I Dossier

Mercoledì, 20 Febbraio 2008 00:33

Vale la pena impegnarsi per una società come questa? (Ivan Illich)

Vota questo articolo
(0 Voti)

Cinquant'anni fa, gran parte delle parole che un americano sentiva, venivano rivolte personalmente a lui come individuo o a qualcuno che gli stava vicino.

Solo occasionalmente le parole lo raggiungevano come uno qualunque della folla, a scuola, in chiesa, in manifestazioni o incontri vari.

Oggi, le parole che si rivolgono all'attenzione del singolo sono diventate rate: serie meccanizzate di immagini, idee, sentimenti e opinioni, impacchettate e consegnate attraverso i mezzi di informazione, attaccano le nostre sensibilità con una regolarità incessante.

E’ evidente che l'evoluzione del linguaggio risponde al modello delle relazioni bisogno-soddisfazione, in una gamma sempre più ampia. E’ anche evidente che la sostituzione dei significati conviviali con merce di manipolazione industriale è davvero universale e rende sempre più simili l'insegnante di New York, il contadino di una comune cinese, lo scolaro Bantù e il sergente brasiliano.

Una scelta di ampiezza mondiale

Soltanto in pochi decenni, la terra è diventata un misto di cose diverse rese uniformi. Le risposte umane ai bisogni quotidiani sono state standardizzate, anche se il linguaggio e i beni sembrano tuttora differenti. Giorno per giorno aumenta la gente che si unisce all'incredibile maggioranza che marcia al ritmo di una stessa megamacchina.

L'interruttore accanto alla porta ha preso il posto dei tanti modi in cui si presentavano in precedenza fuochi, candele e lanterne. In dieci anni gli utenti schiacciabottoni sono triplicati. Sciacquone e carta igienica sono diventati condizioni fondamentali per liberarsi dai vasi da notte. Per un numero sempre maggiore di persone, la luce che non viene da una rete ad alto voltaggio e l'igiene senza fazzolettini di carta, significano povertà. Le attese crescono, mentre declina rapidamente la fiducia piena di speranze nelle proprie capacità e in quelle degli altri che ci sono vicini.

L'intrusione ora soporifera ora rauca dei media, arriva nel profondo della comune, del villaggio, della corporazione, della scuola. I testi programmati degli editori e degli oratori, costringono ogni giorno le parole di una lingua parlata in blocchi costruiti per linguaggi impacchettati.

Oggi bisogna essere isolati o attentamente e accuratamente emarginati, se vogliamo che i nostri figli giochino in un ambiente dove si ascolti la gente comune invece dei divi, degli oratori e degli insegnanti. In qualsiasi posto si può osservare il rapido sviluppo di una disciplinata acquiescenza che caratterizza l'uditorio, i consumatori, gli utenti. La standardizzazione dell'atto umano si diffonde.

E’ chiaro quindi che il problema di fronte al quale si trova la maggior parte delle comunità al mondo è esattamente lo stesso:

rimarremo numeri di una folla condizionata che va verso una dipendenza crescente (con selvagge lotte per dividerci le droghe che alimentano il nostro stile di vita) se non troveremo il coraggio di star fermi e guardarci attorno, alla ricerca di qualcosa che sia diverso da frettolose soluzioni precostituite.

Molti però, si dimostrano non solo infastiditi, ma anche profondamente offesi,

quando si dice che i boliviani e gli ungheresi e i canadesi si trovano tutti di fronte alla stessa scelta fondamentale. Questa idea sembra non solo folle, ma scandalosa. Non ci si cura di esaminare gli aspetti di fondo comuni nella degradazione, che si inasprisce sempre più, nella fame degli Indiani dell'altopiano, nella nevrosi del lavoratore di Amsterdam e nella cinica corruzione del burocrate di Varsavia.

Verso una cultura dei beni essenziali

Lo sviluppo ha avuto lo stesso effetto in tutte le società ognuno è stato imbrigliato in una nuova ragnatela di dipendenze dalle “comodità”, prodotte dallo stesso tipo di macchine, industrie, cliniche, studi TV e scatole pensanti.

Per soddisfare questa dipendenza, si devono produrre grandi quantità crescenti dello stesso prodotto: beni standardizzati e meccanizzati, progettati per consumatori ancora da venire, che saranno trascinati dagli agenti di vendita ad aver bisogno di quel che gli sarà offerto. Questi prodotti, siano essi beni tangibili o servizi intangibili, sono la base della produzione industriale. Il loro valore monetario indotto, in quanto comodità, è determinato in varie proporzioni dalla situazione generale e dal mercato.

Le culture differenti diventano rifiuti insipidi di modi di fare tradizionali, buttati via in un immondezzaio mondiale, un terreno arido devastato dalla meccanizzazione dovuta alla produzione e al consumo.

Sulle rive della Senna e del Niger, le popolazioni hanno smesso di imparare e hanno dimenticato come si fa a mungere, perché il latte lo trovano in negozio. Grazie alla clientela del consumatore più ricco, il latte è più raffinato in Francia che in Mali. Oggi molti più bambini possono bere latte di mucca, ma i seni delle donne ricche come delle povere si asciugano. Il consumatore assuefatto nasce quando il bambino piange per la bottiglia, quando l'organismo è portato a volere il latte del negoziante e a rifiutare la mammella che, quindi, si atrofizza. L'azione umana autonoma e creatrice, richiesta per far fiorire l'universo umano, perde il suo valore.

Cemento armato e plastica ondulata hanno preso il posto dei tetti di assi o di paglia, di tegole o di ardesia. Gli ostacoli della giungla, i biasimi ideologici, non hanno impedito al povero e al socialista di correre sulle autostrade dei ricchi, strade che li portano dove gli economisti prendono il ruolo di sacerdoti. La zecca calpesta i tesori e gli idoli locali. I soldi svalutano ciò che non è loro conforme. La crisi è allora la stessa per tutti: la scelta tra maggiore o minore dipendenza dalle comodità industriali.

Maggior dipendenza significa rapida e completa distruzione di culture che sono strutture per rispondere ad attività di sopravvivenza. Minor dipendenza significa lo svariato fiorire di valori d'uso in culture con attività intensa.

Per tutti, ricchi o meno, la scelta è essenzialmente la stessa, anche se difficile da immaginare per chi ormai si è abituato a vivere dentro i supermercati, che sono luoghi diversi solo nel nome delle corsie per gli idioti.

La società tardo industriale organizza la vita attorno alle comodità, Le nostre società di mercato intensivo, misurano il progresso materiale dall'aumento in volume delle comodità prodotte. E, prendendo spunto da questo settore, noi misuriamo il progresso sociale dalla distribuzione dell'accesso a queste comodità. Il socialismo si è orientato verso una lotta contro la cattiva distribuzione e l'economia del benessere ha identificato il bene pubblico con l'opulenza. L'umiliante opulenza del povero. Si potrebbe alimentare una famiglia indiana per un mese, col costo di un giorno di vita da “slum”, col costo di un giorno di degradazione organizzata in un ospedale o nella prigione di una città negli USA.

Senza curarsi di tutte le forme di scambio che non hanno prezzo, la società industriale ha creato un ambiente urbano che non è fatto per le persone, a meno che non consumino ogni giorno la propria quantità di metallo e di combustibili, un mondo in cui il bisogno costante di protezione contro gli effetti non voluti della concentrazione più alta di beni e di potere, ha scavato nuove trincee di discriminazione.

Impotenze e frustrazioni

Il movimento ecologico pilotato dall'establishment ha, fino ad ora, rafforzato ulteriormente questa tendenza e ha concentrato l'attenzione su una tecnologia industriale sempre più spinta e, nel migliore dei casi, sullo sfruttamento della produzione industriale da parte dei proprietari privati. E’ stato posto il problema del venir meno delle risorse naturali, degli inconvenienti dell'inquinamento, dell'intreccio dei rapporti di potere. Ma persino quando i prezzi devono rispondere all'impatto dei prodotti con l'ambiente alla svalutazione dovuta alla noia, al costo della popolarizzazione, non vediamo ancora chiaramente che la divisione del lavoro, il moltiplicarsi delle comodità e la dipendenza da queste, sostituiscono forzatamente quasi tutto ciò che la gente prima costruiva o faceva in proprio.

lingue; metà di quelle che si parlavano ancora nel 1930 oggi vivono solo come soggetti per le tesi di laurea. Quei linguaggi differenti che stanno a testimoniare dei modi incomparabilmente diversi di vedere, usare e godere il mondo, suonano sempre più simili.

La coscienza è colonizzata da etichette importate che il fornitore provvede a offrire. Ma gli stessi che si preoccupano della perdita delle culture, delle varietà genetiche o delle moltiplicazioni degli isotopi radioattivi a lunga durata non avvertono l'irresistibile degradazione delle abilità, delle storie personali e delle sensibilità.

Questa progressiva sostituzione di valori utili ma non commerciabili, con beni industriali e servizi, è stata il risultato oscuro delle fazioni politiche e dei regimi opposti, che hanno distrutto innumerevoli sistemi e infrastrutture dove la gente poteva trovarsi, mangiare, fare amicizia e innamorarsi. Uno o due decenni del cosiddetto sviluppo sono stati sufficienti a smantellare i modelli tradizionali di cultura dalla Manciuria al Montenegro. Prima di questi anni, tali modelli consentivano alla gente di soddisfare la maggior parte dei bisogni in una struttura di sussistenza. Poi la plastica ha rimpiazzato la ceramica, le bevande gassate hanno sostituito l'acqua, il valium l'infuso di camomilla e i dischi la chitarra.

In tutta la storia passata, il metro per misurare i periodi di magra era la percentuale di cibo che doveva essere comperato. Nei periodi buoni quasi tutte le famiglie prendevano gran parte del loro nutrimento da quello che coltivavano o che ottenevano attraverso una rete di scambi amichevoli. Fino al tardo '700, più del 99% del cibo mondiale era prodotto all'interno dell'orizzonte che il consumatore poteva vedere dal campanile della chiesa o dal minareto. Le leggi che tentavano di operare un controllo sul numero dei polli e dei maiali all'interno delle mura della città, indicano che, eccezion fatta per poche grandi aree urbane, più della metà di tutto il cibo consumato era coltivato all'interno della città.

Prima della seconda guerra mondiale, meno del 4% di tutto il cibo consumato veniva trasportato da fuori regione e queste importazioni riguardavano in massima parte le undici città che allora contenevano più di due milioni di abitanti.

Oggi, il 40% dell'umanità sopravvive solo perché ha accesso ai mercati interregionali. Un futuro in cui il mercato mondiale di capitali e di beni fosse severamente ridotto è oggi un tabù, come l'idea di un mondo moderno in cui la gente attiva usi moderni strumenti conviviali per creare valori d'uso che liberino dal consumo.

In questo modello si riflette la credenza che attività utili nelle quali ci si possa esprimere e soddisfare i propri bisogni, possano essere sostituite indefinitamente da beni e servizi standardizzati.

Povertà modernizzata

Oltre un certo limite, la moltiplicazione delle comodità porta all'incapacità di coltivare, di costruire, di cantare. Fra le condizioni umane, la fatica e il piacere diventano un vano privilegio di alcuni ricchi.

Quando Kennedy lanciò “L'Alleanza per il Progresso”, Acatzingo, come molti villaggi messicani delle sue dimensioni, aveva quattro gruppi di musici che suonavano per un bicchiere di vino e “servivano” una popolazione di ottocento anime. Adesso i dischi e le radio sostituiscono il talento locale attraverso gli altoparlanti. Occasionalmente, per nostalgia, si fanno collette per far cantare le canzoni antiche a una banda di esuli universitari, in qualche ricorrenza speciale.

Il giorno in cui il Venezuela fece una legge sul diritto di ogni cittadino all'alloggio, le loro abitazioni autocostruite vennero degradate al rango di catapecchie. Inoltre (e questo è il male) in questo modo si comprometteva l'autocostruzione. Non si poteva più costruire senza presentare un progetto approvato da un architetto. Roba vecchia e scarti utili di Caracas, fino ad allora utilizzati come eccellente materiale da costruzione, adesso creano il problema dello smaltimento dei rifiuti solidi. Chi si fa il suo “alloggio” è guardato come deviante che si rifiuta di collaborare coi gruppi locali di pressione per l'assegnazione di unità di abitazione nei quartieri popolari. Oltre a questo, sono comparse numerose norme che definiscono illegale o perfino criminale l'ingenuità degli autocostruttori.

Questi esempi mostrano come il povero sia il primo a soffrire, quando un nuovo tipo di comodità elimina le tradizionali abilità legate alla sussistenza. L'utile disoccupazione per i poveri senza lavoro, viene sacrificata all'espansione dei mercati del lavoro. L'edilizia come attività scelta di propria iniziativa e qualsiasi altra libertà di utilizzare il tempo libero dal lavoro, diventano il privilegio di qualche stravagante ricco annoiato.

L'adesione all'opulenza paralizzante, quando viene assimilata da una cultura, produce “povertà modernizzata” cioè una forma di svalutazione associata necessariamente alla proliferazione delle comodità.

L'inutilità crescente della produzione industriale di massa è sfuggita all'attenzione degli economisti perché non si può valutare con il loro metro, così come l'inutilità dei servizi sociali che non può essere “calcolata”. Gli economisti non hanno nessuna ragione valida per inserire nei loro calcoli la perdita di ampiezza sociale di un tipo di soddisfazione che non ha equivalente sul mercato. Oggi gli economisti si potrebbero definire membri di una confraternita che accetta solo chi nella propria attività professionale, può ignorare sempre di più il declino dell'abilità individuale di fare e creare che è il prezzo di ogni ulteriore grado di comodità e di benessere nel sistema contemporaneo, sia a Est che ad Ovest.

L'esistenza e la natura della povertà modernizzata rimangono nascoste anche nella normale conversazione, se riguardano in primo luogo i poveri. Quando lo sviluppo e la modernizzazione colpiscono i poveri, quelli che fino ad allora erano stati capaci di sopravvivere in barba all’economia di mercato, sono spinti a sopravvivere tramite il consumo in un sistema di acquisto che per loro significa sempre e necessariamente prendersi la “feccia” del mercato.

Gli Indios di Oaxaca che non avevano accesso alle scuole adesso vengono “arruolati” nelle scuole dove “guadagnano” certificati che misurano esattamente la loro inferiorità rispetto alle popolazioni urbane. E come ulteriore fregatura, senza questo pezzo di carta non possono più accedere al lavoro.

La modernizzazione dei bisogni aggiunge sempre nuove discriminazioni alla povertà. La povertà modernizzata ora è diventata l'esperienza comune a tutti esclusi quelli così ricchi da poter evadere nel lusso.

Quando gli aspetti della vita cominciano a dipendere uno dopo l'altro dalle forniture meccanizzate e pianificate, pochi di noi sfuggono alla sensazione sempre più diffusa di impotenza. Il consumatore medio americano viene bombardato da centinaia di sollecitazioni e a molte di queste reagisce, per lo più, in modo negativo. Anche i compratori più furbi, da ogni comodità ricevono una ulteriore sensazione di inutilità. Sospettano di aver comprato qualcosa di dubbio valore, forse già inutile e persino pericolosa, oppure qualcosa che richiede accessori più costosi.

I compratori benestanti si organizzano: in genere iniziano richiedendo un controllo della qualità e spesso protestano duramente. In questo senso i gruppi di vicinato negli “slum” del sud di Chicago troncano i collegamenti con i servizi e le cure dell'assistenza sociale o rifiutano i libri di testo nel Kentucky.

Ricchi e poveri possono riconoscere abbastanza chiaramente una nuova forma di benessere frustrante nelle ulteriori espansioni della cultura dell'intensità di mercato. Inoltre, i benestanti cominciano ad essere sensibili alla propria situazione difficile che si rispecchia nei poveri. Ricchi e poveri sono pronti a preferire un'attività soddisfacente al consumo frustrante: biciclette invece dei motori, levatrici invece dei ginecologi, lettura di libri invece degli studi per il diploma, disoccupazione creativa e valori d'uso invece di squallidi impieghi.

Ivan Illich *


* Nel 1980, presso il Monastero di Montebello, si è tenuto un incontro avente come tema “Vale la pena impegnarsi per una società come questa?”. Ivan Illich, non ha potuto intervenire personalmente all'incontro. Questo è il testo di un suo intervento che è stato letto.

 

Letto 2922 volte Ultima modifica il Venerdì, 19 Aprile 2013 21:15
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search