Il West è il prototipo perfetto di una particolare merce, destinata al successo: qualcosa che non esiste ma che può diventare reale a condizione che tutti credano che esista... e quel salto nell'immaginario ha un nome: globalizzazione. Il nostro West". La nostra terra promessa. "La globalizzazione è un paesaggio ipotetico, fondato su un'idea: dare al denaro il terreno di gioco più ampio possibile. Chi ha inventato quel paesaggio, e chi lo sponsorizza ogni giorno? Il denaro". Così la globalizzazione è diventata necessaria e la pressione ad adottarla come slogan, di conseguenza, ossessiva.
Questa immagine è molto efficace nel descrivere un qualcosa che viene percepito come assoluto, ineluttabile, in analogia con le conseguenze derivanti dalle grandi invenzioni o dalle grandi rivoluzioni: un qualcosa di cui non se ne può più fare a meno, pena il blocco del progresso, del cammino verso un mondo promesso come sempre più ricco e regno del benessere.
Di fronte a questa promessa non si può remare contro, le voci di dissenso vengono tacciate di oscurantismo, di miopia.
E pertanto "essere locali, cioè legati al territorio, in un mondo globalizzato è un segno di inferiorità, una condizione per nulla piacevole" afferma Roberto Camarlinghi (2). "Tanto più che gli stessi luoghi stanno perdendo la loro capacità di generare e imporre significati all'esistenza, perché in questo mondo sono i 'globali' che danno il là e fissano le regole del gioco della vita".
Ma è possibile reagire a questa tendenza? Si può provare a riorganizzare il locale, forse più consumato che rigenerato dai processi della globalizzazione?
Di fronte ad un processo che appare inarrestabile, nei confronti del quale al livello macro sembra impossibile opporre resistenza (o perlomeno implica la messa in moto di meccanismi molto più grandi che si collocano al livello mondiale: come il popolo di Seattle, la contestazione di Genova o il Social Forum di Firenze) possiamo credo molto timidamente e sommessamente cercare di 'leggere' se si possono scorgere dei segnali, a livello locale, che cercano di dimostrare che, a quel livello, è possibile muoversi in una direzione differente.
Efficace il titolo dell’articolo citato "Globalizzazione = riscoperta del locale?"
Una reazione alle spinte della globalizzazione può avvenire in loco, accanto al capitale finanziario c'è anche il capitale sociale, alle multinazionali ed ai grandi poteri si possono opporre imprese artigianali e l'espressione di piccoli poteri reali espressione della partecipazione della gente.
Certamente un'ottica del genere può essere anch'essa tacciata di utopia, di collocarsi fuori dalla realtà, in un mondo di sogni e di chimere che non troverà applicazione e diffusione. Proviamo allora a delineare alcune pre-condizioni che devono esistere affinchè il 'locale' possa esprimersi con efficacia, affinché possa realizzarsi un recupero di risorse, facendo emergere sinergie e collaborazioni:
- pluralità di soggetti coinvolti e, in particolare, l'ente locale;
- integrazione fra generazioni;
- creazione di uno spazio decisionale reale;
- effettiva integrazione fra pubblico, privato e privato sociale.
"Occorre pertanto ripartire da un'analisi che consenta di comprendere (o almeno tentare di comprendere) quali siano gli aspetti che caratterizzano le dinamiche che investono il territorio, gli attori sociali e le comunità, gli spazi di agibilità residui e quelli da promuovere.
Tale analisi deve considerare il 'micro' quale campo privilegiato dell'azione sociale e di animazione, pur non perdendo di vista la forte dipendenza e connessione tra la dimensione locale e i processi di macro trasformazione...
Occorre sostenere il 'sociale' non solo nell'esplicitazione dei bisogni, ma anche nella costruzione di una propria rappresentazione e rappresentanza politica, nella autogestione di spazi di economia alternativa, nella promozione di una organizzazione di comunità forte volta al miglioramento della qualità della vita delle persone" (3).
In questa prospettiva che tenta di "tenere insieme il globale e il locale", bisogna anche considerare alcune domande lasciate aperte da questo processo di globalizzazione.
"Non si tratta di domande astratte, ma di questioni concrete che hanno a che fare con la sopravvivenza dell'umanità e il tenore di vita di sei miliardi di uomini. E queste enormi questioni possono essere riassunte in quattro domande fondamentali:
- domanda di natura;
- domanda di giustizia;
- domanda di benessere;
- domanda di senso: che è strettamente collegata alla identità di una comunità, ai suoi valori, alla possibilità di sviluppare delle relazioni e alla capacità di fornire alle nuove generazioni una speranza per il futuro" (4).
Il panorama di esperienze significative si colloca, mi pare, a due livelli: da un lato le esperienze legate al consumo critico, il commercio equo e solidale, i gruppi di acquisto solidali, la finanza etica, il turismo responsabile, che si riferiscono più direttamente agli aspetti economici; dall'altro sul versante educativo, le esperienze di partecipazione che vedono le giovani generazioni impegnate in un significativo processo di partecipazione, derivanti da importanti "carte" internazionali (la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia del 1989, oppure la Carta delle città educative del 1990), quali ad esempio i Consigli Comunali dei Ragazzi, le esperienze "bambini-città" ecc.
Mi pare importante innescare meccanismi che favoriscano sia un processo di coscientizzazione circa i reali problemi del mondo in cui i giovani vivono, sia favorire la conoscenza e l'avvicinamento alle istituzioni. Reali spazi di partecipazione, concrete esperienze di presa di decisioni, effettivo riconoscimento da parte degli adulti di un ambito discrezionale, costituiscono una significativa palestra di democrazia.
NOTE
(1) "Next" - di A. Baricco - Feltrinelli, 2002.
(2) R.Camarlinghi, Globalizzazione=riscoperta del locale? in "Animazione Sociale" N. 10 - 2001.
(3) A. Pellegata, Il territorio, la nuova fabbrica in 'A. S.' cit.
(4) A. Saroldi, L'invenzione del locale in 'A.S.' cit.