Mondo Oggi

Martedì, 30 Marzo 2010 19:45

Il nome politico dell'amore

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Come il socialismo coniuga la virtù cristiana della carità

 Perché il socialismo — che, in teoria, si prefigge di essere un’alternativa umanitaria al capitalismo — ha fallito così miseramente in Europa e in Asia? Al riguardo, sono state formulate varie ipotesi e spiegazioni.

Personalmente, ritengo che il capitalismo, attraverso la privatizzazione dei beni materiali, abbia avuto l’accortezza (o l’astuzia?) di socializzare i beni simbolici. Così, tra le quattro pareti di una catapecchia di una qualsiasi favela di Rio de Janeiro, una famiglia che versa nella miseria e che è priva dei diritti fondamentali (quali quello al cibo, alla salute e all’educazione) può sognare l’universo simbolico raffigurato nelle telenovelas e credere che, prima o poi, attraverso la vincita a una lotteria, un colpo di fortuna o l’affiliazione a una delle tante sette pentecostali di matrice nord-americana che promettono il paradiso in terra — o anche attraverso attività criminali — potrà avere accesso agli odierni beni di consumo.

Il socialismo, socializzando i beni materiali, ha commesso una serie di errori: ha privatizzato i beni simbolici; ha confuso la critica costruttiva con la contro-rivoluzione; ha ristretto l’autonomia della società civile, legando i movimenti sociali e i sindacati al guinzaglio dei partiti; ha inibito la creatività artistica in nome del realismo socialista; ha permesso alle sfere del potere di tramutarsi in caste di privilegiati che vivono isolate e lontane dalle aspettative del popolo; è caduto nel paradosso di raggiungere primati significativi nella conquista spaziale, senza riuscire a fornire adeguatamente di generi di prima necessità i mercati e i negozi al dettaglio.

Oggi Cuba — sempre più orgogliosa della sua rivoluzione — continua a essere un esempio di nazione socialista. Tutti conosciamo le sfide e i problemi che questa rivoluzione — ormai prossima a festeggiare il mezzo secolo di vita — deve ancora affrontare. D’altra parte, non possiamo ignorare sia i disastrosi effetti causati dal criminale e prolungato embargo imposto a Cuba dai governi degli Stati Uniti, sia il deterioramento dell’economia dell’isola seguito alla caduta del muro di Berlino.

Eppure, nonostante tutte queste difficoltà, in 49 anni di rivoluzione Cuba non solo ha garantito all’intera popolazione nazionale tre importanti diritti umani basilari (cibo, salute ed educazione), ma ha anche incrementato l’autostima dei propri cittadini, espressa così chiaramente nelle loro vittorie nei campi dell’arte e dello sport, come pure in termini di solidarietà internazionale attraverso migliaia e migliaia di professionisti cubani impegnati in progetti di sanità e di educazione in oltre 100 nazioni, molto spesso in zone inospitali e contrassegnate da povertà e miseria.

Il socialismo cubano non deve fallire. Se ciò accadesse, non solo Cuba sparirebbe come simbolo (subendo lo stesso destino toccato all’Unione Sovietica), ma ci troveremmo anche davanti alla terribile conferma delle previsioni fatte dal politologo statunitense Francis Fukuyama: che «la storia è terminata»; che la speranza (una virtù teologale per i cristiani) è finita; che un’utopia è morta; e che il capitalismo ha vinto. Una vittoria, beninteso, solo per pochi: un mero 20% della popolazione del mondo, che gode dei vantaggi del progresso, a spese di montagne di cadaveri e di vittime.

Noi, amici della rivoluzione cubana, non riponiamo la nostra speranza nei progressi tecnologici e scientifici dell’isola, nello sviluppo dei suoi servizi turistici o nei suoi sempre prestigiosi palmarès in competizioni sportive. Noi stiamo aspettando molto più di questo. Continuiamo a sognare quell’“azione di solidarietà” di cui parlava il politico, poeta e scrittore cubano José Julián Martí Pérez (1853-1895), leader del movimento per l’indipendenza e grande eroe nazionale. Sogniamo la felicità di un popolo, costruita sulla base di valori etici e spirituali. Aspettiamo la traduzione nella pratica del principio evangelico della condivisione dei beni. Attendiamo la creazione di un nuovo uomo e di una nuova donna (come aveva sognato Ernesto “Che” Guevara): esseri umani nuovi, volti non al possesso di beni terreni, ma al conseguimento di beni spirituali (quali la generosità, il distacco, la fraternità, la capacità di far coincidere la felicità personale con le conquiste comunitarie). Il socialismo altro non è che il nome politico dell’amore.

 

di Frei Betto

Nigrizia Settembre 2008

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