Tre riviste del mondo missionario – Missione Oggi (missionari saveriani), Mosaico di Pace (Pax Christi), Nigrizia (missionari comboniani) – decidono di aggiungere qualcosa in più al loro lavoro di critica al sistema armiero italiano e di dare una maggiore sottolineatura alle informazioni sul commercio di armi e su chi lo supporta.
Decidono, cioè, di chiamare in causa direttamente le parrocchie, le diocesi e gli istituti religiosi, e naturalmente i propri lettori, invitandoli a inviare una lettera alle proprie banche di riferimento. Viene richiesta una doppia azione: chiedere all’istituto di credito di confermare o smentire, per iscritto, il coinvolgimento in operazioni di appoggio bancario (con relativo compenso di intermediazione) all’esportazione di armi; in caso di non risposta o di risposta vaga, tagliare i ponti con la banca e rendere pubblica la scelta.
Si può dire che l’avvio, nel dicembre del 1999, vigilia dell’anno del Giubileo, della Campagna di pressione alle “Banche armate” è un ulteriore sviluppo di quelle mobilitazioni – ricordiamo i Beati i costruttori di pace all’Arena di Verona – che negli anni ’80 sollecitarono il parlamento a dotare l’Italia di una legge che introducesse un minimo di controllo e di trasparenza nel business delle armi. Così è nata la legge 185 del 1990, che vieta di vendere armi a dittatori, a nazioni in guerra e a paesi che violano i diritti umani. E che vincola la presidenza del consiglio a informare ogni anno il parlamento con un’apposita relazione.
La prima reazione arriva dalla associazione “Chiama l’Africa” che, nell’aderire alla Campagna (come faranno negli anni tante realtà associative), propone un facsimile di lettera da inviare alle banche. Un passaggio: «Ritengo che l’attività economica e finanziaria non possa sottovalutare il suo impatto sui diritti umani. Banche e imprese dovrebbero considerare le conseguenze sociali ed etiche delle loro azioni economiche. Da questo punto di vista, il commercio delle armi continua ad alimentare guerre e violazioni dei diritti umani in tutto il mondo».
Le lettere cominciano a fioccare fin dai primi mesi. Non siamo in grado di quantificarle, perché non tutti i cittadini consumatori di prodotti bancari o le parrocchie, che nei fatti hanno aderito alla Campagna, ci hanno inviato copia della lettera. Si tratta, comunque, di un flusso tale da far reagire le banche. Che in genere rispondono che non stanno violando nessuna legge.
In realtà,
BRECCE APERTE
La prima delle banche ad annunciare la marcia indietro è Unicredito. Il gruppo bancario, che nel 1999 è in testa alla lista delle “banche armate” con un impegno di oltre 1.200 miliardi di lire, annuncia di abbandonare il business dei finanziamenti alla produzione militare. In nome della responsabilità sociale: «A dicembre 2000 abbiamo deciso di centralizzare la gestione delle operazioni in questo campo, revocando l’operatività delle sedi periferiche. L’idea è di sganciarci sin dalla fine del 2001 da questo tipo di attività. Certo ci vorrà qualche anno perché vadano a esaurirsi le operazioni precedenti. Quella dell’operatività sulle armi è un’eredità del Credito Italiano, banca di provenienza Iri. La nostra, però, è una strategia più ampia: non rispondere solo agli azionisti ma anche alla società».
La pista imboccata da Unicredito (che è ancora lontana dal concludersi, come si può vedere nella relazione 2009, anche perché, nel frattempo, è diventato UniCredit Group e ha inglobato altre “banche armate”) viene percorsa anche dal Monte dei Paschi di Siena che, nel 2003, quasi azzera le operazioni relative all’import-export di armi. Nello stesso anno c’è da registrare anche la decisione di Banca Intesa di disimpegnarsi da questo campo. Da se-gnalare, poi, il disimpegno della Cassa di Risparmio di Firenze, che però nel 2003 acquisisce
Il fatto che
Insomma,
SERVE UN OSSERVATORIO
Che la legge 185/90 sia da sempre sul gozzo alla lobby delle armi, Finmeccanica in testa, lo si sa. E infatti, tra il 2002 e il 2003 c’è da parte della maggioranza di governo (Berlusconi) un pesante tentativo – riuscito solo in parte – di disinnescarla. Nel contesto della ratifica dell’accordo di Farnborough (siglato nel luglio 2000 da Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia e Regno Unito) e «per facilitare la ristrutturazione e le attività dell’industria europea di difesa», il 3 giugno del 2003 la camera vota alcune modifiche della 185. Ora, per non vendere armi a.un paese che viola i diritti umani deve essere accertato che queste violazioni sono «gravi». Inoltre, l’introduzione della “licenza globale di progetto” per l’import-export o per transiti di materiale di armamento fatto da imprese italiane in collaborazione con imprese Ue e Nato, allarga le maglie dei controlli e può consentire pericolose triangolazioni di armi a paesi terzi. Tuttavia, grazie alla pressione esercitata dalla Campagna “Contro i mercanti di morte: difendiamo la
Oltre che con i mercanti d’armi,
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Dossier Nigrizia