Formazione Religiosa

Sabato, 18 Aprile 2015 10:48

Il kamikaze un martire? (Mario Bizzotto)

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Nel kamikaze la vita si autodistrugge e con la vita se ne va ogni speranza. Quando poi questa scompare, non resta che la mera soddisfazione della vendetta, l'amaro sapore dell'odio. Non si dica che Dio assicura felicità e compensi nell'altra vita a chi uccide. Chi alza la mano contro il suo simile è come Caino.

Mai come ora il kamikaze fa parlare di sé. Nei suoi confronti si intrecciano i pareri più contrastanti. Per alcuni è un martire, per altri un criminale. Forse trapela il sospetto che sia l'una e l'altra cosa nel contempo. Sorge allora la domanda: è possibile associare due figure così contrastanti? Non si è qui di fronte a quelle situazioni-limite
dove verità e falsità, amore e odio mai trovano una così netta linea di distinzione da non lasciar posto a dubbi? Ci sono spesso circostanze così incerte che non consentono facilmente di capire dove stia la ragione e dove il torto. Non è questo il caso del kamikaze e del martire. Qui la linea di separazione è decisa da fatti inequivocabili quanto lo possono essere la vita e la morte.
Non si può confondere l'una con l'altra. Non è mancato chi ha avuto l'ardire di fare un confronto tra martire cristiano e kamikaze. È come confrontare crocifissori e crocifisso, vittima e carnefice. Tuttavia l'accostamento può servire per capirne i contrasti.

Martire cristiano e kamikaze

Il martire cristiano è un uomo che dice un sì incondizionato alla vita. Se poi preferisce la morte al rinnegamento della coscienza, la sua scelta non è motivata da un disgusto per la vita o da una protesta contro qualcuno. Nel suo gesto non c'è posto per la preposizione "contro", ad essa sostituisce la preposizione "per". Se incontra la morte, non è perché la cerca, ma perché gli è inflitta. La sua figura è sempre accompagnata da quella del despota feroce e prepotente, tanto da sovrapporsi al diritto e alla legge. Nella morte del martire spunta la malvagità dell'aguzzino e nel contempo l'immagine del crocifisso, di colui che muore per gli altri e insegna a rischiare la vita se necessario per salvare l'altrui.
Massimiliano Kolbe, cresciuto alla scuola del crocifisso, immolandosi per l'amico, interpreta l'ideale del martire cristiano. Non è possibile accostarlo ad un kamikaze. Tra i due si sottende la distanza dell'abisso. Là dove l'uno testimonia l'amore, l'altro testimonia l'odio, dove l'uno vuole la vita, l'altro opta per la morte.
L'obiettivo del kamikaze è la soppressione della vita, offendere il diritto elementare dell'uomo. Egli persegue  la morte e quanto più questa è devastante tanto più può dire raggiunto il suo obiettivo. La morte assurge a ideale. Pur di mietere il maggior numero di vittime è disposto a fare del proprio corpo una bomba.
La sua scelta contro la vita non ha niente in comune con il martire.
Forse nel kamikaze è ipotizzabile un desiderio di giustizia. Se così fosse, si deve dire che il suo è un desiderio assurdo perché, mentre invoca giustizia, perpetra azioni di inaudita barbarie. Anche le vittime hanno il diritto di a-vere giustizia, se poi non possono avanzare alcuna rivendicazione, dato che togliendo loro il bene elementare della vita è tolta loro la possibilità della protesta, sono chiamati in causa i sopravvissuti a prestar loro voce e salvare la loro memoria. La morte anziché offrire un rimedio al male che si vuole eliminare, lo esaspera. Non c'è ragione che giustifichi l'aggressione omicida. Si ammetta pure che il mondo nel quale si vive è sporco, questa però non è una ragione valida per versare sangue innocente che finisce per renderlo ancora più sporco. La risposta violenta alla violenza è sbagliata, perché non fa che aumentare le sofferenze, aprire nuovi lutti. Una cosa è chiara: il mondo non diventa migliore, finché non si sa trovare altra risposta alle sopraffazioni e alle ingiustizie che ricorrendo alla violenza. Non è questo un rimedio per costruire una società degna dell'uomo. C'è anche la scelta del perdono e della riconciliazione, come consiglia il Vangelo e il martire cristiano. Ma allora non c'è più posto per la ritorsione, si deve rinunciare al gusto di vedere il nemico soffrire, alla soddisfazione di prendere la rivincita.

Il tentativo di coprire la vergogna

Tutti capiscono che gettare bombe, ferire, uccidere è una cosa esecrabile che mette vergogna. Non ci sono attenuanti per chi si prefigge di spargere sangue innocente. Non regge la giustificazione secondo la quale il violento è a sua volta uno che ha subito violenze. Non è degno d'un uomo dire: muoio io, allora muoiano anche gli altri. La vergogna del criminale non è giustificabile davanti al tribunale della ragione e tanto meno davanti a quello di Dio. Eppure, cosa paradossale, il crimine che non si riesce a rimuovere con la ragione, si cerca di legittimarlo chiamando in causa Dio, sicché all'offesa inflitta all'uomo se ne aggiunge una peggiore perpetrata contro Dio.
Dio è insultato nell'intimo del suo essere, è abbassato a strumento d'una causa crudele, come se colui che è onorato come il creatore della vita potesse prestarsi a invertire la sua attività provvidenziale comminando morte e sciagure.
Capisco il monito risentito del Papa: non si chiami in causa Dio là dove si sparge il sangue delle sue creature. Tanto meno si dica che Dio assicura felicità e compensi nell'altra vita a chi uccide. Chi alza la mano contro il suo simile è come Caino.

Uomo con "mani sporche di sangue"

Il kamikaze è una figura che ripresenta il volto di Caino. Non ha niente in comune con il martire, ha mani sporche di sangue che mettono orrore. Eppure si dà qualcosa di peggiore di lui, una figura ancora più ripugnante. Dietro di lui c'è il maestro scaltro, cinico e malvagio, un uomo della peggior specie capace di mentire nella maniera più esecranda e mandare a morte i suoi discepoli, sfruttandone l'ingenuità e la fede. Il kamikaze condanna a morte dopo essere stato a sua volta condannato. I suoi mandanti sono lì che aspettano l'esito delle loro trappole mortali e se queste vanno a segno sono pronti a cantare vittoria e a brindare come si brinda ad un'impresa di eroica grandezza.
In fondo il kamikaze è vittima e veicolo d'un progetto di morte, esprime forse senza rendersene conto la cattiveria di cui è capace il malvagio. Il tentativo poi di mascherare la violenza assassina con l'immagine del martire è una mistificazione sacrilega. Si nasconde così la barbarie a chi la compie, convincendolo di eseguire un'opera altamente benefica e meritevole. Gli si nasconde la verità, per evitare che la coscienza non resti turbata davanti ai misfatti di cui si rende responsabile.

Il mondo ferito chiede speranza

Non è possibile parlare di amore e martirio commettendo violenze. L'amore non conosce sopraffazioni e ingiustizie. Il suo compito semmai è quello di ripararle, sanare le ferite, anziché provocarne di nuove, promuovere solidarietà e fiducia nella convivenza, aiutare l'uomo e arginare sofferenze, sapendo che la morte non ripara alcun torto. E neppure è onesto parlare di martirio quando si agisce per provocare vittime, perché il martire ama la vita, soprattutto quella degli altri. Non c'è quindi alcuna affinità tra kamikaze e martire. E deprimente vedere come l'uomo riesca facilmente a ingannare e come altrettanto facilmente possa essere ingannato. Un carnefice è fatto passare come martire e mentre crocifigge innocenti si sente un crocifisso, legittimato nelle sue scelte più abominevoli. Ma lo storpiamento non si ferma qui, si riflette anche sul Dio in cui il kamikaze crede. Un Dio concepito non solo come consenziente, ma addirittura come mandante di atti delittuosi.
È triste che un individuo sia indotto a prendere congedo dal mondo lasciando dietro di sé bagni di sangue. Si ama pensare l'ultimo gesto della vita come una benedizione, o un atto di resipiscenza per gli errori commessi. Si vorrebbe che nel mondo dilaniato da guerre e lotte fratricide spuntasse finalmente una speranza. Solo il martire è capace di tanto, non il kamikaze che imboccando la via della morte, si lascia alle spalle un mondo ancora più insicuro, pieno di tristezza e angoscia.

Mario Bizzotto

(tratto da Missione Salute n. 6/2004, pp. 34-35)

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
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