IL BONAPARTISMO DI BERLUSCONI, IL BERLUSCONISMO DI SARKOZY
di Christophe Ventura
Carta Settembre 2008
Christophe Ventura è un vecchio amico di Carta che ha lavorato a lungo in Attac France ed è oggi impegnato, con Bernard Cassen e lgnacio Ramonet, nella rivista Mémoire des luttes. Questo suo articolo è stato pubblicato in Francia nel sito del settimanale Marianne (www.marianne2.frl) e comparirà nelle edizioni in lingua spagnola di le Monde diplomatique. Ci è parso un utile sguado sull’Italia da un paese, la Francia, dove ci si chiede in modo sempre più allarmato in cosa Sarkozy assomigli a Berlusconi.
Come in Francia, la standardizzazione neolibèrista dello spazio politico - ormai dominato da due grandi blocchi e con la sinistra politica scomparsa dalla scena istituzionale - si traduce nell’avvento ideologico ed elettorale di una destra di nuovo genere, fenomeno che si può misurare dai decreti sulla sicurezza.
Una miscela di bonapartismo economico e sociale che attinge ai registri della personalizzazione nell’esercizio del potere, dell’autoritarismo, così come del nazionalismo liberaI-economico integrato nel quadro di funzionamento dell’unione europea e del capitalismo mondializzato
Un regime inedito, che prende in prestito dal neoliberismo le logiche di sottomissione della società agli imperativi del mercato, e dal patriottismo conservatore un discorso di tipo nazionalista che dovrebbe rassicurare le classi medie: qui si vedono le convergenze con il sarkozysmo francese
Alcuni media francesi si interrogano sul senso della decisione del governo di Silvio Berlusconi di dispiegare tremila soldati in diverse città del paese. Nuova facezia comunicativa? Giro di vite sulla sicurezza? Secondo il ministro degli interni italiano, Roberto Maroni, questa decisione mira a «dare ai cittadini un senso di sicurezza». In realtà, si iscrive in un progetto politico molto più ampio e inquietante. Secondo il settimanale Carta, il governo Berlusconi, alleato alle forze post-fasciste, è profondamente diverso rispetto a quello che il cavaliere guidava nel 2001, e sarebbe sul punto di condurre una «guerra-lampo» contro la società italiana. Per Pierluigi Sullo, questo governo «non impersona la faccia feroce di un neoliberismo ridanciano, come voleva presentarsi nel 2001. È peggio di così, molto peggio. Non abbiamo ancora iniziato a capire la sua vera natura».
Una vita democratica ridotta
L’analisi merita un approfondimento. La situazione italiana è caratterizzata da una doppia evoluzione politica ricca di insegnamenti per il resto dell’Europa, in particolare per la Francia. Innanzitutto, il sistema politico ha appena subito una mutazione profonda; la scomparsa dalla scena istituzionale della sinistra «di sinistra» di partito e, più oltre, il declino delle forme storiche di organizzazione del movimento operaio del diciannovesimo e ventesimo secolo, e quindi delle vecchie forme di. rapporti sociali.
Allo stesso tempo, si sta consolidando in modo durevole un bipartitismo fondato su un consenso ideologico liberista, che riduce la vita democratica in modo quantitativo - diminuzione del numero degli attori nello spazio politico a favore della costituzione di blocchi che assorbono i partiti minori - e qualitativa: restringimento delle opzioni politiche e ideologiche offerte ai cittadini.
Come in Francia, questa standardizzazione neoliberista si traduce nell’avvento ideologico ed elettorale di una destra molto particolare quanto alle sue forme di espressione e al suo programma politico, economico e sociale. Identificare il pacchetto di misure prese quest’estate con i «decreti di emergenza» permette di misurare la dimensione del fenomeno, essendo il ruolo del parlamento limitato alla ratifica delle decisioni dell’esecutivo.
Sul piano finanziario e fiscale, il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha elaborato un piano triennale 2009-2011 che punta al ridimensionamento delle spese pubbliche, prevede una diminuzione a tutto spiano dei bilanci dello stato per la salute, le pensioni, l’ambiente (più il rilancio della scelta nucleare), l’educazione, ecc., a favore dell’aumento della partecipazione del settore privato. Prima dell’ipotetico arrivo di qualcuno in grado di rilevare Alitalia (questo articolo è scritto prima della costituzione della cordata italiana, ndt) il salvataggio della compagnia di bandiera è stato garantito grazie a tagli netti ai fondi della sicurezza stradale, della cultura, dei piani di riforestazione, ecc. Il piano Tremonti dà inoltre nuovi privilegi fiscali alle categorie sociali più agiate: abbattimenti diversi di tasse, facilitazione dell’evasione fiscale per le imprese...
Decreti in ogni campo
Sul piano sociale, il decreto 112 è un’ode alla «flessibilità» definita e promossa dall’Unione europea: smantellamento del contratto a tempo indeterminato, aumento dell’orario di lavoro, rafforzamento del diritto delle imprese a licenziare senza indennità, complicazione e limitazione delle possibilità di ricorso alla giustizia da parte dei dipendenti, ecc.
In materia di sicurezza, quattro decreti permettono alle forze armate di intervenire direttamente:
- nel campo della sicurezza civile [sorveglianza dei luoghi pubblici, aeroporti, stazioni, partecipazione alle pattuglie di polizia, ecc.];
- nel campo dell’attuazione dello «stato di emergenza in materia di immigrazione», decretato il 25 luglio in piena campagna anti-rom. Questo stato di emergenza prevede il rilancio delle politiche di quote [che equivalgono ad affidare alla Confindustria la gestione diretta dei permessi di soggiorno nel paese], il rafforzamento delle politiche di espulsione, la penalizzazione dello statuto di «clandestino» [circa un milione di persone sono interessate], e l’aumento della durata di detenzione amministrativa dei migranti a 18 mesi;
- A Napoli, nella molto mediatica vicenda dei rifiuti.
In materia di educazione, è previsto un abbassamento dei finanziamenti pubblici di 1,3 miliardi di euro in cinque anni. Il governo conta di compensare facilitando l’ingresso massiccio di fondazioni private nelle università.
Per quanto riguarda il diritto all’informazione, è stato deciso di ridurre di metà il contributo pubblico all’editoria, rafforzando così l’iper-concentramento del settore dei media italiani. Numerose pubblicazioni e giornali di informazione e di opinione non sopravviveranno a questa decisione.
Retorica economica patriottica [Alitalia e critiche della Banca centrale europea]; apertura di un mercato dell’educazione; mobilitazione del settore padronale; stigmatizzazione della figura del migrante; rafforzamento della liberalizzazione del lavoro e della concorrenza tra lavoratori; arricchimento delle categorie più agiate; inquadramento ideologico e sottomissione della popolazione alle logiche private e della competitività [media e educazione]; ricorso al tutto-securitario [esercito nello spazio pubblico]: questi sono gli assi di un nuovo tipo di regime politico nazionale. Questa miscela di neo-bonapartismo politico e sociale attinge ai registri della personalizzazione dell’esercizio del potere, dell’autoritarismo, della repressione e della reazione, così come del nazionalismo liberal-economico integrato nel quadro di funzionamento dell’Unione europea e nel capitalismo mondializzato.
Su quest’ultimo punto bisogna segnalare un’altra proposta, sintomatica, del ministro Tremonti, fatta il 6 luglio alla vigilia del Consiglio Ecofin [riunione dei ministri dell’economia e delle finanze dell’Ue], nell’ambito di un discorso virulento contro la speculazione finanziaria (che si appoggiava su alcune dichiarazioni di papa Benedetto XVI), il «globalismo» e l’invasione delle merci cinesi: la creazione di una tassa sui superprofitti dei giganti petroliferi, delle banche e delle assicurazioni, oramai chiamata «Robin tax» nei media - proposta poi ripresa da Silvio Berlusconi durante la riunione del G8 in Giappone. Il governo recupera così, in modo demagogico e in nome di una pretesa difesa del popolo contro gli eccessi dei mercati, il riferimento simbolico alla Tobin tax promossa dal movimento altermondialista contro il capitalismo finanziario e per il finanziamento dello sviluppo.
Silvio Berlusconi, il cui vero programma mostra a che punto si preoccupa delle categorie popolari, distrae così l’attenzione, e pratica, in modo strutturale e con la collaborazione di un enorme apparato mediatico, la politica dell’«effetto annuncio».
Una comunicazione distato privata
Questo regime è inedito. Prende in prestito dal neoliberismo le logiche di sottomissione della società agli imperativi dell’economia e dei mercati, e dal patriottismo conservatore un discorso di tipo nazionalista che dovrebbe lusingare e rassicurare le classi medie e la piccola borghesia. Dà impulso anche a una forte mobilitazione securitaria delle istituzioni dello stato che deve permettere, all’occorrenza, il controllo della società e di eventuali disordini sociali.
Infine, per mezzo di una «comunicazione di stato privata» resa possibile dall’influenza di Silvio Berlusconi sui media, sviluppa una «privatizzazione dello spazio pubblico» - secondo l’espressione di Marco Revelli - in modo da controllarlo meglio e manipolarlo. In un contesto di rallentamento economico e di esplosione delle disuguaglianze sociali - amplificate dall’onda d’urto della triplice crisi finanziaria, energetica - e alimentare mondiali - l’offensiva berlusconiana potrebbe testimoniare un’evoluzione più generale delle forme del neoliberismo in Europa: più nazionale, più intimamente gestito da uno Stato dalle tendenze repressive, e condotto da un esecutivo forte, nell’ambito di una “democrazia limitata”.
E questo accade nel momento in cui il capitalismo malato amputa - per la prima volta da decenni - i guadagni di diverse frazioni delle classi dominanti e dei dirigenti nazionali, e in cui produce sempre più povertà, malcontento sociale, rimesse in discussione intellettuali, concorrenza tra i dipendenti, i lavoratori poveri e gli esclusi dal lavoro, etc.
Le convergenze con Il sarkozysmo
Si tratta di una ricomposizione/riconfigurazione di borghesie nazionali o di interessi di classi borghesi nazionali nell’ambito della mondializzazione? Sarebbe avventuroso trarre conclusioni troppo affrettate. Tuttavia questo tipo di potere, di cui si vedono le convergenze con il sarkozysmo e con le politiche dell’Unione europea, conferma che anche se sviluppano il corso mercantile e devastatore della mondializzazione, le élites europee non si trovano più nella situazione degli anni novanta e dell’inizio degli anni 2000. Non applicheranno più esattamente lo stesso neoliberalismo, né allo stesso modo. Bisogna tornare agli anni trenta, per trovare un riferimento storico che sostiene il paragone con le dimensioni della crisi attuale del capitalismo. Non sarebbe serio vedere nell’emergenza del «sarkocapitalismo» la ripetizione dell’ascesa del fascismo in Europa. Tuttavia, questo fenomeno è significativo di una nuova tendenza autoritaria in seno alle élites europee, alle prese con un modello in crisi al quale non hanno alternative da opporre, per via del suo fallimento economico, finanziario, sociale e morale.
Il regime «sarkoberlusconista» conferma anche, senza volerlo, l’urgente necessità di organizzare una riposta politica e sociale progressista e democratica che può rendere le mosse sulla crisi di questo modello neoliberista. Essa è oramai evidente, al punto di dividere le classi dominanti. Si apre una nuova fase storica.