste saranno probabilmente accettate dal governo ma altre sembrano irricevibili. Berlusconi sembra orientato a non presentare alcuna mozione e a non fare votare nessuna di quelle delle opposizioni. Lascia a Bossi la patata bollente ma si riserva di trattare nei tre giorni che gli restano prima del voto. E le opposizioni? Le opposizioni di fatto sono due.
Il pacifismo di Di Pietro, che sa di posticcio, è poco pertinente all’attuale dibattito parlamentare. Il terzo polo appoggia le posizioni del governo. Il Pd appoggia l’evoluzione naturale delle operazioni Nato alle quali aveva già aderito in marzo. Se il partito di Berlusconi si asterrà dal voto i due documenti delle opposizioni, che presumibilmente voteranno sia il proprio che l’altro, dovrebbero sconfiggere in larga misura la mozione leghista. Il fatto avrebbe un notevolissimo rilievo politico: maggioranza divisa, Lega battuta. Tanto da prevedere una crisi di governo o quantomeno uno sconquasso nel centrodestra. Con presumibili ripercussioni sulle elezioni di metà maggio. Vorrei qui aggiungere che le opposizioni si sono fatte sfuggire qualche giorno fa l’occasione di battere la maggioranza sul documento economico presentato da Tremonti. Quaranta assenti, di cui almeno trenta ingiustificati in un passaggio parlamentare decisivo. Non risulta che il capogruppo del Pd abbia deciso le adeguate sanzioni per quei deputati che sono pagati per esser presenti a sedute di quest’importanza. Se si vuole uscire dalla palude, occasioni perse di questo genere non dovrebbero mai più ripetersi.
Una parola sul Presidente della Repubblica. Napolitano resta, e non c’era da dubitarne, un punto di riferimento essenziale. Esercita il suo mandato al di sopra delle parti e dalla parte della Costituzione, come può e come deve. L’ha ricordato ancora una volta ieri aggiungendo una nota amara sull’ipocrisia con la quale troppe volte i suoi rilievi vengono accolti dai destinatari. Ha detto “basta”, una parola ferma di cui sarà opportuno che gli interessati tengano conto. Dall’altra parte del Mediterraneo il rais libico ha annunciato che porterà la guerra in Italia, non contento di insanguinare ogni giorno il suo paese per puntellare la sua dittatura. Si tratta all’evidenza di un folle sanguinario e disperato ed è con un regime di quella fatta che la Lega vorrebbe ristabilire i rapporti rimpiangendo il bacio della mano berlusconiano del “buon tempo andato”?