I Dossier

Venerdì, 20 Agosto 2004 20:45

Alcuni segni della nuova era (Giovanni Vannucci)

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La liberazione dal giudizio, dalla paura e dalla condanna; il rispetto per l'altro, l'amore reciproco compiuto nel segno della gratuità e del dono; il risveglio della generosità...

(...) L'indicazione dei segni della nuova era, che batte ormai alle porte della nostra coscienza, ci può essere data da quanto nel nostro tempo viene guardato con disagio, respinto, non integrato nelle vigenti strutture sociali.

Ripercorrendo la storia conosciuta una constatazione illuminante ci colpisce: i portatori della nuova parola sono sempre stati i respinti dalle organizzazioni che si erano formate attorno alle vecchie qualità mitiche.

I preti dell'era della gerarchia nella Sumeria e nell'Egitto del III millennio avanti Cristo odiavano ed emarginavano le tribù dei pastori nomadi, dei quali temevano le razzie e le depredazioni. Basta aver presenti le vicende del popolo ebraico in Egitto: queste tribù furono le annunciatrici della rivelazione della giustizia. Nel corso dell'era della giustizia sorse una nuova categoria di esclusi: gli schiavi. In Israele erano gli stranieri, nell'India brahmanica furono i paria, i fuoriclasse, nella Grecia e a Roma furono gli schiavi. Questa fu la classe emarginata che si dischiuse per prima alla qualità dell'amore-passione.

La qualità della gerarchia si espresse nella città egiziana organizzata con cura: la città era la dispersione individuale vinta, la sopravvivenza dei cittadini. Il cittadino poteva sopravvivere, ma nella rigidezza delle strutture qualcosa moriva in lui.

Venne la qualità della giustizia, la giustizia vissuta da un popolo che si organizzò in tribù e in famiglie. La giustizia adempiuta assicurava la sopravvivenza dell'individuo e del popolo. I non osservanti della legge vennero emarginati e non considerati. L'amore allora prese il suo posto, alla famiglia si sostituì la coppia, la cui vita non era regolata da leggi, ma dall'amore nuovo cristiano. Il marito doveva amare la sua compagna dello stesso amore che Cristo aveva per la sua chiesa; i due coniugi tendevano a un amore che andava oltre tutti i piccoli amori: l'amore in sé. I coniugi vivevano non limitando l'amore al breve spazio della famiglia, del nome di una casata, estendendolo in uno spazio universale a tutti. La coppia era il centro del nuovo fuoco destinato a invadere tutta l'umanità. Il giusto è abbracciato e con lui anche l'ingiusto e il peccatore. L'amore, estendendosi, consumandosi, rivela il suo limite: chi ama incontra il desiderio di voler essere riconosciuto, gratificato dagli oggetti del suo amore e diviene interessato. Nascono le opere di beneficenza, la questua del riconoscimento del proprio dono.

Il superamento di questo confine sarà l'amore gratuito, l'amore che si allarga nella libertà; la libertà sarà il rispetto profondo della singolarità dell'altro, il dono verrà fatto in piena e totale gratuità. (...).

La parola: "Verranno dall'oriente e dall'occidente e prenderanno il vostro posto" rivela una profonda e misteriosa legge che presiede al divenire dell'uomo.

I piccoli e il regno dei cieli

Percorrendo alcune parabole del Vangelo e riflettendo su alcuni gesti di Cristo, la legge della preferenza per i reietti, gli emarginati, i privi dell'approvazione istituzionale si rivela in maniera sconcertante. La pecorella smarrita è preferita alle novantanove rimaste nell'ovile tranquillo; il figlio prodigo al figlio rimasto nella casa paterna; la peccatrice al fariseo ospite munifico di Cristo; l'adultera ai rigidi custodi della legge; i fanciulli agli apostoli disturbati dal loro chiasso.

Parabole e gesti che ordinariamente vengono interpretati come espressioni dell'amore grande di Cristo. Ma forse Cristo ha amato questi esclusi perché nelle loro vicende, disordinate, hanno preferito conoscere se stessi e il mistero dell'esistenza, nella trasgressione, nella libertà. Preferiamo sempre la prima spiegazione per il panico che in noi provoca la seconda!

Molte fiabe affidano l'opera della salvezza, della soluzione di situazioni senza via d'uscita, all'ultimo e al meno considerato dei fratelli, alla persona meno stimata. Tra i numerosi significati che hanno le fiabe si può pensare che, con la preferenza data al personaggio ignorato o disistimato, vogliano trascrivere la lunga esperienza umana degli ultimi che diventano i primi, degli umili che vengono scelti per ogni nuova rivelazione. Quando le forme di vita suscitate da una qualità si vanno facendo più complesse e intricate, quando il suo nucleo vivente viene tradotto in norme di comportamento e in teorie astratte, quando la lettera comincia a soffocare lo spirito, le classi privilegiate e parassitarie assumono i primi posti sostituendo le loro tradizioni alla Parola. Questo fatto che rientra nel ritmo dei cicli, di cui ho parlato sopra, determina l'affermarsi di una duplice categoria di uomini: gli integrati nell'organizzazione dominante, e i non integrati, gli interni di un sistema e gli esterni.

Gli interni sono quelli che sono ben inseriti nel gioco sociale, che vi partecipano o ne approfittano, o semplicemente ne sono soddisfatti. Nel linguaggio evangelico sono chiamati: "Quelli che hanno la presunzione di essere giusti" o, più semplicemente, i "ricchi", gli "anziani", gli "adulti" del popolo. Esterni sono quelli che non ce la fanno a vivere nel ben regolato ordine del loro tempo, e si sentono esclusi dagli scambi sociali, dalle responsabilità, non per esserne incapaci, ma perché sentono che, se accettassero i modelli precostituiti, la parte più viva e creativa del loro essere verrebbe a morire. Questi nel Vangelo sono chiamati i "piccoli", i "peccatori", quelli che, vagabondando fuori della città santa, si incammineranno dall'oriente e dall'occidente verso il regno, seguendo le infallibili indicazioni della loro sostanziale insoddisfazione e della loro ricerca intensa e priva di compromessi. Gide, in Numquid et tu, così implora: "Concedimi di non essere annoverato tra i fortunati, i soddisfatti, i satolli; tra quelli che hanno successo, che sono gratificati e invidiati... Concedimi di non essere tra quelli che riescono".

E la preghiera che, in questo tempo di fine, dovremmo ripetere!

Il nostro dramma

La situazione dell'uomo, nella presente fine di un ciclo qualitativo, è descritta dal poeta arabo Omar Khayyam (1050-1132): "Vidi un solitario in una landa arida; non era ne eretico, né ortodosso; non aveva ricchezze, né religione, né Dio, né verità, né legge, né certezze. Chi avrà un tale coraggio in questo tempo di fine?".

Il nostro tempo, ormai al termine di un periodo positivista, continua, nelle linee del pensiero ufficiale, a non interessarsi del mistero che è oltre e dentro le realtà fisiche. Il suo compito non è stato negativo - ogni era storica è aperta verso l'infinito -; distruggendo o razionalizzando i miti anteriori, ha liberato la mente umana da tutte le vecchie credenze divenute ormai delle superstizioni.

l'uomo, liberato dai vecchi dèi, riscopre il problema della sua presenza in un universo vivente, modificato dalla qualità precedente e ormai al crepuscolo, e ricerca delle soluzioni più corrispondenti all'istante. Così vediamo che l'umanità è alla ricerca di una "parola perduta", di una qualità che faccia rifiorire la vita, perché sente che tutto le manca: l'avvenire, perché l'avvenire le si presenta come terrificante, e il passato è un muro opprimente. Non può risolvere il problema fondamentale della sua esistenza, né ricorrendo ai modelli del passato, che non la riguardano più, né a qualche potenza metaforica che non possiede più. Tale è il nostro dramma, che dobbiamo vivere con coraggiosa fiducia.

"Non c'è atteggiamento di maggiore umiltà dell'attesa silenziosa e paziente. E l'atteggiamento dello schiavo pronto a qualunque comando del padrone, o all'assenza di ogni comando. L'attesa è la passività del pensiero in atto. L'attesa trasforma il tempo in eternità" (S. Weil).

L’attesa

I nuovi tempi sono alle porte, se ne intravedono i primi albori, ma non sono ancora giunti. Gli albori possono essere colti nelle nuove direzioni della ricerca scientifica, che è la dominante di questo tempo, e nel mutamento della coscienza di fronte ai valori tradizionali.

Nella ricerca scientifica, contrassegnata, fino a poco tempo fa, dalla certezza che "1’universo non ha un senso, che la creazione si è compiuta per caso, che essa è il risultato del gioco di Montecarlo, che ogni struttura primaria di proteine è il semplice risultato di una direzione qualunque, presa a caso" (Monod) certezza che ora non è più sicura, come lo dimostra il pensiero di vari scienziati, la gnosi di Princeton, eccetera -, certe forme dimenticate di ricerca stanno trovando nuovo credito, come le medicine alternative, l'alchimia, le agricolture biologiche, biodinamiche, alcuni sistemi di alimentazione, eccetera.

La novità essenziale che queste discipline introducono, a ben considerarle, è che l'universo, la materia, l'uomo nel suo complesso psico-fisiologico è il risultato di armoniosi atti intelligenti, e che dei principi - numeri e rapporti - precedono ogni manifestazione visibile. L'estendersi di questa convinzione ricondurrà l'invisibile nel visibile e il visibile nell'invisibile, liberando dal rischio della tirannia i ricercatori del visibile, gli scienziati e i custodi dell'invisibile, i preti.

Se passiamo al piano dei valori, mentre da una parte vediamo travolti, profanati certi comportamenti che ci sembravano delle componenti essenziali dell'uomo civile e morale, dall'altra ci è dato di discernere il sorgere di altri. Per esempio, di fronte ai drogati, la dura condanna di un tempo che li considerava come prevaricanti, autolesionisti, meritevoli di essere lasciati al loro destino, cede il posto a un'attenzione che ci fa sentire corresponsabili di quella disperazione che li ha condotti alla droga.

Il valore della parola di Gesù: "Non giudicare, intervieni settanta volte sette al giorno per ridare alla vita il suo corso", torna a spronarci, cancellando quell'aspetto penoso della bigotteria cattolica che ci ha fatto vedere nella malattia fisica la punizione di azioni peccaminose.

In questo, e in casi consimili, l'uomo si libererà dal giudizio e dalla condanna e non sarà più intralciato dalla paura di ciò che si dirà di lui, e si dischiuderà all'essenziale valore che è di portare instancabilmente la vita, senza guardare a ciò che gli antichi hanno detto o fatto, perché ripetere è mentire, mentre rispondere a ciò che, nel senso della vita, ci vien richiesto "qui e ora" è creare.

Quante situazioni, considerate una volta aberranti, vengono rispettate, oggi, anche con grande sofferenza, non per permissivismo, come comunemente si dice, ma per un impulso di rispetto per l'altrui destino. Non costruiamo più case per le pericolanti o le mal maritate, o rigide oasi per le Maddalene; a uno sguardo superficiale ciò può apparire come debolezza, ma approfondendo questi fatti vi scopriamo gli inizi di un futuro valore: il rispetto per le scelte personali di ciascuno, la consapevolezza che il figlio prodigo ricalcherà la soglia della casa paterna arricchito e maturo per la sua esperienza della libertà. Rispetto che abo1irà la separazione degli uomini "modello" di virtù da quelli non egualmente virtuosi; il rispetto creerà la riconciliazione tra gli uomini, non ci saranno più maestri e discepoli, ma scambio di energie sottili e nobili che porteranno all'incontro festoso dell'uomo con l'uomo.

Un altro segno dei tempi è quello dell'amore per l'altro, compiuto non per ostentazione o per una ricompensa, ma per pura gratuità. Nelle circostanze di calamità pubbliche, terremoti, inondazioni, schiere di giovani accorrono sui luoghi colpiti, sacrificando le loro vacanze, la loro salute, per pura generosità.

Il risveglio della generosità è sotto un emblema differente da quello che ha guidato fino ad ora la carità e il sacrificio di sé per gli altri. Donando le proprie forze sotto il segno della generosità, gli uomini impareranno che il dono non è un sacrificio di sé, ma il mezzo per accrescere le loro forze; intervenendo creativamente, impareranno che nel dono acquisteranno molto di più di quanto danno.

Come l'albero fiorisce per crescere, fruttifica per moltiplicarsi, gli uomini si arricchiranno quando doneranno. Un amore nuovo riavvicinerà gli uomini a tutto ciò che esiste: amore mille volte meno interessato del vecchio amore, amore fiorito nella libertà dello Spirito.

Giovanni Vannucci

(in Mistero del tempo, 1996, pp. 41-51)

 


 

Profilo biografico: frate dei Servi di Maria, nacque a Pistoia nel 1913. Ottenne la licenza in sacra scrittura e in teologia. Inserito nella ricca fioritura culturale, religiosa e civile della Firenze del dopo-guerra, insieme a David Maria Turoldo e ad altre voci profetiche, è stato annunciatore e segno di nuovi tempi. Nel 1967 diede corso ad una nuova forma di vita monastica nell'eremo di S. Pietro alle Stinche presso Panzano in Chianti (Fi) con l'intento di offrire un luogo di silenzio fattivo a chiunque ne avvesse la nostalgia. Uomo di cultura vastissima, unendo le tradizioni spirituali d'oriente e d'occidente in una saggezza di lettura, ha tracciato piste per una ricerca religiosa universale e per una esperienza credente aperta alla verità e alla libertà di spirito. È morto nel 1984 ed è stato sepolto nel cimitero di S. Martino, presso il primitivo eremo dei Servi di Monte Senario.

Opere di Giovanni Vannucci: Libertà dello spirito, Milano (CENS) 1993, è una antologia di vari scritti sul tema della bellezza, della luce, della perfezione, dell'incontro e della preghiera. Sempre per i tipi della medesima casa editrice abbiamo anche Pellegrino dell'Assoluto (1985) e La ricerca della Parola perduta (1986), che possono essere considerati una specie di trilogia postuma. Si veda inoltre: Risveglio della coscienza (1984); Verso la luce (1984); La Vita senza fine (1985); La Parola creatrice (1993); Preghiere alle Stinche (1987). Dimensione Speranza dedica una rubrica ai testi di P. Giovanni, nella sezione Spiritualità.

Su Giovanni Vannucci: rimandiamo alla breve presentazione di Espedito D'Agostini e alla prefazione di David Maria Turoldo nel volume Libertà dello spirito. In Dimensione Speranza si può leggere: Alberto Camìci, Giovanni Vannucci; Massimo Orlandi, L'eremità "custode della luce".

Il testo che presentiamo: all'interno di una più ampia riflessione sul tempo, Vannucci cerca di delineare alcuni elementi che secondo lui dovranno contraddistinguere la nuova era: la liberazione dal giudizio, dalla paura e dalla condanna; il rispetto per l'altro, l'amore reciproco compiuto nel segno della gratuità e del dono; il risveglio della generosità.

 

Letto 2634 volte Ultima modifica il Lunedì, 20 Febbraio 2012 20:57
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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