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Mercoledì, 28 Giugno 2006 11:33

Discriminazioni razziali, non chiudiamo gli occhi

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DISCRIMINAZIONI RAZZIALI, NON CHIUDIAMO GLI OCCHI

di Oliviero Forti - Italia Caritas

(abstract)

L’autista dell’autobus che non apre le porte quando vede alle fermate persone di colore; il gestore del locale che fa pagare il biglietto d’ingresso solo agli stranieri; il condominio che impedisce ai bambini di una coppia sudamericana di giocare nelle parti comuni dello stabile; il caposquadra che insulta ogni mattina il proprio operaio di origine africana; la ragazza che non può fare la commessa in un supermercato perché è “nera”. Sono alcune delle discriminazioni a danno dei cittadini stranieri monitorate dall’Unar, l’Ufficio antidiscriminazione razziale istituito dal ministero delle pari opportunità. Purtroppo ogni ambito della quotidianità è macchiato da atteggiamenti odiosi e meschini, che colpiscono le fasce più deboli della popolazione. Fra esse gli immigrati, in particolare quelli che si trovano in posizione irregolare, come conferma il rapporto dell’European Network Against Racism (Rete europea contro il razzismo) del 2004. Lavoro, casa, scuola e fede sono aspetti con i quali le vittime di discriminazione devono confrontarsi ogni giorno. Anche prendere un caffè, alcune volte, può diventare motivo di incertezza e di paura, così come è accaduto lo scorso anno, quando un esercente è stato condannato per essersi rifiutato di servire consumazioni a cittadini nordafricani. La terza sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la sentenza, stabilendo che è razzista chi, in un bar, si rifiuta di servire il caffè a clienti stranieri.  I giudici hanno chiarito che la discriminazione razziale è ravvisabile in atti, individuali o collettivi, di incitamento all'offesa della dignità di diversa razza, etnia o religione, ovvero in comportamenti di effettiva offesa di tali persone. E tra gli atti di discriminazione deve essere inserito anche il comportamento di chi imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire a uno straniero beni o servizi offerti al pubblico. 

Preclusione ideologica 

Non basta certo una sentenza della Cassazione per far cessare un comportamento le cui motivazioni sono molto profonde. È sicuramente utile portare agli occhi dell’opinione pubblica un fenomeno così odioso anche a suon di carte bollate, ma ciò di cui abbiamo più bisogno è un serio piano di sensibilizzazione che raggiunga trasversalmente tutta la società, non ultimi i decisori politici. È significativo il caso dell’ultima legge finanziaria, che esclude i figli degli immigrati dal godimento dei mille euro previsti per tutti i nuovi nati nel 2005, o della legge della regione Lombardia che non ha incluso i cittadini stranieri residenti nella regione tra gli aventi diritto alla circolazione gratuita sui servizi di trasporto pubblico di linea riconosciuto agli invalidi per cause civili. Per fortuna anche in questo caso è intervenuta la Corte Costituzionale, che con la sentenza 432 del 2005 ha dichiarato l’illegittimità della norma, in quanto dalla stessa non si evince “altra ratio che non sia quella di introdurre una preclusione destinata a discriminare gli stranieri in quanto tali”. Ciò che più preoccupa, però, è il reiterato atteggiamento discriminatorio degli amministratori a danno degli immigrati, che appare dettato più da una preclusione ideologica che non da legittime scelte di buon governo. Anche le iniziative salutate da tutti con favore, come la creazione dello stesso Unar, si sono sviluppate in un contesto di “obbligo istituzionale”, piuttosto che come conseguenza di precise scelte politiche. La necessità di dare attuazione a una direttiva europea è alla base dell’istituzione di un ufficio di cui il nostro paese aveva bisogno da anni, dal momento che il problema della discriminazione razziale nasce con l’intensificarsi dei flussi di immigrazione. Fortunatamente il terzo settore, insieme al mondo accademico e ai sindacati, ha mostrato una particolare sensibilità in materia, promuovendo numerose iniziative di sensibilizzazione e informazione dell’opinione pubblica, attraverso progetti di ricerca i cui risultati costituiscono la base per pianificare interventi efficaci. Così, per esempio, il rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro sulla “Discriminazione dei lavoratori immigrati nel mercato del lavoro in Italia” segnalava nel 2004 che la discriminazione esiste, in modo specifico nel funzionamento del mercato del lavoro. L’Italia ha ratificato la Convenzione dell’Oil sui lavoratori migranti e il 1° luglio 2003 è entrata in vigore la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie; inoltre già oggi l’Italia è tenuta ad applicare una direttiva europea sull’argomento. Ma le misure repressive e di monitoraggio del fenomeno non bastano; occorre pensare a politiche indirizzate a indebolirlo alle radici, e questo sarà possibile solo attraverso un intervento che incida sulle deboli basi culturali di una larga fascia della popolazione italiana.

Letto 1773 volte Ultima modifica il Giovedì, 07 Dicembre 2006 09:52

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