È questo il cuore del manifesto, intitolato “Chiesa 2011: una svolta necessaria”, che 143 teologi cattolici di università tedesche, austriache e svizzere hanno sottoscritto, chiedendo la fine del celibato sacerdotale e l’apertura del sacerdozio alle donne, oltre alla partecipazione popolare nella elezione dei vescovi, pubblicato il 3 febbraio scorso sul quotidiano bavarese Süddeutsche Zeitung (per il testo integrale, v. il prossimo numero di Adista Documenti).
«Autocritica», «accoglienza di impulsi critici», «comunicazione», «dialogo», «svolta» sono i termini più ricorrenti in questo lungo documento, che sottolinea come le parole e l’azione della Chiesa, le sue regole e le sue strutture debbano essere improntati ai «parametri teologici fondamentali» derivanti dall’impegno della Chiesa nei confronti del Vangelo; e fondamentali per una Chiesa credibile, che sono «assoluto rispetto di ogni persona umana, attenzione alla libertà di coscienza, impegno per il diritto e la giustizia, solidarietà con i poveri e gli oppressi».
Sei sono gli ambiti di criticità evidenziati: strutture di partecipazione (occorrono più strutture sinodali, sussidiarietà, trasparenza); comunità (oggi in declino, di contro a unità amministrative sempre più grandi e dispersive che non offrono vicinanza e senso di appartenenza; i ministeri devono essere per la vita della Chiesa e in questo senso sono necessari anche preti sposati e donne sacerdote); cultura del diritto (equità e giustizia nei conflitti richiedono la creazione di una giurisdizione amministrativa ecclesiale); libertà di coscienza (occorre che la Chiesa abbia fiducia nella capacità di decisione e di responsabilità degli uomini; si chiede di non escludere dalla Chiesa le persone «che vivono responsabilmente l’amore, la fedeltà e la cura reciproca in una unione omosessuale o come divorziati risposati»); riconciliazione (un «pretenzioso rigorismo morale» non si confà alla Chiesa, che deve creare al suo interno i presupposti per la riconciliazione); celebrazione (spazio nella liturgia alle esperienze, alle forme di espressione attuali e alla molteplicità culturale; essa non deve irrigidirsi in tradizionalismo).
Ciò che i teologi chiedono, dunque, è che all’interno della Chiesa vi sia un «libero ed equo scambio di argomentazioni» per cercare soluzioni che traghettino la Chiesa fuori dalla sua «paralizzante autoreferenzialità». D’altra parte, una pace senza dialogo e senza svolta non sarebbe che una «pace tombale», dettata unicamente dalla paura.
Tra i firmatari del manifesto, diversi i nomi noti: Ottmar Fuchs e Peter Hünermann, dell’Università di Tübingen; Norbert Mette, di Dortmund ; Dietmar Mieth, di Erfurt e Tübingen ; Otto Hermann Pesch, di Amburgo, Antonio Autiero, dell’Università di Münster; Leo Karrer, di Freiburg/Svizzera, per citare i più conosciuti.
La risposta della gerarchia ecclesiale non si è fatta attendere: il giorno successivo alla pubblicazione del manifesto, è arrivata una nota del segretario della Conferenza episcopale tedesca, il gesuita p. Peter Hans Langendörfe, priva di espressioni troppo decise e frontali: «È un buon segnale - afferma - che anche i firmatari di questo memorandum vogliano partecipare al dialogo» strutturato tra vescovi e accademici; il documento, aggiunge tuttavia, «raccoglie in sostanza idee spesso già dibattute. Per questo non è null’altro che un primo passo». Su una serie di questioni, poi, esso si pone «in conflitto con convinzioni teologiche e definizioni ecclesiastiche di carattere altamente vincolante»; su tali questioni, è necessario un «ulteriore e urgente chiarimento». La Conferenza episcopale, peraltro, che metterà all’ordine del giorno della prossima assemblea questi temi, ammette che la Chiesa debba riconoscere «errori e inadempienze del passato, così come deficit e esigenze di riforma del presente», senza sottrarsi a «temi ingombranti», e che la paura «in effetti non è una buona consigliera».
(ludovica eugenio)