Peace keeping o azioni dl guerra?
A cominciare dalla Bosnia, gli eserciti hanno inteso le missioni di peace keeping come un misto di imposizione di forza militare e di offerta di aiuti umanitari. I contingenti si sono attrezzati con uffici di cooperazione sociale militare sempre più efficienti. All'inizio gli "umanitari" hanno cercato di stabilire regole del gioco chiare e certe, ma negli ultimi tempi, forse anche a causa del vorticoso giro di missioni internazionali, sono state messi sempre più da parte e gli eserciti tendono a fare da soli. Gli "umanitari", volontari o professionisti, danno fastidio, non rispettano le regole militari e rischiano di provocare incidenti diplomatici e politici.
Nei Balcani si è assistito a una buona collaborazione. A volte la presenza dei militari era indispensabile per questioni di sicurezza. Ma occorre appunto avere rapporti ben definiti. Invece a un certo punto le operazioni di peace keeping sono cambiate, fino a diventare vere e proprie operazioni di guerra. È assai difficile definire operazione di pace, per esempio, la missione in Afghanistan. Anche se questa è l'idea rilanciata dai media. In realtà nel paese asiatico i militari hanno lasciato soli gli operatori umanitari e non sono riusciti a ristabilire regole di convivenza minime, indispensabili all'attività delle ong. Il fatto è che sempre meno gli eserciti si preoccupano di ciò che lasciano alla fine delle operazioni militari. In Iraq è evidente la difficoltà dei soldati alleati a rendere sicure città e strade. In Afghanistan il paese è fuori controllo; solo la capitale Kabul è percorsa dai mezzi delle truppe internazionali. Eppure oggi del ruolo della cooperazione civile allo sviluppo non si parla quasi più; anzi, si tende persino a utilizzare il denaro ad essa destinato per finanziare la cooperazione militare. Manca la volontà politica per ridefinire con esattezza ruoli e confini di intervento.
A ben vedere è però un problema di indirizzi di politica estera: paga di più, presso l'opinione pubblica, lo strumento militare o lo strumento civile e il lavoro delle ong? L'esperienza della Somalia, dove non c'erano interessi vitali da difendere, è significativa riguardo al fallimento della sola forza militare in contesti sociali complicati. Ora in Iraq e in Afghanistan si rischia di nuovo. E le cose non precipitano solo grazie alla tenacia di alcune ong. Proprio quelle che da anni invocano rapporti chiari con gli uomini in mimetica.