Qualcosa è però accaduto: le chiese sembrano aver ricoperto la loro vocazione alla pace.
Nonostante i molti disaccordi, le divisioni, il gelo ecumenico, le chiese, di fronte al precipitare degli eventi mondiali, hanno compreso l'urgenza della loro chiamata e sono state in grado di dire insieme parole forti contro la guerra. Un ecumenismo spontaneo, un consenso insperato. Qualcosa in questa tragedia è successo che potrebbe davvero segnare una svolta per il cammino ecumenico.
È come se nell'urgenza improvvisamente le grandi ragioni di divisione fossero sembrate un po' meno importanti.
Questo chiaro segno di speranza che richiede adesso una riflessione più a lunga durata: gridare no alla guerra esige adesso la serietà di riscoprire una diaconia della pace da troppo tempo messa da parte in modo che questa entri davvero nella vita delle chiese.
Le contraddizioni da risolvere sono tante. Bisogna disarmare le chiese, convertire le loro armi in strumenti di pace, affinché davvero la riscoperta della nonviolenza nell'annuncio ecumenico risulti credibile.
Questo servizio alla pace attinge alle fonti bibliche e da queste si lascia interpellare.
Il tema della conversione delle armi in strumenti di vita è caro alla Scrittura che, in vari punti, osa proporre un sogno: verrà un tempo in cui le armi di distruzione diventeranno strumenti di lavoro: Dai vomeri forgeranno aratri.
Il diluvio e l'arcobaleno
Già alle prime pagine della Scrittura si narra una storia che affronta il tema della conversione di strumenti di morte in strumenti di pace.
Il mito del diluvio (Genesi 6-9) racconta di come Dio, di fronte alla malvagità umana, sia stato tentato dalla volontà di guerra e, disgustato dalla sua creazione, abbia progettato di distruggerla.
Dio impugna allora un'arma per sterminare la creazione. Ha separato le acque dalla terra per mettere ordine e creare le condizioni per la vita, ora queste sommergeranno nuovamente la creazione e sarà il caos di nuovo. Ecco allora l'immagine di un Dio guerriero che prende l'arco di guerra, lo tende, e scaglia le sue frecce contro il cielo per bucare le nuvole da cui scenderà la pioggia. La ferita celeste sarà così profonda che pioverà per giorni e giorni, fino a sommergere ogni cosa sulla terra. Solo un giusto, con la sua famiglia, scamperà allo sterminio: è Noè, risparmiato insieme ad ogni specie di animali all'ira divina.
"Tutto quello che sulla terra aveva alito di vita nelle sue narici morì" uomini, animali, una strage che segnerà profondamente l'identità divina. Egli ne porterà per sempre i segni. Osservando la terra desolata Dio si rende allora conto della sua forza distruttrice e si pente del male commesso: io non maledirò la terra a causa dell'uomo e non colpirò ogni cosa vivente come ho fatto.
Dio, con quell'arma ancora in mano, si deve essere sentito poco credibile, in imbarazzo davanti a Noè il giusto. E chissà, forse ha immaginato le domande irriverenti che Noè avrebbe potuto porgli: Perché l'hai fatto? Eri deluso della tua opera, artista bizzarro che strappi via lo schizzo imperfetto che hai disegnato? Se per te forse l'umanità era solo una brutta copia della tua opera d'arte, per noi quaggiù invece quei figli e figlie morti erano unici, non potranno mai essere più sostituiti.
Dio si pente. Mai più! giura a Noè. E per dimostrare il suo pentimento, si disarma, depone le armi, appende nel cielo il suo arco da guerra, ed ecco l'arco diventa segno di pace, arcobaleno, segno perenne di un patto con l'umanità. Egli guardando il cielo si ricorderà per sempre della sua furia e delle conseguenze di tale azione. Mai più! dice l'arco nel cielo. E se non bastasse quello in cielo, le nostre bandiere sui balconi con i colori dell'arcobaleno, ricordino a Dio e al mondo intero quella volontà di pace. Ora che egli stesso ha rinunciato alle armi di distruzione può chiedere ai figli di Caino la stessa cosa: Chiederò conto della vita dell'uomo alla mano di ogni fratello dell'uomo. Le chiese continuamente sono tentate dal "buon senso" della "guerra legittima" per abbattere il dittatore di turno e stabilire la giustizia, ma la Parola che hanno ricevuto e che devono custodire con fedeltà indica loro una strada diversa. Come Dio anche le chiese si devono disarmare per essere credibili nel loro annuncio. Abbiamo insieme parlato di pace al mondo, ora dobbiamo annunciarla all'interno delle singole comunità e tra le diverse confessioni. Dobbiamo imparare a fare la pace per combattere i muri costruiti. Troppo preoccupate di salvaguardare i propri spazi, le proprie identità, spesso le chiese hanno creato conflitti, tensioni, hanno schiacciato realtà più deboli e demonizzato l'altro, proprio loro, nate dall'incontro con l'Altro.
Nasce dunque l'esigenza di fare un serio percorso spirituale che coinvolga ogni ambito della vita della comunità. Disarmare le chiese implica anche rivedere il linguaggio con cui diciamo la fede, spesso troppo pieno di immagini militariste e autoritarie.
Perché non valorizzare il Dio della tenerezza, il linguaggio dei miti e dei mansueti?
(da Cem/mondialità, agosto-settembre 2003)