I Dossier

Domenica, 29 Agosto 2004 21:35

"Giusta causa" in crisi

Vota questo articolo
(0 Voti)

di Drew Christiansen

* Drew Christiansen è gesuita. L'articolo è stato pubblicato sul settimanale statunitense "America" (rivista dei gesuiti) il 24/372003.

E’ stata una mossa audace. Mentre numerosi funzionari vaticani e lo stesso Giovanni Paolo II esprimevano una critica vigorosa a una possibile guerra all'Iraq, l'ambasciatore statunitense presso la Santa Sede ed ex presidente nazionale del partito repubblicano, Jim Nicholson, invitava a Roma Michael Novak dell'American Enterprise Institute di Washington per sostenere la fondatezza di una "guerra preventiva" contro l'Iraq. L'invito di Nicholson è stato una contromossa rispetto alla coraggiosa resistenza vaticana alla politica bellicista dell'Amministrazione Bush, in atto da mesi.

"Se il 10 di settembre avessimo saputo cosa sarebbe successo l'11", ha chiesto Nicholson, "non saremmo stati giustificati nel correre ai ripari contro quella minaccia?". La guerra giusta, ha sostenuto l'ambasciatore, deve essere compresa nel "contesto dell'epoca in cui stiamo operando, cioè velocità quasi istantanea con cui le armi, con il loro potere di distruzione di massa, vengono rese operative".

Il concetto stesso di guerra preventiva ha provocato l'opposizione della Santa Sede a livello teorico; l'imminente guerra con l'Iraq, la prima paradigmatica applicazione di quel concetto, ha suscitato l'opposizione della Chiesa sul piano politico. La disputa politica è sul concetto di guerra giusta. In questione è la direzione che l'insegnamento cattolico sulla pace e sulla guerra ha preso dal Concilio Vaticano II e la sua evoluzione in risposta alla guerra contro il terrorismo.

Prima dell'11 settembre 2001, l'insegnamento cattolico ufficiale sulla guerra giusta si era già sviluppato come insieme di elementi attinti sia dalla dottrina della nonviolenza, sia dalla dottrina della guerra giusta. Questo ha costituito un allontanamento dal Cattolicesimo tridentino, secondo il quale la guerra giusta rappresentava l'unica posizione formale cattolica. Il cambiamento che ha avuto inizio con il Vaticano II, ha subito un'accelerazione in seguito alle riuscite rivoluzioni nonviolente dell'Europa dell'Est, che hanno messo fine ai regimi comunisti nel 1989. Riflettendo su quegli eventi nella sua enciclica del 1991, Centesimus Annus, Giovanni Paolo II lodò gli attivisti non-violenti che rovesciarono i regimi comunisti dell'Europa dell'Est ed espresse la sua opposizione alla guerra come mezzo per risolvere il conflitto.

Nel 1993 i vescovi cattolici statunitensi, in The Harvest of Justice Is Sown in Peace (Il frutto della giustizia è seminato nella pace), riassumevano lo status dell'insegnamento cattolico in questo modo:

1) in situazioni di conflitto il nostro impegno costante deve essere, per quanto è possibile, quello di lottare per la giustizia attraverso mezzi non-violenti.

2) Ma quando i tentativi di sostenere l'azione non violenta falliscono nella protezione degli innocenti contro l'ingiustizia di base, allora è concesso alle autorità legittimate politicamente di impiegare la forza, come ultima risorsa, per salvare gli innocenti e ristabilire la giustizia.

La critica dell'insegnamento attuale

Per parecchi anni questa posizione cattolica ibrida è finita sotto l'attacco dei teorici della guerra giusta con inclinazioni politiche conservatrici. In particolare, costoro hanno attaccato l'idea che la Guerra Giusta e la non-violenza abbiano in comune "una forte opposizione a priori contro la guerra", formula presa dalla lettera pastorale dei vescovi Usa del 1983, La Sfida della Pace. Il professor James Turner Johnson della Rutgers University, nel suo libro Moralità e Guerra Contemporanea (1999), ha espresso la più accesa critica dell'opposizione alla forza, obiettando che si tratta di un'innovazione che impedisce la restaurazione della giustizia.

L'avversione alla forza, tuttavia, è antica quanto sant'Agostino il patrono dei teorici della guerra giusta cristiana, che scriveva: "Merita più gloria fermare la guerra con una parola, che trucidare gli uomini con la spada, e mantenere la pace con la pace, non con la guerra". L'accettazione della nonviolenza da parte della Chiesa si sposa con la convinzione che i cristiani - e tutte le persone di buona volontà - siano obbligati a resistere al male pubblico. Non è questione di evitare la violenza a tutti i costi, ma piuttosto di resistere al male per quanto possibile con mezzi nonviolenti, ricorrendo alla forza se necessario solo quando falliscano le misure nonviolente. Il dovere di resistere al male distingue l'approccio cattolico alla nonviolenza dall'approccio pacifista della non-resistenza, di coloro cioè per i quali la violenza è un segno di malvagità da evitare sempre.

Il campo d'azione dello Ius ad Bellum

Un altro punto di divergenza tra l'insegnamento cattolico ufficiale sulla guerra e i suoi detrattori più feroci è il contenuto della Jus ad Bellum, le norme che regolano il ricorso alla forza. Sant'Agostino aveva originariamente specificato tre di queste norme:

la giusta causa, la legittima autorità e la corretta intenzione. Durante i secoli, in risposta all'esperienza storica della guerra, i teologi morali aggiunsero parecchie altre norme alle tre di sant'Agostino.

Un principio come quello dell"'ultima spiaggia", per esempio, era inteso a frenare l'azione di guerra chiedendo l'esplorazione di alternative alla guerra. Principi come quelli della proporzionalità e della possibilità di successo sono finalizzati a ridurre il danno fatto dalla guerra e a prevenire un inutile conflitto protratto nel tempo. Pensate alla Guerra dei Trent'anni o, nella nostra epoca, agli ultimi 40 anni in Colombia o al periodo dagli anni '70 ai primi anni '90 in Afghanistan. In ogni caso venne portato avanti per decenni un conflitto non risolutivo, che portò alla morte e alla menomazione di civili e alla distruzione dei loro Paesi.

Per i critici, questi principi stabiliti molto tempo fa restringono le opzioni a disposizione dei politici e degli strateghi militari. L'attuale applicazione dei principi della gerarchia cattolica, sostengono i critici, dimostra che l'etica cattolica della guerra giusta è stata infettata da una reazione disordinata alla feralità della guerra moderna. Costoro preferirebbero tornare alla triade agostiniana (giusta causa, legittima autorità e corretta intenzione). Ma, di fatto, raramente discutono la corretta intenzione - presumono che i leader politici ne sappiano di più - e per autorità legittima intendono lo Stato-nazione, mai le Nazioni Unite, che disprezzano. In effetti, si rifanno solamente al principio della giusta causa. Ma la giusta causa da sola non fa una giusta guerra. Nella teoria della guerra giusta, la funzione di un insieme di criteri è di evidenziare che altre condizioni vadano soddisfatte, oltre a quella della giusta causa, prima che una guerra sia giudicata morale.

Dopo l'11 settembre, i moralisti della scuola del permissivismo - come li chiamo io per la loro volontà di giustificare la maggior parte delle politiche governative - hanno considerato che la guerra al terrorismo autorizzava il disprezzo di ciò che essi definivano "principi limitanti" tra le norme dell'ad bellum, norme come l'ultima spiaggia e la proporzionalità, a favore di quelli "legittimanti", come la giusta causa e l'autorità legittima. La posizione dei professor Johnson, per esempio, è che i principi limitanti sono un ostacolo all'azione governativa nel suo chiaro dovere di reprimere il male e restaurare la giustizia.

La guerra preventiva e la giusta causa

Nell'ultimo anno, la distanza tra la gerarchia cattolica (e la principale corrente di teorici cattolici della guerra giusta) e i loro critici è aumentata, dapprima per la Strategia della Sicurezza Nazionale del presidente e poi per la prospettiva di guerra contro l'Iraq. L'Amministrazione ha reso l'azione preventiva e la prevenzione pietre angolari della propria politica militare nella guerra al terrorismo. Gli Stati Uniti, come recita la Strategia della Sicurezza Nazionale, affermano la propria prerogativa "di esercitare il diritto all'autodifesa agendo preventivamente". In circostanze particolarmente minacciose, attaccheranno prima "per anticipare e prevenire azioni ostili". In una mossa successiva, destinata a provocare la contrarietà degli alleati, così come degli avversari, hanno anche dichiarato che non avrebbero tollerato rivali, ribadendo così il dominio Usa su tutti i potenziali avversari, posizione che fa a pugni con l'accezione agostiniana della corretta intenzione che esclude la libido dominandi, la lussuria del potere.

L'azione preventiva - un colpo militare teso a guadagnare un vantaggio quando si pensa che un attacco nemico sia imminente - è stata per anni una tattica militare accettata, sebbene moralmente preoccupante. Il filosofo morale Michael Walzer, dell'Istituto di Studi Avanzati, aveva sostenuto nel suo Guerre Giuste e Ingiuste (1977) che una nazione potrebbe prevenire un attacco paralizzante da parte di altri, ma solo se l'attacco fosse tanto imminente quanto pericoloso. Come proposto dall'Amministrazione, la guerra preventiva, tuttavia, mira a bloccare l'acquisizione o il trasferimento di armi di distruzione di massa quando l'attacco non è né imminente, né pericoloso nel senso di una minaccia alla sopravivenza della nazione o nel senso di una paralisi della sua capacità difensiva.

Dal punto di vista dell'insegnamento cattolico della giusta guerra, la guerra preventiva è un'innovazione pericolosa. Se la distinzione tra aggressione e guerra difensiva è quasi inesistente, allora il mondo è minacciato da una guerra di tutti contro tutti. A Roma, il cardinal Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha respinto il termine. La guerra preventiva, ha detto, "non appare nel Catechismo della Chiesa Cattolica". Allo stesso modo, l'arcivescovo Jean-Louis Tauran, il ministro degli esteri vaticano, ha dichiarato: "Nella Carta delle Nazioni Unite non è prevista la guerra preventiva". I vescovi Usa hanno anche espresso preoccupazione per le "proposte di estendere in modo consistente i tradizionali confini della giusta causa per prevenire l'impiego della forza militare, per rovesciare regimi minacciosi o per affrontare armi di distruzione di massa".

Un ragionamento a fortiori

Argomentando la tesi dell'Amministrazione, Michael Novak ha tergiversato quando ha spiegato il fondamento razionale della Casa Bianca per una guerra preventiva. Invece, ha sostenuto che la guerra contro l'Iraq sarebbe stata un rafforzamento dell'accordo del cessate-il-fuoco del 1991, che aveva messo fine alla guerra del Golfo. I nuovi argomenti a favore di una "guerra asimmetrica" dimostrati dagli eventi dell'11 settembre, ha affermato Novak, "hanno gettato una luce completamente nuova sul comportamento di Saddam Hussein e hanno aumentato di cento volte il pericolo che Saddam Hussein rappresenta per il mondo civilizzato".

La guerra contro l'Iraq, ha riflettuto Novak, potrebbe essere giustificata sulla base della tradizionale guerra giusta adattata alla nuova realtà della guerra asimmetrica, come è stato dimostrato dagli eventi dell'11 settembre. "I normali criteri osservati dai teorici della guerra giusta non erano letteralmente presenti", ha aggiunto, "nè lo erano i movimenti militari convenzionali, né i segni visibili di un attacco imminente, né l'autorità di uno stato nazione ostile. L'orrore del danno era immenso, proprio lo stesso". Come l'Amministrazione, Novak non ha fatto collegamenti concreti tra Saddam e al-Qaeda. Si è servito dell'esempio dal più piccolo al più grande. Se al-Qaeda ha potuto uccidere 3 mila persone con quattro aerei dirottati, quali maggiori danni potrà compiere Saddam col suo arsenale di armi chimiche e biologiche?

Infatti, ponendo il caso a fortiori contro l'Iraq, Novak ha presentato un caso concreto di guerra preventiva, pur evitando il termine. Ma ha argomentato la guerra senza esaminare i fatti e trascurando il giudizio degli esperti. I fatti: durante la guerra del Golfo i raid aerei non hanno distrutto nessun missile Scud; dopo la guerra, gli ispettori hanno trovato e distrutto centinaia di quei missili. L'opinione dell'esperto (Cia): le politiche esistenti - che potrebbero essere più solide - hanno frenato Saddam e la guerra potrebbe spingerlo ad usare le armi di distruzione di massa in suo possesso.

Una teoria inapplicabile?

Nel suo messaggio al corpo diplomatico a gennaio, Giovanni Paolo II ha dichiarato che la guerra è sempre una sconfitta per l'umanità". Rispetto alla guerra contro l'Iraq, ha aggiunto: "La guerra non è mai un mezzo come un altro da impiegare per appianare le divergenze tra i popoli". Per i sostenitori della guerra giusta, tuttavia, la sfida più seria arriva dall'arcivescovo Renato Martino, il nuovo presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace. L'arcivescovo ha tracciato un paragone tra la guerra giusta e la pena di morte. Ricordando come il Catechismo della Chiesa Cattolica deve essere rivisitato perché rifletta fedelmente l'evoluzione della posizione della Chiesa sulla giustizia retributiva alla luce della capacità della società di proteggere se stessa senza la punizione capitale, Martino ha sottolineato: "La società moderna deve avere, e ha, i mezzi per evitare la guerra".

L'idea che la guerra giusta abbia fatto lo stesso percorso della pena di morte avrebbe serie implicazioni. La guerra giusta sarebbe ammessa in teoria, ma quasi mai nella pratica. In assenza dell'istituzione di meccanismi alternativi ed efficaci di risoluzione di conflitti e in un momento di stasi della forza dell'Onu, l'insegnamento cattolico ufficiale sarebbe diventato funzionalmente pacifista, come i critici tipo George Weigel hanno sostenuto per un po' di tempo. Se questo fosse vero, cambierebbe molto per i cattolici, dal servizio militare all'obiezione di coscienza e alla cappellania militare.

Anche l'importanza dell'uso che la Chiesa fa dei criteri della guerra giusta per prevenire e limitare la guerra sarebbe enormemente ridotta, come lo sarebbe la sua abilità di fornire un commento morale sull'elaborazione di politiche militari e sull'attuale gestione della guerra.

L'arcivescovo Martino non è la prima voce vaticana che fa pressione sulla Chiesa affinché scarti la giusta guerra come qualcosa di superato. Già durante il Concilio Vaticano Primo (1870) i delegati fecero circolare una petizione contro la guerra. Dopo la prima guerra del Golfo, "La Civiltà Cattolica", la rivista gesuita che viene regolarmente revisionata dal Vaticano prima della pubblicazione, scrisse in un editoriale che era tempo di abbandonare la guerra giusta. Ora come allora, altri in Vaticano si sono sentiti costretti a insistere, come ha fatto recentemente Joaquìn Navarro-Valls, il capo dell'ufficio stampa del Vaticano, che ha detto: "Il Papa non è un pacifista". La guerra giusta ha i suoi difensori anche in Vaticano.

Dov'è l'insegnamento cattolico?

Oggi il cattolicesimo si rifà a una ricca teologia di pace, di cui la guerra giusta è solo una parte. Con il 40.mo anniversario della Pacem in terris, è giunto il momento di unire i vari pezzi di questo insegnamento in una dottrina coerente sulla pace e sulla guerra. Gli elementi positivi dell'insegnamento - la difesa dei diritti umani, il diritto a uno sviluppo umano integrale, il sostegno alla legge internazionale e alle istituzioni mondiali, così come alle indicazioni relativamente nuove sulla nonviolenza e il perdono - hanno bisogno di articolazioni più chiare, in modo tale che possano servire come piattaforma per un positivo programma pastorale di pace.

C'è un particolare bisogno di elaborare l'insegnamento ancora incompleto sulla nonviolenza e sull'ordine mondiale, soprattutto sull'autorità delle organizzazioni internazionali, parte, questa che viene spesso rigettata da coloro che sposano l'uso della forza. Una cosa è chiara: la tradizione è evoluta al punto che si impone un chiarimento autorevole. Il tanto atteso Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, richiesto nel 1997 dalla Speciale Assemblea del Sinodo dei vescovi per l'America, potrebbe contribuire a illuminare alcuni di questi temi. Nel frattempo, l'insegnamento della Chiesa sul mantenimento della pace, la nonviolenza e la guerra giusta sebbene incompleto, può fornire un apprezzabile aiuto ai cattolici e a coloro che sono alle prese con argomenti morali di guerra e di pace.

 

 

 

 

Letto 1835 volte Ultima modifica il Domenica, 18 Settembre 2011 19:31
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search