Il Diritto Canonico è il complesso delle norme giuridiche secondo le quali la Chiesa cattolica è organizzata e che hanno la funzione di regolare l'attività dei fedeli in relazione ai fini della Chiesa stessa. Il diritto canonico si presenta come un ordinamento indipendente e sovrano e costituisce un effettivo sistema di diritto prodotto da un'autorità diversa e autonoma da quella statale.
La differenza fondamentale tra i due ordinamenti giuridici, è data dal fatto che:
- le norme di diritto canonico sono originarie ed autonome perché fatte valere da uno Stato, quello della Chiesa Cattolica, come ha riconosciuto l'art. 7 della Costituzione italiana, il quale testualmente sancisce che "lo Stato e la Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani".
- il diritto ecclesiastico, invece, è un complesso di norme che per avere efficacia, deve essere riconosciuto dall'ordinamento statuale: pertanto esso fa parte del diritto interno e costituisce un ramo del Diritto Pubblico italiano poiché contempla diritti soggettivi pubblici spettanti a persone fisiche o giuridiche che vivono nell'organizzazione statale.
Mentre le norme del diritto canonico sono contenute in un apposito corpo organico costituito dal Codice di Diritto Canonico, al contrario, le norme di diritto ecclesiastico non costituiscono un corpo organico, ma si trovano in tutti i settori dell'ordinamento giuridico italiano, rinvenendosi oltre che nella Costituzione, nel codice civile, in quello penale, di procedura penale, nelle leggi amministrative e in quelle relative al diritto del lavoro. Per un approfondimendo sulla storia del diritto ecclesiastico, clicca qui.
Il diritto ecclesiastico italiano si basa su tre principi fondamentali:
1) Libertà religiosa;
2) Uguaglianza religiosa;
3) Laicità dello Stato.
Liberta religiosa
Sotto il profilo soggettivo, la libertà di fede religiosa, garantita dall'articolo 19 della Costituzione, consiste nel diritto di tutti gli individui di "professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di darne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume".
I singoli, pertanto, possono vantare nei confronti dello Stato una libertà che comprende varie facoltà, quali:
1. la libertà di scegliere il proprio credo religioso e di aderirvi (libertà di religione);
2. la libertà di non essere costretti a professare una fede in particolare, a farne propaganda e a esercitare alcun culto. (c.d. libertà negativa);
3. la libertà di ogni individuo di esercitare il proprio credo religioso divulgandolo - sia in pubblico che in privato - con opere di proselitismo (libertà di culto);
3. facoltà di riunirsi con altre persone a scopo religioso in maniera pacifica (art. 17 cost.);
4. facoltà di fondare associazioni con fini di religione o di culto e di aderire a quelle esistenti (art. 18 cost.).
Dall'elencazione delle varie facoltà ora menzionate, sembra che il contenuto essenziale del diritto di libertà religiosa consista nell'assicurare all'individuo la possibilità di estrinsecare la propria personalità religiosa in molteplici direzioni: (professione di fede e atti di culto), al bisogno di far partecipi gli altri delle proprie idee (propaganda e discussione; corrispondenza; riunione) e di costituire organizzazioni collettive o di partecipare ad esse (associazione).
L'uguaglienza religiosa
Va premesso, che il principio di eguaglianza religiosa è ben distinto da quello della libertà religiosa, anche se presenta delle caratteristiche comuni.
Nella nostra Costituzione, infatti, viene affermata in materia religiosa:
- una eguaglianza in senso assoluto che si riferisce agli individui;
- una eguaglianza in senso relativo che si riferisce, invece, alle confessioni religiose;
Il principio della eguaglianza in materia di religione è sancito in via generale ed assoluto dall'articolo 3 della Cost. quando sancisce che: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione [..] di religione [...]", ed in via più specifica e relativa dall'art. 8 della stessa Legge, il quale stabilisce l'uguaglianza di tutte le confessioni religiose dinanzi alla legge col limite del rispetto dell'ordinamento giuridico italiano. La disposizione in oggetto si riferisce tanto alla Chiesa cattolica quanto ai culti acattolici.
Nella Carta Fondamentale sono dedicati due differenti articoli: uno per la confessione religiosa cattolica (art. 7), l'altro per i culti acattolici (art. 8); mentre per i culti acattolici sempre l'articolo 8, stabilisce che hanno diritto di organizzarsi secondo i proprio statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano, per la Chiesa cattolica, invece, è riconosciuta (art. 7) l'indipendenza e la sovranità senza altre specificazioni.
Laicità dello Stato in materia religiosa
La disciplina dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, già fissata nei Patti Lateranensi del 1929 richiamati dall'art. 7 della Costituzione, è stata modificata a seguito del Concordato stipulato tra il Governo italiano e la Santa Sede nel 1984, col quale sono stati apportati modifiche ai Patti Lateranensi.
Nel punto 1 del Protocollo addizionale al nuovo Concordato è detto esplicitamente: "si considera non più in vigore il principio originariamente richiamato dai Patti lateranensi della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano".
Questa dichiarazione comune dello Stato e della Santa Sede, costituisce una chiara affermazione se non proprio della laicità quando meno della neutralità dello Stato italiano in materia religiosa.
Essa vene a sancire ufficialmente la scomparsa dall'ordinamento giuridico italiano del principio del confessionismo statale che aveva informato il diritto ecclesiastico post-unitario anche dopo la promulgazione della Costituzione del 1948.
Col nuovo Concordato, infatti, si è abbandonato il principio della religione cattolica come religione dello Stato italiano, attenuando così quella posizione di privilegio, in passato riconosciuta alla religione cattolica rispetto agli altri culti.
Tale neutralità, non significa affatto "agnosticismo" perché l'Italia è uno stato sì neutrale, ma allo stesso tempo, non è indifferente rispetto alla rilevanza sociale del fenomeno religioso: non fa una propria scelta di fede, ma tiene conto delle ispirazioni ideali della comunità.
La laicità dello Stato italiano è sancita dal combinato disposto degli artt. 8, 19 e 20 della Cost. che garantiscono la neutralità dello Stato rispetto al fenomeno religioso.
Gli Stati che invece hanno un atteggiamento ostile nei confronti della fede religiosa si definiscono Stati antiecclesiastici, mentre quelli che con sistemi giurisdizionalisti o concordatari, assumono la protezione di una determinata confessione e la considerano religione di Stato si definiscono Stati confessionisti. Esempi di stati confessionali sono attualmente lo Stato Egiziano e lo Stato della Tunisia, mentre in passato con lo Statuto Albertino anche il Regno dl'Italia era uno stato confessionale.
Salvo Celeste
Lettura consigliata: Diritto ecclesiastico e comparazione giuridica di Francesco Onida. Testo della lezione tenuta il 24 aprile 2007 nell’Università di Alcalá de Henares, destinato agli «Scritti in onore di Giovanni Barberini»