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Lunedì, 23 Giugno 2008 23:08

Kenia - TERRA E MISERIA

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Kenia - TERRA E MISERIA

di Nicholas Muthoka
MC – Marzo 2008

Quella che stiamo vedendo in Kenya non è una violenza qualsiasi. La causa apparente sono i brogli elettorali, ma questo accade in tanti paesi dopo le elezioni, e non scatenano tali reazioni. I veri problemi non sono politici. Altrimenti le manifestazioni e gli attacchi sarebbero state contro il governo e non gente contro gente, etnia contro etnia.

La ragione non riesce a spiegare come si possa uccidere un contadino, tuo vicino da anni, semplicemente perché il candidato che appartiene alla sua etnia è accusato di avere imbrogliato. Lo stretto collegamento che è stato fatto tra il presidente Kibaki e la tribù kikuyu a cui appartiene, ha fatto si che questo gruppo sia stato preso di mira. E non è la prima volta che in diverse parti del paese si accende una campagna contro di loro.

I problemi veri, rimasti irrisolti fin dall’indipendenza sono: il tribalismo e la questione kikuyu e i legami politici, la terra, la criminalità organizzata legata ad etnie diverse e la povertà. Questi problemi sono interconnessi, vanno esaminati l’uno in relazione con l’altro.

LA QUESTIONE KIKUYU

In Kenya, ci sono più di 50 tribù (etnie) che parlano lingue diverse, le quali si possono suddividere in due ceppi: bantu e nilotico. Le usanze e tradizioni non differiscono molto anche se ogni tribù è ben distinta dalle altre. Questo da una parte arricchisce culturalmente, socialmente ed economicamente il paese, ma la cattiva gestione di queste diversità ha generato, fin dai tempi precoloniali, tensioni e conflitti. Esistono dei pregiudizi tra le tribù, specialmente tra la gente di campagna non abituata a convivere con gli altri. Non si può parlare di odio, ma ci sono altri problemi come, per esempio, la terra. Il tribalismo è dunque una questione che rimane, anche se si parla molto di come superarlo, nella pratica non ci sono stati degli impegni reali.

Tra i pregiudizi che si hanno, ce n’è uno che è molto serio sui kikuyu, il gruppo più numeroso. Fin dall’indipendenza si dice che sono stati favoriti dal primo presidente e che si sono procurati proprietà, posti di lavoro, possibilità di commercio e terra in quasi tutte le parti del paese. Questo pregiudizio si è incarnato in conflitti soprattutto dove sono in gioco terra e commercio. In particolare dove la convivenza è con altre tribù che credono di possedere la terra per motivi ancestrali. Questo non avviene solo per i kikuyu ma anche per altri gruppi, in particolare in zone di confine, Ad esempio il conflitto costante tra samburu e turkana nel Nord del paese, tra pokot e marakwet nella parte occidentale ed altri ancora.

I kikuyu si trovano in molte zone del paese, fuori dalla provincia centrale che è la loro terra di origine. La costituzione concede a tutti la possibilità di potersi stabilire da qualsiasi parte del paese e possedere delle proprietà. Ma questa libertà non è stata ben riconciliata con altri concetti, per esempio, quello di terra ancestrale che è molto forte. Nelle violenze, si mirava soprattutto a loro, e membri di altre etnie (luo, kalenjin, luhyia e samburu) hanno assalito i loro vicini kikuyu che si trovano in zone dove queste tribù formano la maggioranza. E’ anche vero che i politici hanno strumentalizzato questi pregiudizi per i loro interessi, incitando la gente a far violenza, soprattutto dove le convivenze sono difficili.

LA POLITICA

Un altro problema legato al tribalismo è che i partiti politici, pur essendo nazionali, sono organizzati in linee tribali. Se voglio prendere i voti di un’etnia, devo avere nel mio partito un politico autorevole e forte politicamente di quel gruppo. Così, dipendendo da chi «rappresenta» una tribù in un partito politico, i gruppi etnici sono identificati con quel partito. In queste elezioni per esempio, i kikuyu, indipendentemente da chi hanno votato, erano in genere identificati con il partito del presidente (Pnu), e i luo con quello di Raila Odinga (0dm). I kalenjin, che per anni sono stati associati al partito dell’ex presidente Moi (Kanu), questa volta erano abbinati al partito di Raila, e hanno bruciato le case dei kikuyu nella Rift ValIey, che ai loro occhi appartengono al partito di Kibaki. La tribù, identificata con il partito avversario è vista come nemico.

LA TERRA

I vescovi del Kenya, in una lettera sulle violenze, hanno individuato la terra come uno dei problemi che ha giocato un ruolo importante. La maggioranza dei keniani pratica l’agricoltura e la pastorizia, perciò la terra è molto preziosa: da essa dipende la loro sopravvivenza. Inoltre, la terra è ancestrale, cioè è legata all’eredità dagli antenati, Il Kenya è diviso in otto province a loro volta suddivise in distretti. In genere questi sono legati alle etnie, e dove vivono popolazioni di diverse etnie, la convivenza è spesso difficile. Questo perché intere tribù si trovano nello stesso luogo e credono che quella sia la loro terra, ricevuta dagli antenati molti secoli fa. La presenza di altre etnie non è gradita perché è vista come una intrusione, un tentativo di rubare la terra. Sono frequenti anche i conflitti nelle zone di confine tra tribù.

Così molti dei kikuyu che si trovavano in terre «straniere» hanno subito omicidi e le loro case sono state bruciate, in Eldoret, Burnt Forest, in diverse parti della provincia occidentale, nel nord, ecc. Il problema sta nel fatto che la questione della terra non è mai stata affrontata e risolta, pur producendo da molto tempo tensioni tribali. Questo non solo per i kikuyu ma anche tra altre tribù e all’interno delle tribù stesse. Un conto è avere un sistema titoli di proprietà e un altro conciliarlo con il concetto di terra ancestrale, che corre nelle vene dei keniani.

LA POVERTÀ

Nelle città, le violenze più brutte si sono verificate nelle baraccopoli e in altri quartieri poveri, tra la gente disoccupata e spesso non istruita. La chiave qua è la vulnerabilità a essere incitato dai politici e potenti. Papa Paolo VI diceva: «L’altro nome della pace è sviluppo». Se la gente avesse lavoro e una vita dignitosa, non si sarebbe prestata alle incitazioni alla violenza e una soluzione pacifica sarebbe stata trovata presto. C’è poi la criminalità organizzata, come i mungiki e altri gruppi.l mungiki sono associati con i kikuyu. E’ un movimento politico - religioso, che s’ispira alla religione tradizionale e al movimento per la liberazione del Kenya dai colonialisti, chiamato Mau Mau. E’ un gruppo molto conosciuto per le sue attività criminali e per l’efferata violenza.

SOLUZIONI RADICALI

Una soluzione politica è indispensabile adesso per fermare il conflitto, ma non sarà sufficiente, perché i problemi rimangono. La gente è ferita. Né una soluzione solo politica né il tempo guariranno ferite interne e profonde. Ci vogliono iniziative concrete da parte di tutte le istituzioni capaci di affrontare i veri problemi del paese. Il governo deve saper trovare modi di «creare» un paese e non frammenti etnici messi insieme, rispettando le diversità che arricchiscono la società. Senza un impegno per un equo e costante sviluppo nel paese, non si potrà mai avere la vera pace. Questa non si può mantenere con la forza delle armi. Occorrono la riconciliazione e il perdono, affrontando soprattutto il problema della terra.

Le comunità cristiane devono prendere delle iniziative, possono giocare un grande ruolo nel superamento del tribalismo con progetti concreti, con la predicazione dell’amore, la fraternità e unità nella diversità.

Anche il sistema educativo deve essere coinvolto nella promozione dell’unità nel paese con programmi specifici mirati ad affrontare le diversità e a far crescere nei giovani i valori più alti e interessi più globali di quelli della propria etnia. Questo perché le sfide sociali come quelle che sono emerse in questi giorni chiedono tempo ed energie per essere affrontate.

Il fuoco è stato acceso dalla politica, ma è stato alimentato da questi aspetti molto concreti. Sono essi che hanno causato le violenze, nelle grandi città come nei paesi. Le violenze si sono verificate solo dove convivono tante etnie. Sono questi i veri problemi che dovranno essere affrontati seriamente nei prossimi anni con il coinvolgimento di tutti.
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