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Martedì, 30 Marzo 2010 19:41

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L’EREDITÀ CONCILIARE: SI RIAPRE IL CONFRONTO

Al centro del dibattito vi è la ben nota affermazione del Vaticano II

subsist in Ecclesia catholica.

 

Pochi punti infiammano ancora il dibattito sull’eredità del Concilio, come l’affermazione che «la Chiesa di Cristo subsistit in Ecclesia catholica» (LG 8). Peraltro, l’estremizzazione delle tesi tende a sovrapporre la virulenza ideologica a una sana ermeneutica del testo, con il rischio di compromettere il vero progresso dottrinale avvenuto al Concilio. Da una parte, infatti, stanno i fautori di una estensione del testo, per i quali il fatto che esistano «molteplici elementi di santificazione e di verità» anche fuori della Chiesa cattolica equivale a dire che in ogni Chiesa e Comunità ecclesiale sussiste la Chiesa di Cristo; dall’altra militano i sostenitori di un ritorno alla “sana dottrina cattolica”, i quali invocano di ripristinare l’identità tra Chiesa cattolica e Chiesa di Cristo (la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica), negando che esistano elementa Ecclesiae anche fuori della Chiesa cattolica. E se, per raggiungere tale risultato, è necessario cancellare il Vaticano Il, non esitano in questa pretesa, indicando il Concilio come fonte di tutti i mali della Chiesa e causa di un relativismo dottrinale che avrebbe minato il solido impianto della fede.

La Lumen gentium afferma ambedue le verità, fissando con giusta misura il peso dell’una e dell’altra. Per cui entrambe le posizioni contravvengono al dettato conciliare, e dovrebbero configurarsi come aperto dissenso nei confronti del magistero ecclesiale espresso da un Concilio ecumenico e sottoscritto dal Papa, il quale ha sempre promulgato i documenti con la formula una cum Patribus. Per questo sorprende che nei confronti dell’una e dell’altra forma di contestazione vengano adottate prese di posizione assai diverse: insistente e puntigliosa verso la prima, tollerante e spesso bonaria verso la seconda. Quasi che riaffermare l’esclusivismo ecclesiologico non fosse altrettanto pericoloso che negare l’identità della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica. Questa differente disposizione sembra emergere anche dai tre documenti della Congregazione per la dottrina della fede che sono intervenuti sulla questione: la dichiarazione Mysterium Ecclesiae (24.06.1973la dichiarazione Dominus lesus (6.8.2000) e le Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa (29. 6.2007).

Nel primo documento la Congregazione ribadiva la dottrina del Vaticano I!, per indicare poi le conseguenze che ne derivavano sul piano della prassi ecclesiale: «Per tali ragioni, “è necessario che i cattolici riconoscano con gioia e apprezzino i valori genuinamente cristiani, derivanti dallo stesso patrimonio comune, che si riscontrano presso i fratelli da noi separati” (Unitatis redintegratio 4) e che, in un comune sforzo di purificazione e di rinnovamento, si impegnino per la ricomposizione dell’unità di tutti i cristiani [.--.]. Ma, al tempo stesso, i cattolici sono tenuti a professare di appartenere, per misericordioso dono di Dio, alla Chiesa fondata da Cristo e guidata dai successori di Pietro e degli altri apostoli […]. Non possono, quindi, i fedeli, immaginarsi la Chiesa di Cristo come la somma - differenziata e in qualche modo unitaria insieme - delle Chiese e Comunità ecclesiali; né hanno facoltà di pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che perciò debba essere soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e Comunità».

La Dominus Iesus è intervenuta a puntualizzare il significato della formula subsistit in. «Con l’espressione subsistit in il concilio Vaticano II volle armonizzare due affermazioni dottrinali», afferma la Dichiarazione, che dice «contraria al significato autentico del testo l’interpretazione di coloro che dalla formula subsistit in ricavano la tesi secondo la quale l’unica Chiesa di Cristo potrebbe pure sussistere in Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche». Nei quesiti 2 e 3 delle Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa, la Congregazione ribadisce che la formula subsistit in «può essere riferita unicamente alla Chiesa cattolica», mentre «si può correttamente affermare che la Chiesa di Cristo è presente e operante nelle Chiese e nelle Comunità ecclesiali non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica, grazie agli elementi di santificazione e di verità che sono presenti in esse».

È del tutto plausibile che le differenze verso le due posizioni non dipendano da una qualche forma di preferenza, ma dal semplice fatto che una delle due tesi appare come una battaglia di retroguardia, che non merita attenzione. E tuttavia, porsi la domanda se “il Vaticano Il ha cambiato la precedente dottrina sulla Chiesa”, per quanto retorica, rischia di dare fiato a chi - sul versante del tradizionalismo - persegue, rispetto al Vaticano Il, quella «ermeneutica della discontinuità e della rottura» stigmatizzata da Benedetto XVI.

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di Dario Vitali

VITA PASTORALE N. 11/2008

 

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