CHI COMANDA IN INTERNET?
di GianMarco Schiesaro
MC febbraio 2007
Il mito dell’anarchia di internet
È alquanto strano pensare che internet debba essere, in qualche modo, «governata». Per molto tempo ci è stato presentato il modello di una rete decentrata, un insieme di nodi privi di un centro e di una periferia. Ma l'idea di un'internet egalitaria nella struttura, capace di sfuggire a controlli e pressioni esterne, non è che un mito. In realtà, internet è gestita in modo tutt’altro che anarchico e si sta rivelando sempre di più il terreno di scontro di grossi interessi di potere.
Sono ormai all’ordine del giorno gli episodi di censura di moltissimi governi autoritari del Sud del mondo, così come le velate ingerenze di molte democrazie occidentali. Anche in seguito a questi attacchi, è cresciuta la voglia di costruire una forma di auto-governo della rete, capace di eludere queste minacce. Una sorta di potere della società civile telematica, incaricato del compito di fare della Rete uno spazio privo di confini nazionali.
Già oggi l’articolazione mondiale di internet non è un territorio in balia di se stesso e privo di controllo: vi sono diversi organismi che, ciascuno con compiti distinti, ne controllano il funzionamento. Quest’ultimo si esplica in almeno tre campi fondamentali: il possesso delle infrastrutture, il controllo tecnico- amministrativo e quello politico - economico. Nel caso delle infrastrutture, ormai la distribuzione è avvenuta sull’intero territorio mondiale (anche se non equamente, come sappiamo); mentre, nel caso del controllo tecnico-amministrativo, le questioni in gioco non sono realmente vitali. Diverso, e gravido di conseguenze, è il caso del controllo politico-economico, che si realizza nella gestione dei domini sul web.
Il dominio è alla base stessa del funzionamento della Rete: si tratta di un semplice indirizzo elettronico, che identifica un gruppo di computer collegati in rete. Un territorio virtuale ma carico di connotazioni proprie dei territori reali: un dominio ha la possibilità di essere identificato con un indirizzo e di vedersi attribuito un valore economico e politico. Non è indifferente possedere un nome di dominio piuttosto che un altro: alcuni domini permettono di sviluppare attività economiche e di fungere da riferimento per attività sociali, altri invece scompaiono rapidamente nella grande massa di domini esistenti. Da tempo i domini sul web scarseggiano e molte nuove imprese possono rimanere escluse per l’impossibilità di sfruttare indirizzi facilmente individuabili. Per comprendere, invece, la grande valenza politica del nome di dominio, si pensi alle polemiche generate, qualche anno fa, dalla decisione di assegnare il suffisso .ps, ai siti della Palestina, assegnando così ai territori occupati un’indipendenza nel cyberspazio che ancora non avevano ottenuto nel mondo fisico.
Tutto il potere di «Icann»
Chi gestisce la struttura di indirizzamento di internet detiene un formidabile potere sull’economia e sulle risorse strategiche mondiali. Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) è l'istituzione che presiede alla registrazione dei domini, ed è il custode unico della tecnologia che consente il collegamento fra un indirizzo web e il sito ad esso appartenente. Icann può essere paragonata a una torre di controllo virtuale, in grado di indirizzare i computer, indicando loro la strada da percorrere per raggiungere una determinata pagina web. Naturalmente, se smettesse di funzionare, si precipiterebbe in una situazione simile a quella di un aeroporto la cui torre di controllo avesse spento i radar. Chi detiene il controllo di quei codici possiede, insomma, un potere di vita o di morte sull’intera Rete: non è poco per un ente nato da pochi anni e di cui molti ignorano perfino l’esistenza.
Icann, che nacque con la pretesa di essere pienamente rappresentativa di tutti i centri di interesse e degli utenti internet, allo stato attuale non offre garanzie di democraticità. Con sede nella California, formalmente operante per contratto con il governo americano, sottoposta a una amministrazione burocratica e composta da membri fortemente condizionati da poche grandi aziende, non ha finora garantito alcuna trasparenza sulle sue decisioni, assunte quasi esclusivamente a porte chiuse.
Nel 2000 Icann accettò di indire le prime elezioni mondiali di internet, aperte a tutti gli utenti della Rete, con lo scopo di eleggere i membri del proprio Consiglio direttivo. In Africa, Asia e Sud America la vittoria spettò a tre candidati proposti dalla stessa Icann, mentre in Europa e nell'America del Nord, dove il dibattito attorno a quelle elezioni fu meno blindato, si affermarono due candidati di «opposizione». La sola presenza di due consiglieri particolarmente critici verso il gruppo dirigente di Icann fu sufficiente perché il processo democratico venisse annullato e fossero ufficialmente cancellati i seggi di rappresentanza concessi alla società civile. La decisione suscitò ovviamente un vespaio di proteste mentre le dimissioni del presidente Icann, nel giugno 2002, gettavano l'istituzione nel caos più completo.
Nelle mani degli Stati Uniti
Oggi, dopo una lunga stasi, la comunità internazionale è tornata a discutere del futuro di Icann, tentando di disegnare un futuro un po' più roseo per la democrazia nella rete. Il governo statunitense, preoccupato per il riaccendersi del dibattito, si è posto in posizione di attacco e, per tutto il 2006, si sono moltiplicate minacce e ammonimenti, da parte di suoi esponenti, «a togliere le mani da Icann, parte integrante degli interessi nazionali statunitensi». Per contro, un gruppo di paesi influenti, tra cui Brasile, Sud Africa, India e Cina stanno premendo per assegnare le delicate competenze di Icann a un organismo super partes, ad esempio le Nazioni Unite (in particolare l'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni). Questa soluzione, tuttavia, non convince molti, soprattutto in Europa. Da una parte ci sono dubbi fondati circa il fatto che un’istituzione dell’Onu possa essere più snella e meno burocratica dell'attuale Icann. Dall’altra vi è il timore che i governi nazionali possano prendere il sopravvento nella gestione di una risorsa che, finora, avevano potuto controllare soltanto parzialmente. A tutti appare più che evidente il tentativo, da parte della Cina, di impadronirsi della stanza dei bottoni, che le consentirebbe una censura ancor più rigida e capillare della propria rete internet.