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Domenica, 22 Giugno 2008 21:17

LA NECESSITÀ DI UNA CONVERSIONE

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Nell’ottobre del 2003, la nostra Commissione Affari sociali ha reso pubblica una lettera su "L’imperativo ecologico cristiano", intitolata: "Tu risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, signore, amante della vita" (Sap 11, 26). In seguito, le Nazioni Unite hanno proclamato il 2008 l’Anno del pianeta terra. Noi cogliamo questa occasione per prolungare la nostra riflessione con la popolazione cattolica del nostro Paese.

Il rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sull’evoluzione del clima (GIEC) ci fa prendere coscienza dell’ampiezza della sfida abbiamo di fronte. Sviluppi scientifici e tecnici potranno essere di aiuto. Ma non arriveremo a vincere tale sfida senza una conversione personale e collettiva. È in questo spirito che proponiamo la nostra riflessione.

La visione biblica della creazione e dell’essere umano

Per apprezzare l’ampiezza di questa conversione, ricordiamo il progetto di Dio sulla natura e sull’essere umano. Il Dio creatore porta la sua creazione dal caos al cosmo, cioè da un universo segnato dal disordine ad uno in cui regnano l’ordine e la bellezza. Dio stesso ne è fiero, e dice: "Ciò è buono". (Gn 1, 4 ss) È lo stesso sentimento che ci anima di fronte alle foto del nostro pianeta scattate dagli astronauti. Esso ci si presenta come una piccola palla azzurrina circondata da un fragile strato di aria e nuvole... Si direbbe una pietra preziosa.
Su questo minuscolo pianeta, un essere è creato a immagine e somiglianza di Dio: capace, come Lui, di conoscere, di amare, di agire in maniera libera e responsabile. "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse" (Gn 2,15). Coltivare è favorire la crescita; custodire è assicurare la continuità delle risorse. L’idea di "sviluppo durevole" è dunque prescritta in tutte le prime pagine della Genesi. La terra è affidata all’essere umano come un giardino di cui egli non è proprietario ma custode. Egli è chiamato ad essere un buon giardiniere di specie vegetali e un buon pastore di specie animali. Deve rendere conto non solo della gestione del giardino che gli è affidato, ma anche dell’immagine di Dio che egli riflette in questa gestione.
Il termine "ambiente" (il francese environnement significa letteralmente luogo circostante, ndt) suggerisce l’idea di un centro, che è l’essere umano. Quest’ultimo è legato agli equilibri fisici e biologici non meno che alla complessa rete di relazioni che lo caratterizzano. Intervenire sull’una o l’altra relazione modifica l’equilibrio di molte altre. Mons. Renato Martino dice: "C’è un accordo tra la teologia, la filosofia e la scienza, il cui effetto è l’armonia del nostro universo, un vero cosmo, dotato di una integrità propria e di un equilibrio interno dinamico. Questo ordine deve essere rispettato".

Rottura dell’armonia con la natura

Lo sviluppo della scienza e della tecnologia, che ci ha portato incontestabili benefici, ha avuto effetti devastanti sulla natura: inquinamento dell’aria, dell’acqua e della terra, aumento dell’effetto serra, distruzione dello strato di ozono, deterioramento dei grandi ecosistemi, estinzione di diverse specie viventi, riduzione della biodiversità, ecc. Il GIEC, insignito nel 2007 del Premio Nobel per la pace, afferma che tutti i Paesi saranno colpiti dall’aggravarsi dell’effetto serra. Questi esperti prevedono la crescita di siccità e inondazioni. Lo scioglimento accelerato dei ghiacci ai poli innalzerà in maniera significativa il livello degli oceani, con effetti devastanti soprattutto nell’emisfero sud, dove si trovano i Paesi più poveri.
Dopo la firma del protocollo di Kyoto, con cui ci impegnavamo a diminuire le nostre emissioni di anidride carbonica del 6% rispetto al 1990, queste, al contrario, sono aumentate di circa il 25%. L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano descrive il Canada come un "caso estremo" di mancato rispetto degli impegni.
Gli attuali problemi ecologici attestano che non abbiamo rispettato le leggi della vita. Abbiamo dimenticato che "non si comanda alla natura che obbedendole". È risultato più difficile rispettare le leggi della natura che inviare degli uomini sulla luna e riportarli a casa! Il verdetto è semplice: non siamo stati dei buoni custodi del "giardino" che ci è stato affidato.

Rottura dell’armonia con i nostri simili

Questa rottura di armonia con la natura genera conseguenze non meno drammatiche per le persone che condividono con noi la stessa umanità. Il Concilio Vaticano II ha affermato: "Dio ha destinato la terra e tutto ciò che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli" (Gaudium et Spes, n. 69). Commentando questa affermazione, Giovanni Paolo II dice: "È ingiusto che pochi privilegiati continuino ad accumulare beni superflui dilapidando le risorse disponibili, quando moltitudini di persone vivono in condizioni di miseria, al livello minimo di sostentamento. Ed è ora la stessa drammatica dimensione del dissesto ecologico ad insegnarci quanto la cupidigia e l'egoismo, individuali o collettivi, siano contrari all'ordine del creato, nel quale è inscritta anche la nostra interdipendenza".
Invece di favorire questa interdipendenza, abbiamo lasciato che il pianeta si dividesse in pezzi, in Terzo mondo e in Quarto mondo, come se girasse a più velocità. Ora, ci dicono gli esperti del GIEC, sono i Paesi più poveri quelli che saranno più colpiti dai cambiamenti climatici.
Ma l’ingiustizia è commessa anche nei confronti delle generazioni future. I nostri attuali governanti si preoccupano di non trasmettere ai nostri discendenti un debito monetario troppo pesante. Dopo aver consumato al di là delle nostre possibilità, è ragionevole non far pagar loro il prezzo. Ma un ambiente devastato rappresenta un debito incomparabilmente più elevato e più difficilmente colmabile. I costi economici necessari al suo ristabilimento sono di un livello insospettato. Si pensi solamente al costo dello smog, dei problemi di salute, degli squilibri climatici, ecc.
Un articolo della Carta dei diritti del fanciullo dice che la società intera ha il dovere di donare ai bambini ciò che ha di meglio. Come possiamo essere fieri di trasmettere loro l’eredità di un ambiente a tal punto deteriorato? Noi l’ab-biamo ricevuto in condizioni ben migliori!

Alcuni passi fatti

Bisogna riconoscere tuttavia che le questioni ambientali sono sempre più spesso all’ordine del giorno di governi, amministrazioni comunali, industrie, media… Metodi di sfruttamento più razionali vengono applicati alle risorse del mare, delle foreste e della terra. Alcune industrie riducono le proprie emissioni inquinanti; le amministrazioni comunali si sono dotate di costosi stabilimenti di trattamento delle acque reflue. La percentuale di recupero e di riciclo dei rifiuti aumenta progressivamente. Un numero crescente di persone fa degli sforzi personali a favore dell’ambiente: riduzione della velocità sulle autostrade, uso di mezzi di trasporto pubblici, diminuzione e riciclo dei rifiuti, acquisto di prodotti locali o regionali, migliore controllo della temperatura della casa, ecc. Si sta sviluppando una sensibilità ecologica che è sul punto di diventare un fatto di cultura.
Inoltre, dieci anni dopo la firma del protocollo di Montréal sulla protezione della fascia di ozono (1997), gli scienziati constatano con soddisfazione che l’emissione delle sostanze che impoveriscono lo strato di ozono è sostanzialmente azzerata. Molte città importanti, preoccupate di ridurre la quantità di smog e di assicurare una buona qualità dell’aria, sono in procinto di realizzare gli obiettivi di Kyoto. E così anche diversi Stati americani e dell’Unione europea.
Tutti questi passi sono significativi. Ma, ci dicono gli scienziati, stiamo andando a sbattere contro un muro; ciò che facciamo ora avrà come unico effetto di ridurre la forza dell’impatto. I nostri governanti hanno assunto degli impegni a Rio (1992), a Kyoto (1997), a Johannesburg (2002) e recentemente a Bali (2007). Ma non passano dalle parole ai fatti.
 Giovanni Paolo II ce l’ha ripetuto: la crisi non è solo ecologica ma morale e spirituale. E una crisi morale si affronta con una conversione, cioè con un cambiamento di prospettiva, di atteggiamenti e di comportamenti. Questa conversione avrà per oggetto le fratture che abbiamo creato con la natura, con il nostro prossimo e con Dio. Essa dovrà ristabilire questi legami, cioè suscitare una riconciliazione.

Ristabilire i legami con la natura

Sappiamo di essere uniti al nostro ambiente di vita molto più strettamente di quanto avessimo immaginato. Il nostro pianeta è una navicella spaziale sulla quale viaggiamo insieme al nostro ambiente, nel bene e nel male. San Paolo afferma che "tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto", sperando "di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione" (Rm 8,22 e 21). Uno sviluppo rispettoso delle sue leggi e dei suoi ritmi non sarebbe una prima forma di liberazione?
In questa prospettiva, ciascuno di noi è responsabile dei propri comportamenti nei confronti dell’ambiente. Potremmo credere che le azioni degli individui, dei gruppi e delle comunità siano come gocce d’acqua nell’oceano, in confronto alle sfide mondiali a cui ci troviamo di fronte. Ma l’effetto cumulativo di gesti semplici ha un suo peso. Che si ricordi la bella parabola de L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono, così brillantemente illustrata da Frédéric Bach. A titolo d’esempio, molti di noi potrebbero probabilmente ridurre di una tonnellata i gas ad effetto serra di cui sono responsabili annualmente.
Convertirsi è anche ritrovare il senso del limite. È adattare il nostro modo di vita alle risorse planetarie disponibili. Molte di queste non sono rinnovabili e quelle che lo sono possiedono un ritmo di rigenerazione troppo lento per la nostra impazienza. Un pianeta limitato non può rispondere a bisogni illimitati, soprattutto quando i suoi grandi ecosistemi subiscono un invecchiamento prematuro.
Poiché iperconsumo e spreco sono divenuti uno stile di vita, una conversione implica la liberazione collettiva dal-l’ossessione di possedere e consumare. Secondo l’espres-sione del famoso ecologista Pierre Dansereau, "un’austerità gioiosa" o una sobrietà volontaria ci aiuterebbero a ricentrarci sull’essere invece che sull’avere. Ne trarremmo un supplemento di umanità.
Ci sarà allora più facile rivolgere un altro sguardo alla natura. Invece di considerarla principalmente come una risorsa da sfruttare, saremmo meglio disposti ad ammirarne la bellezza e la grandezza. In questo modo, essa ci illuminerebbe sul mistero della Vita e del suo Autore. Giovanni della Croce diceva: "Egli è passato per questi boschi e il suo solo passaggio li ha lasciati impregnati di bellezza". Un atteggiamento di contemplazione contribuisce molto a stabilire una nuova alleanza con il nostro ambiente.

Riallacciare i legami con i nostri fratelli e sorelle

La questione ora cruciale dell’ambiente ci lega gli uni agli altri come mai prima. L’egoismo non è più soltanto immorale, diventa suicida. Non abbiamo altra scelta che una nuova solidarietà e nuove forme di condivisione.
La conferenza di Johannesburg del 2002 ha affermato chiaramente che la tutela dell’ambiente è impossibile se intere zone all’interno dei continenti continuano a vivere nella miseria. Molti fratelli e sorelle sono costretti ad uno stile di vita inaccettabile e indegno della loro condizione umana. Lo sappiamo oggi più che mai ma ci comportiamo come se fossimo miopi, sordi e insensibili.
Il nostro Paese si è impegnato, in passato, a versare lo 0,7% del nostro prodotto interno lordo sotto forma di aiuto allo sviluppo. Devolve attualmente meno dello 0,3%: briciole che cadono dalla tavola dei ricchi, mentre Lazzaro muore di fame (Lc 16, 19-30). Eppure, il messaggio evangelico ci ricorda che il cammino della ricongiunzione con Dio passa per quello dei nostri fratelli e sorelle.
Dobbiamo anche tessere, già ora, i legami con le generazioni future. Ricordiamo l’episodio evangelico in cui gli apostoli litigano per sapere chi di loro è il più grande. Gesù pone un bambino in mezzo a loro, invitandoli a vedere la realtà con gli occhi del bambino. I genitori e i nonni fanno esperienza di questa conversione dello sguardo che li riporta all’essenziale. Nell’ora delle decisioni importanti, ci auguriamo che i nostri eletti pensino innanzi tutto all’eredità che lasciamo ai figli. Quale ambiente, quale società vogliamo loro trasmettere? Un poeta spagnolo ha scritto: "È bello amare il mondo con gli occhi delle generazioni future" (Castillo).

Ricostruire i nostri legami con Dio

Non siamo come il figliol prodigo che ha chiesto a suo padre la sua parte di eredità e ha cominciato a dissiparla? (Lc 15, 11-32). Nella nostra volontà di guadagnare di più, di possedere di più, di consumare sempre di più, abbiamo sacrificato molto al dio denaro, diventato la sostanza della vita moderna. Abbiamo mal gestito il giardino dell’Eden che ci è stato affidato. Esso ha perduto una parte della sua integrità e della sua bellezza.
Inoltre, pur possedendo il sapere e i mezzi per condividere i beni della terra ai quali tutti hanno diritto, abbiamo preferito garantirci il nostro benessere e il nostro modo di vita di bambini viziati. Abbiamo ceduto a questo egoismo innato che segna ciascuno di noi come un peccato originale. Ancora oggi, Dio ci domanda: "Che hai fatto di tuo fratello?" (Gn 4,9).
Per questo, abbiamo offuscato l’immagine di Dio in noi. Ricevendo la sua benedizione originale, l’essere umano è stato invitato ad essere portatore dell’immagine di un Dio amico della vita, preoccupato della verità e della bellezza della vita, pieno d’amore e di compassione per tutti, in particolare per i poveri e i sofferenti. Siamo l’immagine di questo Dio?
Alcune delle nostre scelte dipendono dalla nostra condotta personale, altre da ciò che Giovanni Paolo II ha chiamato "strutture di peccato", alle quali partecipiamo di fatto più o meno consapevolmente. Portiamo in noi stessi un peso di morte e di rifiuto. Le sfide ecologiche ci offrono l’occasione di rilanciarci sui cammini del Vangelo. È, nel senso biblico del termine, un "momento favorevole" per affermare il nostro legame con Dio lasciandoci permeare dalla novità del Vangelo.

Conclusioni

La nostra fede in Cristo ci invita ad una scelta radicale: "Scegliere tra la vita e la morte" (Dt 30, 15). Tale invito non potrebbe essere più attuale. Solo un’autentica conversione ci permetterà di riparare le fratture e ritessere legami vitali con la natura, con le nostre sorelle e i nostri fratelli, con l’Autore della Vita. In questo senso, Francesco d’Assisi rappresenta un bel modello di uomo nuovo e di armonia ritrovata.


ADISTA – 19 aprile 2008
Letto 1700 volte Ultima modifica il Martedì, 01 Luglio 2008 01:30

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