Guardare il creato con gli occhi di Dio
di Gerolamo Fazzini
da Mondo e Missione/Agosto-Settembre 2007
Il tema della vita è stato uno di quelli sottolineati con maggior forza nel corso della quinta Conferenza generale degli episcopati dell’America Latina e dei Caraibi ad Aparecida, nel maggio scorso. La vita minacciata, offesa, negata in mille modi: dalle guerre all’aborto, passando per lo sfruttamento sessuale e la violenza diffusa. Si è parlato di «ecologia umana», con un obiettivo privilegiato: l’Amazzonia.
La domanda è: come immaginare uno sviluppo umano nel segno di una fedeltà al Vangelo? La dottrina sociale della Chiesa suggerisce due aggettivi: «integrale» (ossia attento a tutte le dimensioni dell’umano, a cominciare dall’apertura alla trascendenza) e «sostenibile», cioè preoccupato delle ripercussioni sul futuro e sulle nuove generazioni.
La Giornata del creato, che da qualche anno si celebra il primo settembre, è un’occasione privilegiata per una riflessione - che sia preludio a un impegno di cambiamento - su questo tema così cruciale. «Giornata del creato» dice in partenza l’orizzonte che noi cristiani adottiamo nell’affrontare la questione ecologica. Da un lato, siamo chiamati a riconoscere che il mondo, la natura, sono stati fatti da un Altro e rappresentano un immenso dono. Dall’altro, sappiamo che il Creatore ha affidato alle donne e agli uomini la salvaguardia del creato, consegnando loro una signoria responsabile sulla natura. All’uomo è chiesto di esercitare un difficile equilibrio, dal momento che, come sa sfruttare al meglio scienza e tecnologia, è capace - purtroppo - di operare scelte disastrose. Per se stesso, per gli altri e per il pianeta.
Salvaguardia dell’ambiente in senso cristiano significa, allora, non già una tutela passiva della natura, bensì prendere sul serio la questione ecologica. Che non è una moda passeggera, ma rappresenta un’autentica emergenza e una sfida per tutti i credenti: non a caso anche l’imminente assemblea ecumenica europea di Sibiu - come già le precedenti di Basilea e Graz - se ne occuperà. Questi criteri dovrebbero guidarci anche nell’affrontare il dibattito, oggi infuocato, sui cambiamenti climatici. L’incontro di studio e confronto fra esperti di varie scuole - tenutosi in Vaticano qualche mese fa per iniziativa del Pontificio consiglio giustizia e pace - ha offerto moti spunti che possono essere interpretati come altrettante bussole per un discernimento serio.
Li ricapitoliamo in sintesi. Innanzitutto. il dibattito scientifico su origine e motivi dei cambiamenti climatici non è chiuso, dal momento che esistono posizioni differenziate. La Chiesa incoraggia la scienza ad andare avanti nella ricerca e nel confronto.
Inoltre, ciò che sta a cuore alla Chiesa è lo sviluppo dei Paesi poveri, ragion per cui le politiche sul clima devono tenere conto di questa priorità. Ciò significa che come cristiani non possiamo condividere politiche ambientali che siano pretesto per impedire uno sviluppo armonico dei Paesi poveri o, peggio ancora, per promuovere un controllo forzato delle nascite. Infine, i cambiamenti climatici non sono in sé causa di povertà, ma aggravano problemi là dove c’è maggiore vulnerabilità, a causa del sottosviluppo. Per questo sono importanti politiche che promuovano uno sviluppo a misura d’uomo e di ambiente, in un quadro più ampio di adattamento ai cambiamenti.
In sintesi: la natura è per l’uomo e l’uomo è per Dio. I problemi ambientali nascono dalla negazione del Creatore, che conduce a un doppio esito, in entrambi i casi pericoloso: lo sfruttamento selvaggio delle risorse («dominio dispotico e dissennato») o la divinizzazione della natura, che porta a considerare l’attività umana come male in sé. Per uscire da questa doppia trappola (l’egoismo consumista che aggredisce la natura o l’ambientalismo che la idolatra, a danno dell’uomo) una via c’è: tornare a guardare a quanto ci circonda con gli occhi di Dio.