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Venerdì, 16 Maggio 2008 12:29

VINCERE SENZA PARTECIPARE

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VINCERE SENZA PARTECIPARE

Emanuel Richter*, “Die Zeit”, Germania

da Internazionale 743, 9 maggio 2008

(abstract)

L’Italia ha votato e i buoni democratici di tutta Europa si disperano. Il nuovo Berlusconi stile 2008 sembra più moderato di quello del passato, ma la situazione di fondo è la stessa. Il popolo è stanco e si sveglia per votare e per mandare al potere un leader populista che governerà in modo autocratico un paese in profonda crisi. Così i cittadini evitano di doversi impegnare in prima persona: mandare Berlusconi al potere è come rinunciare plebiscitariamente ai diritti e ai doveri della partecipazione.
In nome della postdemocrazia alcuni politici ed esperti salutano in Berlusconi una svolta epocale della politica, cioè la fine della democrazia occidentale, un modello ormai logoro e non più al passo con i tempi. Altri invece temono il declino o quanto meno lo svuotamento del sistema democratico.
Effettivamente l’Italia di Berlusconi sembra rappresentare queste tendenze in modo esemplare. Già nella precedente campagna elettorale, Romano Prodi aveva esplicitamente evidenziato il nesso tra Berlusconi e la postdemocrazia. E il comico Beppe Grillo aveva ammesso che davanti a Berlusconi preferiva andare a pesca che andare a votare. In questo modo aveva segnalato che perfino gli intellettuali critici, scontenti della democrazia, si stanno ritirando in una sorda apatia.
Ma sarebbe un errore liquidare come “rottura postdemocratica” i sintomi di crisi in senso autocratico emersi con la rielezione di Berlusconi. A un’analisi più attenta, infatti, non si vedono istituzioni logore e una democrazia stanca, ma al contrario un uso insufficiente delle possibilità offerte dalla democrazia.
In Italia ci si incaglia di continuo in un costituzionalismo che soffoca qualsiasi dibattito giuridico o politico sulla costituzione. Anziché una divisione stabile dei poteri con un parlamento forte, governare in Italia si esaurisce nelle pretese di poteri “presidenziali” del primo ministro. Neanche gli elementi di federalismo, pur presenti nelle istituzioni statali italiane, sono stati ancora formalizzati in misura sufficiente, e questo provoca una polarizzazione indecente tra regioni povere e regioni ricche.
Inoltre bisogna aggiungere il dominio premoderno della mafia e della camorra, che ostacola la creazione di strutture amministrative trasparenti e stabili a livello locale e regionale. Per giunta, la corruzione politica determina rapporti di dipendenza di tipo feudale. In mancanza di un sistema di partiti con programmi chiari, attraverso i quali costruire ed esprimere la propria volontà politica in modo strutturato, la sola possibilità che rimane agli italiani è acclamare figure di leader che si presentano con alleanze elettorali puramente tattiche e di mera convenienza.
L’indipendenza dell’informazione, infine, soffre per la presenza di un autocrate – Silvio Berlusconi, appunto – che gestisce le tv e i governi ispirandosi allo stesso modello: l’imprenditore-patriarca dell’ottocento.

Arretratezza e senso di inferiorità
Solo quando tanta arretratezza si coniuga con un senso di inferiorità politica da parte dei cittadini, e genera disperate nostalgie di leadership, la volontà di potere di Berlusconi può apparire come il superamento di una democrazia ormai eccessivamente indebolita. Ma in realtà gli attacchi da tarda pubertà del Cavaliere contro tutto ciò che è moderato, equilibrato, ordinato e sistematico, i suoi atteggiamenti eccentrici e maschilisti sono solo un cattivo sostituto della scarsa fiducia in sé dei cittadini italiani, e al tempo stesso il segno del loro timore di fronte all’idea di un autogoverno radicalmente democratico.
Insomma Berlusconi, furfante machiavellico al potere, compensa l’impotenza di cui soffrono i cittadini. Paradossalmente, rappresenta la rinuncia alla cittadinanza a proporsi come attore collettivo e la proiezione di ogni voglia di partecipazione in un patriarca giovanile e colmo di energia, ma al tempo stesso rozzo e collerico. (...) Berlusconi incarna solo un vincitore triste, perché con la sua ascesa porta a compimento il ritorno regressivo a una condizione predemocratica. Solo un’offensiva capace di ricordare a tutti il senso della politica può aiutare a evitare queste derive.
La partecipazione alla vita pubblica rimane un punto di riferimento indispensabile della nostra esistenza politica. La democrazia è un progetto a cui si aspira incessantemente e che non si raggiunge mai del tutto.
Ironia della sorte: nelle recenti elezioni questo messaggio sembra sia stato recepito soprattutto dagli italiani residenti in Svizzera, che hanno fatto proprio il progetto democratico votando in maggioranza per Veltroni. Questo significa che dove la democrazia, coltivata da secoli, ha prodotto forme raffinate di partecipazione, cresce anche una sensibilità critica verso il populismo e aumenta la fiducia dei cittadini in se stessi.
Le probabilità di regressione predemocratica, quindi, sono minori quando si rafforzano i presupposti di una democrazia viva e vitale.

*
Emanuel Richter insegna scienze politiche al politecnico della Renania-Westfalia ad Aquisgrana, in Germania. Sta per pubblicare un saggio intitolato “Die Wurzein der Demokratie” (“Le radici della democrazia”).

Letto 1881 volte Ultima modifica il Martedì, 27 Maggio 2008 23:40

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