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Martedì, 22 Febbraio 2011 22:54

Quale presenza cristiana in una societa’ secolarizzata. Uruguay

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Intervista a Pablo Bonavia

Pablo Bonavia, sacerdote e teologo uruguayano, insegna all'Istituto Teologico dell'Uruguay "Mariano Soler" di Montevideo ed è membro di amerindia, la rete dei teologi della liberazione latinoamerican.

Oggi viviamo la fine di una fase del capitalismo segnata dal neoliberismo che ci ha spinto a”condurre uno stile di vita in cui dovevamo comprare cose di cui non avevamo bisogno con denaro che non avevamo per impressionare persone che non conoscevamo”

L’Uruguay si ritrovò tremendamente impoverito,con buona parte dei suoi esponenti intellettualmente più dinamici in esilio,con molte pubblicazioni interrotte,…e perciò assai meno creativo. Ci furono cambiamenti anche ai vertici della Chiesa, col venir meno di figure di spicco,per cui oggi a livello pastorale e di riflessione teologica si produce poco e senza il sostegno delle autorità ecclesiastiche

La Chiesa dell'Uruguay è stata in prima fila nel rinnovamento postconciliare, dando un contributo rilevante alla teologia latino americana, specie a quella della liberazione, con figure come Juan Luis Segundo. Negli ultimi anni questo protagonismo è venuto un po' meno. Che ne pensa?
L'Uruguay ha avuto una notevole capacità di assimilare, prima, durante e dopo il Concilio, le grandi correnti di rinnovamento della Chiesa. Già alla fine degli anni '50 c'era un'effervescenza in termini di spiritualità, studi biblici, iniziative pastorali, che implicavano un forte coinvolgimento personale: ogni giorno qualcuno decideva di andare a lavorare nei quartieri poveri. Fu un tempo di grande creatività e impegno. Il Concilio trovò una Chiesa aperta e un paese preparato al cambiamento, soprattutto perché l'Uruguay aveva una lunga tradizione di pensiero laico che aveva abituato la Chiesa locale a dar ragione delle proprie posizioni, a confrontarsi, a essere critica e autocritica. In questo contesto vescovi come mons. Carlos Parteli, di Montevideo, o mons. Marcelo Mendiharat, di Salto (che visse 10 anni in esilio a causa della dittatura), fecero sì che le comunità assimilassero con creatività, rapidità e profondità il Concilio e le successive Conferenze dell'episcopato latinoamericano, soprattutto quella di Medellin. Ma nel momento di maggiore partecipazione ed entusiasmo per quella maniera diversa di rendere visibile la presenza dei cristiani nella società fu instaurata la dittatura,. che significò una drastica cesura nella cultura politica uruguayana, nelle tradizioni civili del paese e nell'azione ecclesiale, perché una Chiesa, che aveva scelto di evangelizzare la società in ambiti condivisi con tutti, resta un po' paralizzata quando questi sono vietati e criminalizzati, oltre a subire anch'essa una grande persecuzione.

E quando finisce la dittatura ...
 L'Uruguay si ritrova tremendamente impoverito, con buona parte dei suoi esponenti intellettualmente più dinamici in esilio, con molte pubblicazioni interrotte, ecc., e perciò assai meno creativo. Ci furono cambiamenti anche ai vertici della Chiesa, col venir meno di figure di spicco, per cui oggi a livello pastorale e di riflessione teologica si produce poco e senza il sostegno delle autorità ecclesiastiche. Ciò non significa che ci sono conflitti, ma mancano proposte in grado di illuminare un momento nuovo del mondo e del continente. La ricerca prosegue in piccoli gruppi, come le Comunità ecclesiali di base e il ~Movimento dei professionisti cattolici, ma di rado la riflessione assume forma pubblica, anche perché mancano sedi di dibattito intraecclesiale. D'altro canto i vescovi protagonisti di Medellin giunsero alla Conferenza già convertiti da un nuovo modo di vivere il ministero ed essere Chiesa che già stavano sperimentando nei propri paesi, per cui riproposero per il continente le esperienze e iniziative presenti nelle loro comunità. Quindi il rinnovamento della Chiesa oggi verrà da comunità in cui si sta vivendo la novità più che da leader capaci di fare proposte nuove.

Ci sono altre esperienze pastorali innovative?
L'Osservatorio del Sud (Obsur) ha appena pubblicato uno studio da cui emerge che l'accompagnamento da parte di comunità religiose femminili ha creato un tipo di parrocchia differente. Di solito le parrocchie sono abitate da una logica molto verticale e maschile; le comunità religiose femminili invece sono riuscite a configurare prima di tutto un luogo di incontro, di fronte a una società molto frammentata, in cui l'economia neoliberale, la cultura consumista e spesso la violenza diffusa hanno spinto la gente a ripiegarsi su se stessa. Una comunità parrocchiale dovrebbe avere una dinamica e uno spirito molto più simile a una casa che a un ufficio.
Inoltre, da noi la riflessione teologica e pastorale continua a avere come riferimento un mondo secolarizzato, per cui può dare un contributo specifico, a differenza di altri paesi dell'America latina dove il pluralismo religioso, sempre più forte, sta chiedendo un modo diverso di trasmettere la fede. In questo senso vanno i tentativi di rinnovamento della catechesi e della liturgia che molto lentamente si fanno strada.
In Amerindia stiamo cercando di riflettere su una nuova spiritualità che, anche col contributo di chi non crede o non è cristiano, dia forza a un nuovo soggetto storico capace di promuovere in America latina un'integrazione differente dei nostri paesi e' delle nostre culture. La crisi ecologica, economica e culturale domanda, infatti, a tutti i gruppi religiosi, compresi gli umanisti non religiosi, un modo diverso di porsi nei confronti della società, della terra, dell’ambiente. Oggi viviamo la fine di una fase del capitalismo, che è stata segnata dal neoliberismo e ci ha spinto a "condurre uno stile di vita in cui dovevamo comprare cose di cui non avevamo bisogno con denaro che non avevamo per impressionare persone che non conoscevamo", per cui serve una nuova idea di convivenza, in vista della quale la Chiesa può offrire una parola e una testimonianza opportuna.

Pur in questo contesto secolarizzato, la Conferenza episcopale mostra atteggiamenti e preoccupazioni simili a quelle degli episcopati di altri paesi.
L'Uruguay ha spazi culturali e politici pluralisti, in cui il rispetto e l'autorità morale di una proposta non dipende dalla sua matrice ecclesiale, ma dalla sua effettiva capacità umanizzatrice, di raccogliere desideri e contributi che dormono nella pratica quotidiana. In questo senso c'è una tradizione di presenza oggi tenuta viva da diversi gruppi laicali o comunità, ma le autorità ecclesiastiche non promuovono e appoggiano queste esperienze. Nei vertici della Chiesa prevale un atteggiamento difensivo perché in un contesto pluralista o ti ripieghi su te stesso, come sta avvenendo, o scommetti su una presenza sociale molto creativa, ma questa richiede una grande libertà d'azione, che oggi non è incentivata dall'alto.

Come vede le elezioni presidenziali e politiche del 25 ottobre?.
L'esecutivo uscente conta su un vasto appoggio popolare. Il presidente della Repubblica, Tabaré Vasquez, gode di un consenso superiore al 50% e ha governato in modo soddisfacente nel campo dei diritti umani, nelle politiche sociali. Tuttavia il moltiplicarsi delle pressioni sociali e i condizionamenti internazionali (economici e culturali), in un paese piccolo come l'Uruguay, rendono necessario un cambiamento e un rafforzamento della società civile, ricostruendo spazi di solidarietà in cui non sia il mercato a determinare in ultima istanza i comportamenti, ma neppure predomini un'aspettativa messianica nei confronti dello Stato. D'altro canto non è scontato che il Fronte Ampio rivinca le elezioni, non tanto per capacità dell'opposizione, ma perché nello stesso centrosinistra ci sono conflitti che ostacolano la definizione di un programma politico coerente e ne indeboliscono l'immagine agli occhi della popolazione. A ciò contribuisce anche la scarsa cultura di governo, poiché la sinistra era sempre stata abituata a fare opposizione.

In questi anni il governo del Fronte Ampio ha favorito lo sviluppo dei movimenti sociali o provocato una loro mobilitazione?
Entrambe le tesi hanno sostenitori. Alcuni pensano che soprattutto i sindacati abbiano perso un po' di autonomia rispetto al governo, mentre altri sono convinti che i movimenti sociali stessi abbiano voluto assolutamente evitare di favorire una sconfitta elettorale del Fronte ampio, per cui sono stati critici, ma senza estremizzare le posizioni per evitare di indebolire il governo e garantire invece la continuità del progetto progressista.
Si è raggiunta una partecipazione, a mio parere non sufficiente, perché credo che gli organismi dello Stato dovrebbero capitalizzare molto di più l'esperienza dei movimenti sociali uruguayani.

Come valuta il ruolo svolto del padre Uberfil Monzon nel governo?
Sono stati due i preti a ricoprire incarichi nel governo di Tabaré Vasquez: p. Monzon, che è presidente dell'Istituto nazionale di alimentazione, che gestisce programmi di assistenza alle famiglie povere, e il salesiano Mateo Mendez, che ha diretto l'Istituto tecnico di riabilitazione giovanile (Interj), incaricato della riabilitazione di detenuti adolescenti (p. Mendez si è dimesso alla fine di febbraio di quest'anno accusando i funzionari dell'Interj di essere corrotti e di boicottare il suo programma educativo - ndr). Si è trattato in entrambi i casi di esperienze molto interessanti, perché implicano la guida di organismi statali da parte di persone di militanza ecclesiale pubblica, scelte sulla base della competenza a operare coi settori sociali più vulnerabili. Entrambi hanno svolto un lavoro molto positivo, che non hanno comportato problemi ecclesiali, se si esclude il caso in cui l'arcidiocesi di Montevideo ha criticato p. Monzon per aver detto che la dottrina sociale della Chiesa in alcuni casi consente il furto. A p. Monzon, comunque, è stata proibita la celebrazione pubblica della Messa finché conserva questo ruolo amministrativo, mentre a p. Mendez no, anche perché ha assunto l'incarico con l'appoggio del suo istituto. Sono due esempi di quella che potrebbe essere la presenza della Chiesa, ma restano fatti isolati. Comunque questa presenza in una società secolarizzata passa soprattutto attraverso l'impegno di laici e laiche, che, a partire dalla loro responsabilità battesimale, condividono la vita quotidiana, il lavoro, l'azione sociale e politica. E sono loro che più hanno bisogno di spazi di dialogo e appoggio delle comunità cristiane e dei vescovi.

A cura di Mauro Castagnaro
Missione Oggi – ottobre 2010

Letto 3608 volte Ultima modifica il Mercoledì, 23 Febbraio 2011 21:11

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