Ci succede a tutti così: quando scivoliamo sul piano della contrapposizione viscerale fra bene e male, perdiamo la capacità di valutare i comportamenti con criteri oggettivi e li difendiamo o li condanniamo in base a chi li assume, come se fossimo allo stadio. Così siamo arrivati all'assurdo di non scandalizzarci neanche quando gli Usa paventano la possibilità di utilizzare armi di distruzione di massa, come gli ordigni nucleari, per distruggere le armi di distruzione di massa possedute da Saddam.
Il momento che attraversiamo è triste non solo perché il nostro pensiero si fa sempre più grossolano, ma anche perché accettiamo con assoluta rassegnazione il trionfo dell'ipocrisia. Ormai anche i sassi sanno che al di là della retorica, il vero movente della guerra in Iraq, come quella in Afganistan, è il petrolio, una risorsa di vitale importanza per i paesi industrializzati, che però sta diventando scarsa. Tutti ammettono che all'attuale ritmo di consumo, già nel 2015 vari pozzi di petrolio saranno inutilizzabili e non perché saranno esauriti, ma perché non sarà più conveniente sfruttarli. In altre parole, il livello di petrolio sarà così basso che l'energia necessaria per pomparlo in superficie sarà superiore a quella racchiusa nel petrolio estratto.
I paesi industrializzati conoscono questa realtà e sanno anche che nell'immediato futuro non esistono alternative energetiche altrettanto abbondanti e a buon mercato. La soluzione potrebbe essere la riduzione dei consumi, ma per ora le nostre società non prendono neanche in considerazione questa ipotesi. Come ha detto Bush, lo stile di vita americano non si può mettere in discussione. La logica conclusione è il ritorno alle guerre coloniali.
Nello scacchiere energetico mondiale, l'Iraq si trova in una posizione strategica perché è al secondo posto per riserve di petrolio. I paesi occidentali hanno bisogno del petrolio dell'Iraq, ma nel mezzo c'è Saddam, che dopo una lunga luna di miele è diventato il peggior nemico. Per anni hanno tentato di disarcionarlo con l'embargo e bombardamenti ripetuti, ma non c'è stato niente da fare. Saddam è sempre in sella più forte di prima. Ora gli Stati Uniti hanno deciso che non si può più aspettare perché la crisi petrolifera si fa sempre più acuta. Con le buone o con le cattive deve essere eliminato l'ostacolo che fa dell'Iraq un fornitore inaffidabile.
Fortunatamente gran patte della società civile si oppone alla guerra anche con iniziative che vanno oltre la semplice protesta. Ad esempio Rete Lilliput e Greenpeace hanno proposto di boicottare Esso perché sostiene direttamente la guerra attraverso la fornitura di carburante all'esercito .americano. Tutto ciò è estremamente importante, ma dobbiamo fare di più. In contrapposizione a Bush, che ha coniato il concetto di guerra preventiva, dobbiamo affermare l'idea di pace preventiva. Non possiamo ricordarci delle guerre solo quando sta per scoppiarne una.
Allora, se vogliamo costruire davvero la pace dobbiamo accettare di rivedere il nostro modello di sviluppo e il nostro stile di vita, perché solo accettando di vivere in maniera più sobria, più lenta, più equa, non avremo più motivo di aggredire gli altri popoli e di armarci per proteggere la nostra scandalosa ricchezza. Ecco perché diciamo: contro la guerra cambia vita. Dai subito un segnale forte di pace rinunciando a qualche pieno di benzina.
(da Rivista del volontariato, aprile 2003)
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